Recensione: “Mangiatori di morte” (Eaters of the dead, 1976) di Michael Crichton

Un romanzo di Crichton? Davvero?

clip_image001Non so a quanti, presi dalla passione del fantastico o quanto meno dall’irrequietudine, sia venuta voglia prima o poi di leggere i progenitori del genere: quelle cronache antiche gremite di popoli sconosciuti, leggende e mostri, oscillanti tra il realismo dell’Anabasi di Senofonte e la fantasia sfrenata della Navigazione di San Brandano, passando per il Milione. In queste letture lascia esterrefatti la piattezza della narrazione: ogni giorno, tante miglia percorse, tanti villaggi incontrati ed enumerati.. ogni tanto uno spunto fantastico, su cui poi si è ricamato per secoli, però buttato lì, senza troppo curare intreccio, suspense, personaggi..

Queste opere sarebbero in sostanza grandi mattoni, “great bores”, diceva un amico di Crichton: e lui, sgobbone brillante qual era, ha voluto dimostrare che non è vero: e far splendere di nuovo quello che per gli anglosassoni è il “mattone” più importante di tutti.

Con un attento lavoro di taglia e cuci di testi antichi, ha iniziato con il vero resoconto dei viaggi di Ahmed ibn Fadlan, viaggiatore arabo intorno all’anno 900 d.C. a cui dobbiamo la prima menzione della parola “Rus”, insomma il massimo della scienza e della razionalità; per poi immaginarlo trascinato dalle circostanze in mezzo a una ciurma di vichinghi, impegnati a soccorrere il regno di un conoscente, flagellato da incursioni di mostri. E man mano che si legge, nomi come Wulfgar, Rothgar, Higelac fanno suonare campanelli; finchè il capitano vichingo, in un feroce scontro notturno, riesce a strappare un braccio a uno dei misteriosi invasori e lo inchioda come trofeo all’ingresso della sala del trono.. ma è il Beowulf!

Proprio così: di questo magnifico poema ai primordi della letteratura inglese Crichton ha voluto scrivere una versione ammodernata nella struttura di racconto di viaggi e “razionalizzata” nella sostanza. Il recalcitrante osservatore arabo, appartenendo alla civiltà più avanzata dell’epoca, ha la razionalità per falsificare le superstizioni vichinghe: le mostruose creature notturne in realtà, durante i loro raid, lasciano cadere le maschere di animali che le rendevano mostruose; il dragone luminoso che minaccia di incendiare il villaggio è una processione di cavalieri con fiaccole. Registra anche, allibito, quello che l’epica non aveva raccontato: il lerciume generalizzato di guerrieri che non si lavano mai e deridono le abluzioni del nostro musulmano prima di ogni preghiera; costumi come quello della schiava lieta di offrirsi per accompagnare nel rogo il padrone defunto, dopo essersi offerta un’ultima volta a tutto l’equipaggio di lui (se credevo che la condizione della donna nel Nord Europa fosse migliore perché era mancata la tradizione della schiavitù greco-romana.. avevo proprio preso una cantonata: tra i vichinghi le schiave sono sempre presenti e costantemente oggetto delle attenzioni più pesanti, anche in pubblico, oltre che essere una delle “merci” più scambiate); la fobia di perdere il naso in battaglia, peggio che se fosse una mano.

Quello che nemmeno ibn Fadlan può capire della natura dei mostri, al lettore moderno Crichton lo fa intuire: facendo comparire certe statuine, che riempiono i vichinghi di sacro terrore..

L’autore si diverte anche a mettere alla berlina il suo Arabo, dai terrori altrettanto strani perché nati anch’essi da una cultura remota: “piuttosto giacere con una donna nei suoi giorni impuri, o bere da una coppa d’oro, o mangiare gli escrementi di un maiale (l’animale impuro per eccellenza per i musulmani) che calarsi da una scogliera”.. cosa che comunque i nordici compagni lo costringeranno a fare.

Anzi, tramite una serie di dotte (e fittizie) note a piè di pagina e dispute filologiche, l’autore mette in dubbio la stessa credibilità del suo narratore, influenzato dai pregiudizi della sua cultura. È davvero sorprendente leggere un Crichton che imita testi antichi, gioca con il lettore e usa testi immaginari (nella bibliografia finale, compare anche il Necronomicon di un certo Abdul al-Alhazred..): come se volesse dimostrare di aver letto Borges. Alla fine il romanzo è un pastiche raffinato e divertente, anche se risente dello stile arcaizzante; del tutto atipico nell’opera di Crichton.

La saga originale di Beowulf appartiene al fantasy; la sua trascrizione “razionalista” (ma non troppo) sarebbe un fantasioso romanzo storico; in realtà però Crichton pone ipotesi abbastanza ardite sullo sviluppo dell’uomo, quindi penso si possa considerare fantascienza del filone “antropologico” inaugurato da Chad Oliver.

Antonio Ippolito

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