Intervista a Vincent Spasaro

Interno. Notte. Là fuori, radi e incolonnati nel nulla, ci sono dei bagliori. Formano una linea frastagliata di luminosità gialle, bianche, arancioni. Mi fissano. Non sono le stelle eppure invadono lo spazio, là fuori, e fuori dalla mia finestra: sono un esercito che tiene muro fra me e quello che c’è alle loro spalle. Aldilà contro al di qua. Oltre c’è l’indistinto e l’estraneo; c’è la minaccia di cose che vivono e muoiono e poi ritornano…

Sono sotto Assedio.

Per fortuna con me c’è Vincent Spasaro. Autore italiano. Cacchio, ho detto proprio così. Ti ho letto e mi sei piaciuto parecchio. Spero sarai felice di sapere che sei il primo autore italiano ad avermi lasciata a bocca aperta, durante la lettura di Assedio. Che cosa pensi della ritrosia tutta italiana nel dare una chance agli autori nazionali? Ti è mai capitato di misurarti con questo ostacolo?

Prima di tutto, grazie, Mariateresa, della lettura attenta, del tuo bellissimo giudizio sul romanzo e di questa intervista. Per rispondere alla tua domanda, sì, ho avuto modo di sbattere più volte la fronte contro il muro dell’indifferenza delle case editrici italiane. Sia “Assedio” che “Il Demone Sterminatore” sono stati rifiutati per anni da tanti editori, nella maggior parte dei casi senza essere nemmeno letti. Potrei raccontare molti aneddoti a riguardo ma è meglio che mi cucia la bocca. Credo che l’editoria italiana manchi spesso, per così dire, di generosità. Ma in fondo l’editoria non è altro che lo specchio di uno stato allo sbando. Perché dovrebbe discostarsi da meccanismi ormai ben oliati? Rischiare pochissimo, mai valorizzare il lavoro, puntare sempre sul sicuro. Eppure sono ancora sicuro che sulla lunga distanza i migliori riescano a distinguersi.

Come è nata la tua passione per la scrittura? Che cosa ha determinato il balzo da innocuo lettore a infido divulgatore di incubi?

Ho iniziato a scrivere relativamente tardi, dopo i venticinque anni. Non ho mai tenuto nemmeno un diario. Sono sempre stato un lettore avido: prediligevo il fantastico ma m’interessava tutto ciò che raccontasse una storia, da Beckett a Cassola. Ancora adesso leggere è uno dei più grandi piaceri che possa sperimentare. Ogni tanto mi divertivo a scrivere racconti nello stile di Marquez o di Vance e notavo che i falsi d’autore mi riuscivano benino. Solo molto più tardi ho pensato di avere qualcosa di personale da dire. Ecco, questo per me è fondamentale: ho scritto solo quando ho avuto la consapevolezza dei miei mezzi e delle mie idee. Da quel momento tutto è stato molto fluido.

Qual è stato il tuo percorso da autore esordiente ad autore professionista?

Guarda, non mi sento di parlare di professionismo neppure adesso. Per me uno scrittore professionista è colui che vive del suo lavoro, cosa che al momento non posso dire di me. Non potendo essere professionista, ho il dovere di essere professionale. In ogni caso per il mio esordio devo ringraziare Sergio Altieri, leggendario editor di Mondadori che si è appassionato ad Assedio tanto da inserirlo in Epix e, una volta chiusa quella collana, passarlo a Segretissimo nel 2011. Verso di lui ho un debito immenso. Ancora più indietro nel tempo devo ringraziare Luca Briasco per avermi dato dei consigli fondamentali su Assedio. E poi la magnifica editor Sabina Guidotti che ha editato magistralmente l’ultima versione. Non posso dimenticare il geniale editore Gordiano Lupi che mi ha spronato in tutti i modi e mi ha preso a bordo molti anni fa come direttore di collana e editor per la sua casa editrice Il Foglio.

Questa è difficile: Perché è nato Assedio?

AssedioBella domanda. Quando scrivo, penso solo all’idea e allo stile migliore per raccontarla. Era uno dei miei primi romanzi e all’epoca la tragedia di Sarajevo era ancora calda. Mi stupiva l’atteggiamento della maggior parte della stampa nazionale che ci voleva schierati pro o contro l’intervento americano quando il nodo della questione era un altro: della gente massacrava altra gente a poche centinaia di chilometri da Ancona. Volevo parlare insomma di molti argomenti senza risultare didascalico, moralista o confusionario. Azione, mistero, violenza, orrore, fantasmi: se non mi consideri immodesto, volevo scrivere qualcosa che mi sarebbe piaciuto leggere.

Assedio è un romanzo “ibrido”, difficile se non impossibile da inquadrare in un sottogenere preciso. È stata una scelta ponderata?

No. Per me tutta la letteratura è ibrida. Fin da piccolo ho sempre amato chi non si poneva da solo in un ghetto. Ogni volta che scrivo un romanzo, non mi faccio problemi se si possa definire horror o fantascienza, thriller o fantasy. Mi piacerebbe che la gente dicesse: “Ehi, è uscito il nuovo romanzo di Vincent Spasaro. Chissà cos’avrà tirato fuori stavolta per farci divertire.” Il mio unico interesse è fare paura, tenere la gente incollata alle pagine, farla soffrire realizzando magari un’esperienza catartica. Se ci riesco, sono contento. Tutto qui.

Ibridazioni sì, ibridazioni no. Alcuni appassionati sono convinti che sia questa la strada da percorrere per rinnovare il genere fantastico, ormai stanco. Che ne pensi?

Il genere è innovazione, non conservazione. È letteratura popolare, e non può essere ingabbiata. Secondo me, finché gli appassionati italiani staranno lì a raccontarsela, il genere ha tutto il tempo di morire d’inedia. Leggo spesso di processi a un romanzo che non sarebbe veramente science fiction o un vero horror o chissà cos’altro. La mia distinzione all’interno della narrativa è questa: o il romanzo è buono o non lo è.

Quali sono, secondo te, gli autori più rappresentativi di questa nuova tendenza letteraria?

L’ibridazione c’è sempre stata. Siamo noi che abbiamo faticato a vederla con le nostre lenti deformate da regole fittizie. Come si può definire infatti l’immenso James Ballard che scriveva romanzi come “The Drowned World” o “Crash”? Oppure lo Shepard ‘magico’, Holdstock, Miéville, Ruff, lo stesso Palahniuk, Brussolo, tanti altri. Soprattutto Dan Simmons, che considero il mio inarrivabile maestro. In Italia senza alcun dubbio Valerio Evangelisti che ha lasciato tutti senza fiato: il vero autore di genere italiano di statura internazionale è, guarda caso, uno che ha saputo innovare e mescolare. Lo stesso si può dire per Alan D. Altieri in cicli come “Magdeburg”.

Il-demone-sterminatoreSpesso da un romanzo all’altro si percepisce la crescita professionale (stile) e personale (tematiche) dell’autore. Chi era l’autore Vincent ai tempi del Demone Sterminatore, e chi è l’autore Vincent ai tempi di Assedio?

In entrambi i casi un Vincent di molti anni fa. Ho scritto prima Assedio, nel 2000 o giù di lì, e poi Il Demone nel 2002. Devo dire che come autore ho sempre avuto le idee molto chiare su cosa fare e come farlo. Volevo esattamente scrivere un Assedio con le sue contaminazioni horror, hard boiled, fantascientifiche, e poi desideravo un Demone (il titolo è stato cambiato dalla casa editrice, decisione che mi ha trovato in totale disaccordo, per cui preferisco chiamarlo “Fiume Senza Rive”), che potesse essere fantasy ma molto cupo, orrorifico, lovecraftiano. Per questo ho insistito per pubblicare prima Assedio e poi Il Demone anche a distanza di anni. Alla stessa maniera ho ben chiaro quali saranno le prossime uscite, editori permettendo. E sono completamente proiettato sui nuovi romanzi.

Sono rimasta colpita dalla tua bravura nel padroneggiare gli strumenti della scrittura. Come sei riuscito, in così poco spazio, a creare un tale equilibrio di stile e contenuti?

Ti ringrazio tanto dei giudizi positivi, Mariateresa. Come dicevo più su, cerco di essere più professionale possibile. Adatto lo stile al contenuto. Assedio doveva essere cinematografico, quasi una sceneggiatura. Volevo che si sentisse il vento sulla pelle, si vedesse il sangue spillare dal petto. Il Demone invece aveva bisogno di una narrazione profondamente letteraria. Lì i protagonisti venivano sottoposti a sfide enormi, anche filosofiche, e le descrizioni dovevano essere altrettanto magniloquenti. Per la stessa ragione il prossimo vi spiazzerà tutti riguardo stile e contenuti. O almeno spero.

I protagonisti di Assedio sono pochi ma “tanti”. I più suggestivi sono il Cieco e il Barone. Il mistero che li avvolge rafforza l’impressione che essi stessi siano parte del popolo di vivi e morti prigionieri dell’incubo di Sarajevo. Si sentiva, onestamente, il bisogno di qualche ulteriore rivelazione sul loro conto. Perché hai lasciato il lettore a bocca asciutta? Parlaci della loro genesi.

Il Cieco è la base su cui ho costruito Assedio. L’ho immaginato camminare per strade antichissime sventrate dalle bombe, sul sangue dei bambini di Sarajevo, incurante della vita, alla ricerca delle sue verità. I tratti del volto, la sensazione di iattura che si portava dietro. Da lì è venuto tutto, compresi il Barone, Petr, Pavel e tutti gli altri comprimari arcani di questa vicenda. La scelta di non spiegare troppo deriva in parte dal mio amore per le storie che fanno sognare il lettore, quando chiudi il libro e prosegui da solo la narrazione. D’altro canto ero e sono convinto che il Cieco possa e debba prima o poi tornare. Non amo la scrittura seriale ma mi piacerebbe andare in futuro a vedere cosa sta combinando quel necromante oscuro.

Assedio è un libro “misterioso”. Più che la spystory – della quale si ravvisa il ritmo nelle scene d’azione, molto hard boiled – in Assedio vince la percezione. È un libro che si legge con il “sesto senso”, l’intuizione. Soltanto così si scorgono i cosmi inesplorabili nei quali allignano le presenze più antiche dell’universo, terrificanti in senso metafisico. La stanza 41 getta un ponte fra realtà opposte. Il lettore sperimenta le suggestioni allucinanti della letteratura gotica, che faceva della non–descrizione dell’orrore la manifestazione dello stesso. Mi sembra di vederti mentre scrivi, circondato dai signori Lovecraft, Smith, Poe, Machen, Hogdson… Oggi horror vuol dire splatter. Perché rifarsi a una concezione “arcaica” dell’orrore?

Questa è davvero un’ottima domanda. Perché fanno paura un libro e un film come l’Esorcista più di tanti romanzi e film dove gli squartamenti si susseguono? Gli autori che hai citato sono tutti, nessuno escluso (insieme a Bierce, Howard e molti altri) miei numi tutelari. Quando da piccolo leggevo Poe, il terrore che mi provocava si accompagnava a una sorta di esaltata sorpresa il cui ricordo non è mai stato cancellato. Amo la paura più che il disgusto, l’ombra che non si rivela. Ciò che sta nell’ombra farà sempre paura. Quello che si rivela può essere combattuto e vinto. L’ignoto non ha confini. La realtà sì.

Data l’impronta cinematografica delle scene d’azione, ci sono dei film o telefilm che ti hanno aiutato a elaborare le situazioni di Assedio?

Sicuramente le serie inglesi degli anni settanta. Spazio 1999, I Sopravvissuti, Doctor Who con Tom Baker, Zaffiro e Acciaio. Erano così orrorifiche, tese, imprevedibili. Per le scene d’azione però non ho un ascendente particolare. Sono appassionato di sceneggiatura cinematografica e televisiva per cui mi è venuto naturale scrivere così.

Quella creatura aveva ammazzato Dio. Una frase d’effetto ma che suscita delle riflessioni e collega entrambi i tuoi romanzi: Il Demone Sterminatore e Assedio. È un’immagine che ritorna, come un archetipo della tua “poetica”. Che cosa significa per te?

Le paure che rappresento nelle storie sono spesso cosmiche. La morte, Dio, il dolore, il nulla, la percezione falsata della realtà, la solitudine. Probabilmente è un retaggio dell’educazione cattolica nel meridione d’Italia, fatta di diavoli e proibizioni, chiese che esponevano teschi e oscurità che si contrapponeva al sole. Ho sempre avuto l’impressione che vi fossero spazi ancora inesplorati dagli autori anglosassoni, spazi che la vecchia Europa continentale e mediterranea poteva riempire. Soprattutto mi fa piacere che tu trovi una poetica solida dietro la mia scrittura. Io cerco di variare più possibile ma è giusto che la mano dell’autore si riconosca sempre.

Selfpublishing: in Italia è diventato la scelta di numerosi autori e aspiranti tali. Che cosa ne pensi?

Non mi sento di poter giudicare le scelte altrui. Posso dirti che quello che percepisco è un rumore di fondo assordante. Tutti scrivono e nessuno legge – secondo me, spesso, nemmeno il proprio scritto. Per incidere un disco devi almeno comprare uno strumento e imparare a strimpellare. Per scrivere invece è sufficiente farsi un giro sulla tastiera del computer. In questa maniera non è importante cosa e come si scrive ma il marketing che si riesce fare. Uno si può sentire tranquillamente Umberto Eco perché ci sono almeno dieci persone che glielo diranno. È una cosa che mi fa terrore.

Hai dei consigli per gli aspiranti scrittori?

Qualsiasi consiglio rimarrebbe inascoltato. Mi piacerebbe dare consigli ad aspiranti lettori, e non vederli chiusi in casa con le finestre sprangate e l’aglio appeso alla porta. Vorrei che i lettori non divenissero leggenda.

Editoria italiana, e all’italiana. Entrambi i tuoi romanzi hanno languito a lungo prima di vedere la pubblicazione e non certo per la loro scarsa qualità. I ritornelli preferiti degli editori, quando vengono interrogati a proposito della crisi del settore, sono: gli italiani non leggono; gli italiani sono tutti scrittori; gli italiani non leggono gli italiani. In quanto italiano, autore, lettore ed ex “addetto ai lavori”, come ribatteresti a queste accuse che, a volte, sembrano una scusa per scaricare il barile sulle spalle di chi non può obiettare?

Vero che gli italiani non leggono e che siamo agli ultimi posti in Europa. Secondo me accade perché non sono messi nelle condizioni di farlo, a meno di non voler pensare ad assurdi handicap etnici. Credo sia una questione principalmente culturale, sociale ed economica: gli editori non rischiano, lo stato non spende per diffondere cultura, ma poi tutti si lamentano perché l’Italia rimane provincia dell’impero. Inoltre questo provincialismo accresce la tendenza italiana all’aggregazione in cricche di potere: un mercato stagnante permette a un autore o un editore di ergersi a giudice e crearsi intorno una tribù adorante cui non importa nulla della qualità del testo, spesso infima, quanto dell’appartenenza tribale. A questo punto hai fornito alla gente libri mediocri, la gente andrà sul sicuro comprando solo stranieri, e l’autore/editore se ne lamenterà. Così il cerchio si chiude.

Perché gli italiani non leggono gli italiani?

Abbiamo esempi contrari: Evangelisti, Carrisi e molti altri. Certo che, se pubblicizzi autori nostrani che sanno parlare solo del proprio ombelico, il lettore svilupperà il riflesso pavloviano e in libreria andrà subito nel reparto degli stranieri. Perché nel 1971 le famiglie si riunivano per guardare Il Segno del Comando e oggi non si va quasi oltre I Cesaroni? L’Italia è davvero cambiata in peggio o l’hanno presa a picconate?

Italiani che non leggono gli italiani. Vai con i consigli di lettura!Lestate-di-Montebuio

Chi crede che gli italiani non sappiano scrivere grandi libri, dovrebbe andare a leggersi prima di tutto “Cherudek” di Valerio Evangelisti, “L’Estate di Montebuio” di Danilo Arona, “Sogni di Sangue” di Tiziano Sclavi, “Q” degli ex Luther Blissett, “Romanzo Criminale” di De Cataldo, “Cambio di stagione” di Maurizio Cometto, un qualsiasi romanzo dello Sniper di Alan D. Altieri, tanto per cominciare. Poi ne parliamo.

Il Fantasy ha, onestamente, rotto il cazzo. Nei giorni scorsi questa frase, scritta da una Casa Editrice sul suo sito, nella pagina per l’invio dei manoscritti, ha provocato un forte scalpore. Secondo te ha ragione?

Mi pare una boutade priva di significato, magari lo sfogo di qualche stagista anonimo sottopagato. Chiaro che, se per Fantasyintendiamo romanzi scritti da quindicenni e ispirati a film e giochi per playstation, i lettori delle case editrici si sentiranno piuttosto stressati, ma la professionalità non dovrebbe mai venire meno. Comunque consiglio allo stagista in questione di leggersi Il Demone Sterminatore, ovvero Fiume Senza Rive, e poi magari ne riparliamo. Disponibile a un confronto dove vuole e quando vuole. [Oh, yeah! Mi eccitano le sfide! N.d.r.]

Editori che non pubblicano gli autori italiani. Vai con i consigli di lettura!

Cosa posso dire? Io, per Il Demone Sterminatore e per Assedio, a fronte di contratti molto chiari che prevedevano delle royalties, non ho ricevuto dalla data di pubblicazione nemmeno un centesimo da parte della casa editrice. Ho potuto vedere solo i dati di vendita de Il Demone nei primi sei mesi, decisamente buoni. Capirai che non posso aver nulla da aggiungere in merito.

Aspiranti scrittori di genere. Vai con i consigli di lettura!

Secondo me l’unico modo per poter affrontare il genere è leggere di tutto ma davvero di tutto, e, se possibile, già in tenera età. Poi tanta passione per le storie, magari qualche parente che te le racconta davanti al focolare, per impratichirsi con la struttura. L’Italia è la patria delle storie oscure che poi spesso ci vengono rivendute ben impacchettate da oltreoceano. Basta saper ascoltare.

Ok, psicologia inversa… Non ti chiederò succulente rivelazioni sui tuoi prossimi progetti, perché ho notato che non ami sbottonarti, e io detesto essere rifiutata…

Progetti in cantiere, tanti. Il più vicino temporalmente è il secondo disco dei Living Stilts, una progressive rock band di livello internazionale per cui scrivo testi e concept. Il nuovo concept album secondo me è di qualità musicale superiore e spero di aver creato una storia all’altezza. Potrete seguire le novità sul sito http://www.livingstilts.com

Il prossimo romanzo è sostanzialmente pronto e credo che lascerò stupiti i lettori dei primi due. Non voglio assolutamente ripetermi. Se vi piace la carne al sangue, la mescolanza di generi e, soprattutto, non dormire la notte, credo che avrete modo di divertirvi.

Intanto grazie ancora, Mariateresa.

Ti ringrazio per esserti prestato a questa cordialissima tortura. Essendo la mia prima intervista avrò di certo dimenticato qualcosa – o sbagliato qualcos’altro – ma è significativo, per me, avere intervistato un autore che ho apprezzato, per di più italiano – lo ribadisco e chi se ne frega se mi troverete noiosa. Italiano, gente! Pure gli italiani ci sanno fare con la penna. Sapevatelo.

Mariateresa Botta

Vincent-Spasaro1L’AUTORE

Vincent Spasaro è nato a Roma nel 1972. Ha pubblicato l’horror paranormale Assedio (Mondadori 2011, ripubblicato nella versione originale da Anordest nel 2014) e il dark fantasy Il demone sterminatore (Anordest 2013). È stato tre volte di seguito finalista al Premio Urania e una al Solaria. Ha curato per anni la collana di letteratura weird Fantastico e Altri Orrori delle Edizioni Il Foglio.

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