La sirena (intesa come creatura mitica metà donna metà pesce) è un essere mitologico presente in moltissime culture: da quella classica (greca e romana) a quella irlandese, da quella russa a quella orientale. Per gli antichi Greci, in origine, era un mostro ibrido, metà donna metà uccello, come dimostrano le raffigurazioni vascolari dell’antichità ellenica. Solo successivamente si “trasforma” in una creatura marina, donna dalla cintola in su e pesce dalla cintola in giù. Per esaminare tutto il repertorio greco, però, servirebbe un libro intero (ci hanno già pensato in modo esemplare Luigi Spina e Maurizio Bettini nel loro “Il Mito delle sirene”, edito da Einaudi), figurarsi se volessimo affrontarne tutte le rappresentazione folkloriche!
Ma non è quello che faremo. Cercheremo piuttosto di raccontarvi alcune fiabe in cui la sirena si trova a essere la protagonista.
«In mezzo al mare l’acqua è azzurra come i petali dei più bei fiordalisi e trasparente come il cristallo più puro; ma è molto profonda, così profonda che un’anfora non potrebbe raggiungere il fondo; bisognerebbe mettere molti campanili, uno sull’altro, per arrivare dal fondo fino alla superficie. Laggiù abitano le genti del mare».
Questo è l’incipit di una delle più belle e struggenti fiabe di ogni tempo: La Sirenetta di Andersen, nella bella traduzione di Anna Cambieri. La più famosa delle fiabe sulle sirene, ma anche la più misconosciuta. Secondo il racconto di Andersen, il re del mare era vedovo da molti anni e con lui abitava la vecchia madre, intelligente e molto orgogliosa della sua nobiltà, al punto da tenere sulla coda dodici ostriche, mentre anche i nobili potevano averne al massimo sei. Sei era anche il numero delle sue nipotine, le figlie del re, che lei amava molto. Ma la più bella di tutte era la minore, che aveva la «pelle chiara e delicata come un petalo di rosa» e «gli occhi azzurri come un lago profondo».
Vivevano tutti insieme, nel castello del re del mare, di cui Andersen fornisce una suggestiva descrizione:
«Le mura sono di corallo e le alte finestre ad arco sono fatte con ambra chiarissima, il tetto è formato da conchiglie che si aprono e si chiudono secondo il movimento dell’acqua; sono proprio belle, perché contengono perle meravigliose; una sola di quelle basterebbe alla corona di una regina»
[…]
«E una strana luce azzurra avvolgeva tutto; si poteva quasi credere di trovarsi nell’aria e di vedere il cielo da ogni parte, invece di essere sul fondo del mare. Quando il mare era calmo si poteva vedere il sole: sembrava un fiore color porpora dal cui calice sgorgava tutta la luce».
L’attenzione delle piccole sirenette era dunque rivolta in superficie. Soprattutto della minore, che ascoltava con ingordigia i racconti della nonna e custodiva in segreto una statua di marmo di forma umana nella sua aiuola marina. Le principesse avrebbero avuto il permesso di andare una sola volta in superficie compiuti i loro primi quindici anni. E la sirenetta non vedeva l’ora. Intanto, ciascuna delle sue cinque sorelle compì, una dietro l’altra, quindici anni, e tornò raccontando alla sorella minore tutto quello che aveva visto: i monti, le navi e così e via.
Giunse infine anche il compleanno della sirenetta. La nonna l’adornò con ghirlande di perle, com’era costume, e le mise otto ostriche pesanti sulla coda per mostrarne il casato. E benché alla sirenetta, di perle e ostriche non importasse granché, accettò di buon grado, bramosa di nuotare in superficie. Come è noto, fu allora che la sirenetta vide la nave su cui erano in corso i festeggiamenti per il compleanno del principe, un giovanissimo principe dagli occhi neri che compiva quel giorno, lo stesso del suo quindicesimo compleanno, i suoi primi sedici anni. La sirenetta ne fu rapita, e complice la notte e i fuochi d’artificio che caddero su di lei come stelle, se ne innamorò perdutamente. Ma di lì a poco scoppiò una terribile tempesta, il principe cadde in mare e la sirenetta lo soccorse perché non annegasse. Ma poi dovette fuggire per non essere vista e così non poté che dargli un breve bacio in fronte.
Da quel momento, la sirenetta non faceva altro che pensare a lui. Scoprì dalla nonna che la gente del mare e gli esseri umani avevano natura e vita molto diverse: se i primi vivevano fino a trecento anni, ma da morti diventavano spuma del mare; i secondi avevano sì una vita più breve, ma un’anima immortale che ai primi mancava. Questo rese triste la sirenetta:
«Non posso fare proprio nulla per ottenere un’anima immortale?».
«No» rispose la nonna. «Solo se un uomo ti amasse più di suo padre e di sua madre, e tu fossi l’unico suo pensiero e il solo oggetto del suo amore, e se un prete mettesse la sua mano nella tua con un giuramento di fedeltà eterna; solo allora la sua anima entrerebbe nel tuo corpo e tu riceveresti parte della felicità degli uomini. Egli ti darebbe un’anima, conservando sempre la propria. Ma questo non potrà mai accadere. La cosa che qui è così bella, la coda di pesce, è considerata orribile sulla terra. Non capiscono niente; per loro bisogna avere due strani sostegni che chiamano gambe, per essere belle!».
Non riuscendo a dimenticare il suo principe, la sirenetta approfittò di una festa danzante per sgattaiolare via, dalla strega del mare, che l’avvisò del grande pericolo che avrebbe corso e della sofferenza che l’aspettava, se davvero voleva diventare un’umana per il suo amato:
«Ti preparerò una bevanda, ma con questa devi nuotare fino alla terra, salire sulla spiaggia e berla prima che sorga il sole. Allora la tua coda si dividerà e si trasformerà in ciò che gli uomini chiamano gambe. Soffrirai come se una spada affilata ti trapassasse. Tutti quelli che ti vedranno, diranno che sei la più bella creatura umana mai vista! Conserverai la tua aggraziata andatura, nessuna ballerina sarà migliore di te, ma a ogni passo che farai, sarà come se camminassi su un coltello appuntito, e il tuo sangue scorrerà. Se vuoi soffrire tutto questo, ti aiuterò!».
«Sì».
La strega le disse anche che non sarebbe più potuta tornare a essere una sirena, e che se il principe non si fosse innamorato di lei, o peggio, avesse sposato un’altra, il suo cuore si sarebbe spezzato e lei sarebbe diventata spuma del mare. E nonostante tutto ciò, la principessa sirena acconsentì. In cambio della bevanda miracolosa che l’avrebbe trasformata, la strega, si sa, volle da lei la sua bellissima voce, la più soave di tutti gli abissi. E l’ottenne: le tagliò la lingua.
Il resto della storia prosegue più o meno come si sa. Il principe trova la sirenetta divenuta una bella fanciulla senza voce, la porta con sé, la veste e le dona un tetto, ma non si innamora di lei. Pensa alla bella misteriosa fanciulla che lo salvò dal naufragio. Un giorno, però, il re e la regina lo promisero in sposo a una bella principessa. Si imbarcarono tutti così verso il suo regno, perfino la sirenetta. E il principe, quando vide la sua promessa sposa, la trovò bellissima e in tutto simile alla sua salvatrice. E anche la sirenetta dovette ammettere di non aver mai visto fanciulla più bella. Quella notte i piedi le dolsero molto mentre ballava durante la festa di nozze, ma il cuore le doleva anche di più. Tuttavia, il suo principe, l’uomo per cui aveva perduto la voce, la famiglia e rinunciato a tutto, era felice di essersi sposato e le chiedeva di esserlo per lui.
Ma quella stessa notte, le sue sorelle emersero dal mare, offrendole un pugnale. Non avevano più i lunghi capelli, erano stati tagliati:
«Li abbiamo dati alla strega, perché ti venisse ad aiutare affinché tu non muoia questa notte. Allora ci ha dato un coltello; eccolo! Vedi com’è affilato? Prima che sorga il sole devi infilzarlo nel cuore del principe; quando il suo caldo sangue bagnerà i tuoi piedi, questi riformeranno una coda di pesce e tu ridiventerai una sirena e potrai gettarti in acqua con noi e vivere i tuoi trecento anni prima di morire e diventare schiuma salata. Fai presto! O tu o lui dovete morire prima che sorga il sole!»
Mancavano pochi minuti all’alba, e la sirenetta si intrufolò nella camera da letto dei due sposi. Nel sonno, il principe chiamò il nome della sua novella sposa, e la mano della sirenetta tremò. Ma il suo cuore ebbe la meglio, e la piccina gettò il coltello nel mare e si tuffò insieme a quello. Fu un attimo, prima di sentire che il suo corpo si scioglieva in candida schiuma del mare.
Ma ora il colpo di scena. Non è vero che le fiaba non abbia un lieto fine. Andersen, dal canto suo, volle certamente dare un felice esito all’avventura della sua sirenetta. Immagina così che la giovane, tuffatasi nel mare, si ritrovi al contrario nel cielo.
«Dove mi trovo?» chiese.
Le risposero le figlie dell’aria: come lei, anche loro ambivano a un’anima immortale, e dato che il suo cuore l’aveva così tanto desiderato, le era stato concesso di unirsi a loro. E se per trecento anni avesse compiuto buone azioni, un giorno il suo desiderio si sarebbe avverato.
La sirenetta si guardò indietro e vide che tanto il principe quanto la sua sposina la stavano cercando. Ed erano tristi nel guardare la spuma del mare, come se sapessero che lei vi si era gettata. La sirenetta li raggiunse, diafana come l’aria:
Invisibile baciò la sposa sulla fronte, sorrise al principe e salì con le altre figlie dell’aria su una nuvola rosa che navigava nel cielo.
Anche Calvino, nella sua raccolta delle Fiabe Italiane, registra una fiaba di origine tarantina su queste creature marine. Il titolo è La sposa sirena. La storia recita più o meno così: una donna molto bella era sposata con un marinaio, che stava in mare, lontano da casa, molti mesi all’anno. Durante la sua assenza, un Re si innamorò della sua sposa e tanto disse tanto fece che la donna scappò via con lui. Ma ben presto il Re se ne stancò e la cacciò via. Allora, la sposina tornò dal primo marito, ma questi, piuttosto che perdonarla, la prese, la portò al largo e la gettò in mare perché annegasse. Così credeva compiuta la sua terribile vendetta. Ma la sposina, nel fondo del mare, non annegò. Cadde infatti “dove si davano convegno le Sirene”.
«Guarda che bella giovane hanno buttato in mare» dissero le Sirene, e decisero di salvarla.
Le diedero nome “Schiuma” e la condussero nel loro splendente palazzo. Lì, la pettinarono e adornarono con collane di corallo e anelli di smeraldi, e la sposa rimase con loro e con gli altri tritoni a ballare e a cantare in mezzo al mare. Ma Schiuma era spesso triste. Pensava a suo marito, il marinaio. Per tirarla su, le altre decisero di insegnarle a cantare in superficie nelle notti di luna. Così fecero. Nuotarono fino a emergere e quando videro un bastimento avvicinarsi, iniziarono a cantare:
E questo è il canto della luna piena
E questo è il canto della luna tonda
Se vuoi vedere la bella Sirena,
O marinaio buttati nell’onda.
Ma ecco che un uomo si sporse dal parapetto della nave e si tuffò. Schiuma riconobbe suo marito e quando le altre minacciarono di trasformarlo in corallo, le pregò di lasciarlo a lei. Così, dato che quelle volevano renderla felice, acconsentirono. Lo rinchiusero nel palazzo, in attesa che Schiuma decidesse cosa farne, e dato che ormai era giorno, andarono a dormire. Schiuma ne approfittò per andare a liberare il marinaio, che la riconobbe subito. Lo condusse in superficie e lo aiutò ad attirare un bastimento che lo prendesse a bordo e lo portasse in salvo.
L’uomo, profondamente pentito per ciò che aveva fatto alla sua sposa, decise di cercare un modo per farla tornare da lui, sulla terraferma. Chiese aiuto alle Fate, e queste gli promisero che l’avrebbero aiutato solo se avesse loro portato un fiore che le Sirene tenevano segreto e che si chiamava “il più bello”. L’uomo accettò. Nottetempo, chiamò in riva al mare la sirena sua moglie e le spiegò tutto.
«È impossibile» disse Schiuma. «Il fiore c’è, e tramanda un profumo di paradiso, ma è un fiore che le Sirene hanno rubato alle Fate, e il giorno che tornasse alle Fate, tutte le Sirene dovrebbero morire. Anch’io sono Sirena, e morirei insieme a loro».
Ma il marinaio la rassicurò: le Fate avevano promesso di salvarla. La sirena gli disse allora di tornare l’indomani per ricevere risposta. L’indomani, gli disse che era necessario che lui vendesse ogni suo avere e comprasse i più preziosi gioielli del paese per attirare le Sirene e allontanarle dal fiore. Quello obbedì. Vendette tutto e tornò. La sua nave traboccava di gioielli. Quando le Sirene la videro, la seguirono abbagliate e iniziarono a cantare per ammaliarne il proprietario. Ma all’improvviso vi fu un terribile boato sottomarino, le acque si innalzarono e le sirene scomparvero. Dall’onda uscì un’aquila e a cavallo dell’aquila c’erano una delle Fate e la sposa sirena. E così, quando il marinaio tornò casa, trovò la sua amata già lì ad aspettarlo.
I “figli del Mare” sono presenti anche nella raccolta araba de Le mille e una Notte, in particolare nella fiaba di Abdullah al-Barri e Abdullah al-Nahri (Abdullah uomo di terra e Abdullah uomo di mare), che per certi versi è simile alla leggenda siciliana di Nicola da Messina, meglio nota come Colapesce.
La novella araba fa più o meno così.
C’era una volta un povero pescatore di nome Abdullah che aveva una moglie e nove figli, e solo una rete da pesca per sfamarli tutti. Ogni giorno spendeva tutti i pochi soldi ottenuti dalla vendita del pesce, dicendo tra sé e sé: “la fortuna di domani arriverà domani”. Ma quando sua moglie diede alla luce il decimo bambino, le cose si complicarono ulteriormente. Per quanto il pescatore si sforzasse, nessun pesce fu catturato dalla sua rete. Per la strada di ritorno, passò davanti alla bottega del fornaio. Questi, non appena lo vide, gli offri del pane. Il pescatore gli disse però che non aveva pescato nulla e non sapeva come pagarlo. Il fornaio, allora, glielo donò senza esitare e aggiunse anche dieci mezzi dirham d’argento. «Quando la fortuna tornerà ad arriderti,» gli disse, «mi ripagherai».
Ma la fortuna tardava ad arrivare, e per quanto il pescatore si raccomandasse ad Allah, non riusciva a pescare nulla. Ciononostante, ogni giorno il fornaio gli faceva dono del pane necessario e dei dieci mezzi dirham con cui Abdullah comprava per la sua famiglia carne, datteri e verdura. Il debito con quel generoso mercante iniziava ad essere gravoso, ma il fornaio non esigeva nulla. «Mi pagherai quando la fortuna tornerà ad arriderti» ripeteva.
Ma passarono quaranta giorni.
Un giorno, Abdullah pregò l’Altissimo con tutto il suo cuore, ma nella rete che tirò su – terribile a vedersi – c’era il cadavere di un asino. Affranto e ormai disperato, Abdullah gettò la rete un’ultima volta, e quale non fu il suo stupore quando dentro vi trovò quello che sembrava un essere umano. Pensò che fosse un ifrit, uno di quei demoni «che il magnifico Solimano rinchiudeva in una lampada di rame sigillata e gettava negli abissi del mare per secoli e secoli». Forse il demone era riuscito a liberarsi.
«Non sono un ifrit,» disse lo sconosciuto «ma un essere umano come te, figlio dei figli del mare, e come te obbedisco ad Allah. Liberami. Se tornerai con un cesto per me, colmo di pesche, melograni, cocomeri, uva, fichi e prugne, io in cambio te lo restituirò colmo di coralli, gemme, perle, smeraldi e topazi».
Il pescatore accettò.
«Quando tornerai, chiama il mio nome, e io apparirò» disse l’uomo-pesce.
«Come ti chiami?» chiese il pescatore.
«Abdullah–al-Bahri (uomo di mare)».
«Anche io mi chiamo Abdullah».
«Allora sarai Abdullah al-Barri (uomo di terra). Aspetta, ti porterò un modesto dono».
Il pescatore lo liberò, ma quando Abdullah di mare si tuffò negli abissi, quello temette di essere stato ingannato. Ma ecco subito il tritone tornare con perle, coralli, smeraldi e diamanti.
«Ecco un piccolo dono. La prossima volta sarà il cesto che ti ho promesso».
Abdullah di terra andò subito dal fornaio per pagare il suo debito, e gli volle regalare tutto quello che aveva ricevuto. Il panettiere, colmo di meraviglia, si dichiarò suo schiavo, gli donò tutto il pane che aveva, lo accompagnò al mercato a comprare frutta, carne e verdura e lo scortò fino a casa. Lì, il pescatore lo invitò a cena e banchettarono fino a tardi. Poi, quando il fornaio se ne fu andato, Abdullah raccontò del suo amico marino alla moglie, che commentò: «Allah è generoso».
Ogni giorno Abdullah al-Barri andava con un cesto di frutta e verdura dall’uomo-pesce e quello lo ricompensava con gemme e metalli preziosi, che il pescatore divideva col suo amico fornaio.
Ma tanta ricchezza fu fonte di invidia. Abdullah di terra venne presto accusato di essere un ladro e portato al cospetto del re. La regina, infatti, aveva perduto dei gioielli e taluni pensarono che fossero quelli che Abdullah cercava di vendere. Ma quando andarono a chiamare la regina, questa rivelò di aver ritrovato i suoi preziosi. Il re, dunque, si sdegnò di quelli che avevano cercato di infamare quel pover’uomo. Volle però sapere dove prendeva tanti gioielli incredibili e Abdullah gli raccontò tutto.
Il re apprezzò la sua sincerità, lo nominò erede e gran visir e gli diede in sposa la figlia, accogliendo a corte anche la prima moglie, i suoi dieci figli e perfino il panettiere benefattore.
E Abdullah al-Barri continuava ogni giorno ad andare dal suo amico Abdullah al-Bahri finché questi non lo invitò a tuffarsi negli abissi perché fosse suo ospite. E perché lui potesse respirare sottacqua, gli diede una pomata magica, d’un incantevole profumo.
Abdullah di terra se la spalmò ben bene e si tuffò. Col suo amico, nuotò a lungo visitando molte città marine, ma si accorse subito che qualunque pesce, perfino i più grossi e temibili, fuggivano spaventati da lui.
«Tutte le creature del mare temono il figlio di Adamo» gli spiegò Abdullah di mare.
Giunsero anche in una città dove abitavano solo delle fanciulle: la città delle figlie del mare. Queste sirene erano bellissime, con volti simili alla luna, capelli fluenti, mani d’avorio e lunghe code di pesce. Abdullah notò però che erano nude, e il suo amico gli spiegò che loro non usavano stoffe, nell’abisso del mare, perché nessuna di queste cose materiali per loro aveva valore.
Dopo qualche tempo passato sottacqua, Abdullah chiese al suo amico di vedere la città dove abitava e la sua casa. Questi lo scortò prontamente. A casa di Abdullah di mare li accolse la figlia, una bellissima sirena dai capelli lunghissimi. La giovane, però, non appena vide Abdullah di terra tutto nudo e senza coda esclamò:
«Padre, chi è questo svergognato scodato che hai portato con te?».
L’uomo-pesce le chiese di scusarsi, e le ordinò di portare a entrambi da mangiare del buon pesce crudo. Ma quando arrivarono il figlio piccolo e la moglie, la storia si ripeté:
«Chi è questo svergognato tutto nudo?» disse la sirena, e i figli scoppiarono a ridere.
Abdullah di mare si scusò ancora. Capì che era il caso di portare via il suo amico “scodato”.
Prima di riaccompagnarlo in superficie, però, passarono dal palazzo del re in modo che Abdullah di terra ricevesse un ricco dono dal sovrano. Ma ecco che, usciti dalla reggia, udirono un gruppo di uomini-pesce che cantava e rideva, molti dei quali sedevano a una lunga tavolata colma di ogni ben di Dio (per lo più pesce crudo).
«Che succede?» chiese Abdullah di terra.
«È morto un loro parente e fanno il funerale» rispose Abdullah di mare.
«Vuoi forse dire che quando muore qualcuno festeggiate, bevete e mangiate?».
«Certo» sbottò l’altro. «Perché, voi che fate?».
«Piangiamo per l’anima sua, e le nostre donne si percuotono il petto e si lacerano le vesti».
Abdullah allora gli tolse di mano il dono che il re del mare gli aveva dato, lo riaccompagnò taciturno in superficie e infine gli disse:
«Dichiaro la nostra amicizia conclusa. Da oggi in poi non potrai più vedermi, né desidero incontrarti mai più. È assurdo che voi terrestri vi addoloriate quando muore qualcuno, nonostante sappiate benissimo che Allah prima o poi riprenderà quello spirito che all’inizio ha affidato al suo corpo. Non abbiamo bisogno della vostra amicizia».
Detto ciò, si rituffò in mare e scomparve.
E per quanto Abdullah di terra tornasse ogni giorno sulla spiaggia per cercarlo, non lo rivide mai più.
Di grande spessore – simbolico, prima ancora che letterario – una poco nota quanto struggente fiaba di Oscar Wilde, Il Pescatore e la sua anima. Un giovane pescatore andava ogni sera per mare a pescare. Una notte, tirando su le reti, vi trovò una piccola sirena addormentata. Svegliatasi di soprassalto, la sirena prego il pescatore di lasciarla tornare negli abissi, dal re suo padre. Il pescatore acconsentì, ma le chiese di impegnarsi a tornare da lui ogni sera a cantare per attirare i pesci nella sua rete. La sirenetta accettò. E ogni sera tornava a cantare per lui.
Pian piano, il pescatore si dimenticò delle reti e dei pesci e si innamorò perdutamente di lei, finché un giorno non le chiese di sposarlo. Ma lei lo rifiutò, e il motivo è il fulcro della vicenda: «Tu hai un’anima umana» gli disse «dunque non potrei mai sposarti! Solo se l’allontanassi da te, potrei farlo».
Come nella fiaba di Andersen, anche qui è il possesso di un’anima immortale uno dei temi principali.
Il pescatore non ci pensò un attimo. Che se ne faceva di un’anima umana? Lui voleva solo la piccola sirena.
Andò dal prete, che di queste cose doveva essere esperto, e gli chiese come fare a liberarsi dell’anima. Ma quello si scandalizzò:
«Ma che dici, figliolo! L’anima è la cosa più preziosa, più preziosa di tutto l’oro del mondo!» e lo cacciò via.
Il pescatore non si arrese. Andò dai mercanti, pronto a vendere a loro la sua anima. Ma quelli fecero spallucce:
«Ma che ce ne facciamo di un’anima umana? Non vale manco un soldo d’argento!».
Il pescatore era confuso: il prete aveva detto che non c’era cosa più preziosa; per loro, invece, era il contrario. Ma a lui non importava. Importava solo della sua amata sirenetta. Per averla, avrebbe dato via anche l’anima. Non sapendo che fare, andò dalla “strega dai capelli rossi”. Riuscì a costringerla a rivelargli il modo per allontanare da lui la sua anima. La strega gli diede un coltello con l’impugnatura fatta di pelle di vipera e gli spiegò che quella che gli umani chiamano ombra del corpo, in realtà è il “corpo dell’anima”. Se voleva liberarsene, doveva andare in riva al mare, volgere le spalle alla luna, tagliare via la sua ombra e ordinarle di andarsene. Questo espediente per così dire “neverlandiano” funziona.
Ma l’Anima, liberata dal resto del corpo, lo pregò di non lasciarla da sola:
«Dammi almeno il cuore! Come farò senza un cuore?».
«E io come farò ad amare la mia amata, senza un cuore?» ribatté lui.
L’Anima allora capì che non avrebbe ottenuto nulla da lui. Prima di andarsene, però, gli disse che ogni anno sarebbe ritornata lì, su quella riva, ad aspettarlo. Ma il pescatore non la udiva già più. Si era tuffato in mare ad abbracciare la sua bella sirena.
Passò un anno e l’Anima tornò. Chiamò il pescatore e gli disse che, nei suoi peregrinaggi, aveva trovato lo Specchio della Saggezza:
«Fammi tornare dentro di te, e la saggezza sarà tua».
«L’Amore è meglio della Saggezza, e la piccola sirena mi ama!» disse quello, e si rituffò in mare.
L’Anima se ne andò via piangendo.
L’anno successivo tornò, e stavolta offrì al pescatore tutte le Ricchezze del mondo.
«L’Amore è meglio delle Ricchezze!» disse lui.
Il terzo anno, l’Anima raccontò di aver visto una donna bellissima, che danzava a piedi nudi.
Stavolta il pescatore fu incuriosito. La sirenetta non aveva piedi e gli prese un bel desiderio di vedere quella fanciulla. E così, lasciò che l’Anima tornasse in lui e lo guidasse. Per strada, però, la sua Anima gli fece fare cose terribili, perfino uccidere e derubare.
«Odio quello che mi hai fatto fare! Perché?» chiese il pescatore.
«Quando mi hai scacciato, ti sei rifiutato di darmi un cuore, e per il mondo io ho imparato a fare tutte queste cose e ad amarle».
Il pescatore allora prese il coltellino, diede le spalle alla luna e tagliò via di nuovo la sua Anima. Ma quella non lo voleva più lasciare. Tuttavia, non riusciva a entrare nel suo cuore: l’amore lo circondava rendendolo impenetrabile.
Intanto, la sirenetta era scomparsa. Non si faceva più trovare da lui, che aveva comunque un’Anima umana sempre al suo fianco.
Finché un giorno il mare stesso sussultò in tumulto e le onde portarono ai suoi piedi il corpo senza vita della bella sirena. Il pescatore corse da lei e la tenne stretta tra le sue braccia. Pianse e si disperò, e il suo cuore si spezzò. Fu allora che l’Anima riuscì a ritornare in lui, ma proprio allora il mare si gonfiò e li inghiottì entrambi.
Fu il prete a trovare sulla riva i cadaveri dei due amanti. Maledisse allora il mare e le sue creature e ordinò che i due innamorati fossero sepolti, senza segni, nell’angolo del Campo dei Follatori.
Qualche tempo dopo (era un giorno sacro), il prete andò nella cappella e trovò sull’altare dei fiori bellissimi e odorosi, come non ne aveva mai visti.
«Da dove vengono? Chi li ha portati?».
«Non sappiamo chi li ha portati, ma vengono certamente dall’angolo del Campo dei Follatori».
Il prete tacque.
L’indomani, all’alba, si recò sulla spiaggia e benedisse il mare e tutte le creature selvagge che vi abitavano, e tutte quelle che popolavano il vasto mondo. Nessuna esclusa. E la gente fu piena di gioia e meraviglia.
Lavinia Scolari