Far Far Away… I Classici della Fiaba: “Cappuccetto Rosso e Cappuccetto d’Oro”

Cappuccetto Rosso è una fiaba famosissima, conosciuta in tutto il mondo, e forse una delle prime fiabe che si raccontano ai bambini. Ma è anche la fiaba che ha cooperato più di altre a consacrare la figura del lupo come villain tipico del fairytale.

Una delle versioni scritte più antiche è quella latina di Egberto di Liegi, datata 1023, in cui si racconta di una bambina che si accompagnava a un branco di lupi e che portava un bel mantello tutto rosso con cappuccio. Anche qui la bambina viene inghiottita tutta intera da uno dei lupi, ma viene salvata dai cuccioli del branco, che la tirano fuori illesa, sostituendola nella pancia del lupo con un grosso masso. A ben vedere, è lo stesso escamotage  che, nel mito greco, viene usato contro il dio Chronos, che per paura di essere spodestato, come aveva predetto un oracolo, divorava tutti i suoi figli, finché al posto dell’ultimo nato, il piccolo Zeus, sua moglie Rea gli offrì un grosso sasso. E quando Zeus crebbe, in effetti lo sconfisse e spodestò, liberando i suo fratelli (gli dèi Estia, Demetra, Era, Ade e Poseidone).

Nonostante la storia di Cappuccetto Rosso sia così famosa, non tutti sanno che la prima versione registrata per iscritto, quella di Charles Perrault del 1697, è ben lontana dall’avere un lieto fine.

Nel racconto del favolista francese, Cappuccetto Rosso (Le Petit Chaperon Rouge) è una bimba assai graziosa, amatissima dalla mamma e dalla nonna, che deve il suo nome al cappuccio cucitole dalla prima. Un giorno, sua madre le consegnò un cestino che conteneva un vasetto di burro e una torta (une galette) – che, nella traduzione di Carlo Collodi, diventerà una “stacciata”, tipico dolce livornese – e le chiese di portarli alla nonna, che stava poco bene. Nel viaggio, come noto, Cappuccetto incontra il lupo cattivo. Questi si trattiene dal divorarla subito per paura dei taglialegna che si trovano nei paraggi. Propone invece alla piccola di fare a gara a chi arriverà per primo a casa della nonna. Ma il lupo indica alla bambina la via più lunga e lui imbocca una scorciatoia correndo a perdifiato. Così, mentre Cappuccetto Rosso si attarda a cogliere fiori e a inseguire farfalle, il lupo arriva a casa della nonna, si finge la nipotina, entra e la divora. Poi ne indossa camicia da notte e cuffietta e si ficca nel suo letto. Quando arriva Cappuccetto, il lupo travestito la fa entrare e la invita a coricarsi con lui, per avvicinarla e impedirle di scappare. La piccola obbedisce, si spoglia e si mette sotto le coperte con la nonna dal vocione sospetto. A questo punto la storia è nota a tutti: i due si scambiano le celebri battute “che orecchie grandi che hai!”, “che occhi grandi che hai”, etc… finché la bambina non menziona “la bocca grande” della nonna/lupo, che esclama così: “per mangiarti meglio!” e ne fa un sol boccone.

La storia finisce qui. Nessun cacciatore a salvare nonna e nipote, le due sono entrambe finite nella pancia del lupo, che è il trionfatore del racconto. Perrault commenta in questo modo la sua fiaba:

La storia di Cappuccetto Rosso fa vedere ai giovinetti e alle giovinette, e segnatamente alle giovinette, che non bisogna mai fermarsi a discorrere per la strada con gente che non si conosce: perché dei lupi ce n’è dappertutto e di diverse specie, e i più pericolosi sono appunto quelli che hanno faccia di persone garbate e piene di complimenti e di belle maniere (trad. di Carlo Collodi).

A dotare il racconto di Cappuccetto Rosso di un finale meno oscuro saranno – caso raro! – i fratelli Grimm.

Nella fiaba dei Grimm (1812), a regalare alla bambina un cappuccio di vellutoChaperonRouge rosso è la nonna, non la madre, e poiché alla bambina “donava tanto e non voleva portare altro” la presero a chiamare Cappuccetto Rosso. La mamma un giorno le diede un cesto con una focaccia e una bottiglia di vino e le disse di andare a portarlo alla nonna, che era molto malata e abitava in un villaggio vicino, separato dal loro solo da un boschetto. Ma prima di lasciarla andare, la donna si raccomandò con

Cappuccetto Rosso di non uscire di strada, per non cadere e rompere la bottiglia. La bambina promise e partì.

Il resto della storia segue la versione canonica, con qualche particolare in più, fino al momento in cui il lupo, come da copione, ingoia prima la nonna e poi la nipotina e, sazio e stanco, si addormenta.

Poiché “russava sonoramente”, il cacciatore, che passava di lì, s’insospettì ed entrò per vedere che tutto andasse bene. Vide il lupo che cercava da tempo e fu lì lì per dargli una schioppettata. Ma poi si disse che probabilmente quello si era pappato la vecchina che abitava in quella casa e pensò che forse poteva ancora salvarla. Così, con un paio di forbici tagliò la pancia del lupo e da lì uscirono intatte la nonna e Cappuccetto Rosso. La pancia del lupo fu riempita con pietre così pesanti che quando quello si svegliò e provò a scappare, rovinò a terra e morì. L’introduzione nella fiaba del personaggio del cacciatore, però, non è opera dei Grimm. Questi la derivarono con ogni probabilità dall’omonima opera teatrale di Tieck (1800), in cui, tuttavia, l’uomo arrivava quando ormai non c’era più nulla da fare per la bambina.

Ma la storia dei Grimm non è ancora finita. C’è un seguito, che dimostra come Cappuccetto abbia imparato la lezione.

Poco tempo dopo, Cappuccetto stava portando una focaccia alla nonna e si imbatté in un altro lupo, che cercò come il primo di ingannarla. Ma la bambina lo ignorò e proseguì dritto per la sua strada. Anzi, giunta a casa della nonna, le raccontò tutto. Com’era prevedibile, di lì a poco il lupo bussò alla porta fingendosi Cappuccetto. Le due non gli aprirono e quello salì sul tetto in attesa che facesse buio e la bambina tornasse a casa, per aggredirla e mangiarsela.

cappuccettoperraultLa nonna capì le intenzioni del lupo e ordinò a Cappuccetto di versare dell’acqua in un vecchio trogolo di pietra che c’era davanti casa, vale a dire una vasca, nella quale il giorno prima aveva fatto bollire delle salsicce. Quando l’acqua fu versata, l’odore delle salsicce di cui era ancora impregnato salì fino alle narici del lupo, che ne fu attratto e si sporse tanto che cadde giù dal tetto, finì nella vasca piena d’acqua e vi annegò. “Invece” concludono i Grimm “Cappuccetto Rosso tornò a casa tutta allegra e nessuno le fece del male”.

Alcuni mettono in rapporto la fiaba di Cappuccetto Rosso con una novella del Decameron di Boccaccio, la settima novella della nona giornata, quella di Talano d’Imolese e la moglie Margarita. Talano, una notte, sognò che la moglie, recatasi nel bosco, fosse aggredita alla gola da un lupo e ne uscisse tutta malandata. Anche se lei era capricciosa e non faceva mai quello che le si diceva, Talano le raccontò il sogno e le chiese di non uscire di casa, almeno per quel giorno. Ma lei non si fidò: “chi mal ti sogna, mal ti vuole!” esclamò. E poiché quello insistette dicendo che era per il suo bene, Margarita si convinse che fosse un trucco per tenerla lontana dal bosco, dove per certo quell’infingardo del marito aveva dato appuntamento a qualche donnetta. E così, quando Talano uscì da una porta, lei uscì dall’altra e si recò nel bosco. Ma lì accadde proprio come predetto dal sogno: un lupo grande e feroce venne fuori dalla macchia e l’assalì alla gola. E se un gruppo di pastori capitati lì per caso non l’avesse messo in fuga, l’avrebbe certo sgozzata. Fu subito portata dai medici, che fecero il possibile e le salvarono la vita. Ma parte del collo e del viso rimase “guasto” per sempre. “Laonde ella, vergognandosi d’apparire dove veduta fosse, assai volte miseramente pianse la sua ritrosia e il non avere, in quello che niente le costava, al vero sogno del marito voluto dar fede”.

In una versione persiana del racconto, il protagonista è un ragazzo, cui la mamma affida il compito di portare il cestino del pranzo al padre, intento a lavorare nei campi che si trovano dall’altra parte di un bosco. Il ragazzo, attraversando il bosco, incontra un lupo e la conversazione fra i due è simile a quella consueta. Il lupo carpisce le informazioni che gli servono e precede il bambino nella casa in cui alloggia suo padre, ma questi non c’è, perché è nei campi. Quando il ragazzo arriva, il lupo lo invita a entrare, spogliarsi e venire a letto a riposare accanto a lui. Quello, scambiandolo – non si sa bene come! – per il padre, accetta senza esitare. Ma ecco che l’uomo torna appena in tempo e uccide il lupo cattivo con un sol colpo, salvando il suo figliolo.

Italo Calvino, nelle sue Fiabe Italiane, ne inserisce una di origini abruzzesi dal cappuccetto-rossotitolo “La finta nonna”. Nella fiaba, il ruolo del lupo è giocato da un’Orca pelosa. La bambina protagonista (che qui non ha nome) viene mandata dalla mamma a prendere un setaccio a casa della nonna. Per arrivare lì, deve però superare il Fiume Giordano e la Porta Rastrello. Al primo cede in cambio le sue ciambelle e alla seconda il pane con l’olio. Giunta dalla nonna, che in realtà è l’Orca travestita, la piccola lamenta un certo appetito. L’Orca, che ha già fatto un boccone della nonna, le suggerisce di mangiare i fagiolini di un pentolino oppure le frittelle della padella. Ma sono cibi o troppo duri o poco croccanti: si tratta in realtà dei denti della nonna e delle sue orecchie, che l’Orca ha scartato. La piccola viene invitata dunque a coricarsi con lei e obbedisce. Tastando la nonna, si accorge che è davvero più pelosa del solito:

“Perché hai le mani così pelose, nonna?”

“Per i troppi anelli che portavo alle dita”.

Le toccò il petto: “Perché hai il petto così peloso, nonna?”

“Per le troppe collane che portavo al collo.”

Le toccò i fianchi: “Perché hai i fianchi così pelosi, nonna?”

“Perché portavo il busto troppo stretto”.

Le toccò la coda e pensò che, pelosa o non pelosa, la nonna di coda non ne aveva mai avuta. Quella doveva essere l’Orca, non la nonna.

Niente traccia della bocca grande o delle grandi orecchie. La bambina capisce dalla coda che non si tratta della sua nonna. E così, con un escamotage (dice semplicemente di dover fare un bisognino) si fa calare giù nella stalla e fugge via. L’Orca allora ordina alla Porta Rastrello di non farla passare, ma quella esclama: “Sì che la faccio passare, perché m’ha dato il pan coll’olio!”. Lo stesso ordina al Fiume Giordano, ma quello ribatte: “Sì che la faccio passare, perché m’ha dato le ciambelle!”.

Allora l’Orca tenta l’inseguimento. Il Fiume, però, non abbassa la corrente e la travolge trascinandola via, mentre la bambina, sana e salva su una delle sue rive, le fa gli sberleffi.

090_1Nel 1974, Italo Terzoli ed Enrico Vaime riscrissero la fiaba rovesciando dinamiche e natura dei protagonisti. Infatti, nel loro “Il Lupo buono”, il lupo Michele, io narrante della storia, è sotto processo con l’accusa di aver aggredito la nonna in casa e sta testimoniando per ristabilire la verità dei fatti. Questi racconta che, imbattutosi in Cappuccetto Rosso, fu invitato dalla piccola ad accompagnarla dalla nonna, dove accetta di fermarsi a prendere il tè. Ma all’improvviso un cacciatore sbuca dal nulla, furioso per essere stato “disturbato” mentre cercava di rubare a casa della nonna, e punta contro quest’ultima il fucile. Per salvarla, il buon Michele si frappone fra lei e l’uomo e viene ferito al suo posto. Nessuno tuttavia crede al racconto del lupo, nemmeno il giudice, che alla fine sentenzia la colpevolezza di Michele e assolve il cacciatore. Questi, colpo di scena!, non è altri che Charles Perrault travestito, il vero responsabile delle annose calunnie contro i lupi e della cattiva fama che ne consegue.

Una delle versioni meno conosciute è certamente quella registrata nel Libro Rosso delle Fiabedi Andrew Lang, dal titolo “La vera storia di Cappuccetto d’Oro”. L’autore inizia citando la fiaba di Cappuccetto Rosso per grandi linee e soggiunge: “beh, la vera storia è un po’ diversa, come adesso vedremo”.

«Innanzitutto, la ragazzina era chiamata – e ancora si chiama – Cappuccetto d’Oro (Little Golden-hood); e in secondo luogo, non fu lei, o la nonna, ma il lupo cattivo a essere, infine, preso e divorato».

Lang prosegue raccontando di una bambina bella e graziosa come una stella nella sua stagione, che si chiamava Blanchette, ma che tutti chiamavano Cappuccetto d’Oro per via del mantello che portava sempre, che aveva un cappuccio color dell’oro e del fuoco. Questo mantello le era stato regalato dalla nonna, che era così anziana che nessuno sapeva che età avesse davvero. La nonna le disse che il cappuccio le avrebbe portato fortuna, perché era stato fatto con un raggio di sole. E poiché la vecchietta era considerata una strega buona, si diceva che il suo cappuccio fosse incantato.

Anche qui la storia procede come da copione. La mamma affida a Cappuccetto d’Oro un canestro con una fetta di torta per la festa della domenica da portare alla nonna, quasi per metterla alla prova: “vediamo se te la sai cavare”, le dice. E le raccomanda di non fermarsi a parlare con nessuno mentre attraversa il bosco per recarsi al villaggio dove abita la nonna. Ma nel tragitto, Cappuccetto d’Oro incontra quello che si presenta come Friend Wolf, l’amico Lupo. Questi, vorrebbe istintivamente aggredirla subito, ma qualcosa lo trattiene: i taglialegna che lo tengono d’occhio da lontano.

Comincia il colloquio. Il Lupo s’informa su dove stia andando la piccola, eLittle_Red_Riding_Hood dove abiti questa nonna di cui dice. “Ti precederò” soggiunge allora quel cattivone, “così le dirò che stai per arrivare e lei ti aspetterà”. Accordàti a questo modo, quando il lupo arriva alla casa della nonna di Cappuccetto d’Oro, colpo di scena, non vi trova nessuno! La nonna, infatti, che era anziana, sì, ma in piena salute, era uscita di buon mattino per andare in città a vendere le erbe del suo orto e aveva fatto tutto così di fretta da lasciare il suo berretto da notte sul cuscino. Il lupo si infila allora il berretto in testa e si mette a letto.

Cappuccetto d’Oro arriva e inizia il solito dialogo. Ma qui, la bambina è più sveglia: “Assomigli molto all’amico lupo, nonnina” le dice subito. E dopo il botta e risposta su occhi grandi e grandi orecchie, arrivati alla bocca, troppo grande per essere della nonna, il lupo replica: “è per sgranocchiare i bambini” e si fionda su Cappuccetto, ma questa, più svelta di lui, si abbassa e il lupo riesce a ingoiare solo il cappuccio d’oro. Ed è come se avesse inghiottito dei carboni ardenti: si dimena, piange, urla, ulula. Il cappuccio brucia la sua lingua fin nella gola. Esso è infatti uno degli antichi cappucci magici che si usavano un tempo per diventare invisibili o invulnerabili. Il lupo, dolorante e gemente, trova la porta e fa per fuggire, ma ecco di ritorno la nonna col suo sacco vuoto. Non appena avvista il lupo, lo apre e quello gli si ficca dentro da solo. La nonna lo chiude all’interno e lo porta al pozzo, dove svuota il sacco. Il lupo vi cade dentro e vi annega. E col suo pelo la nonna fece far a Cappuccetto d’Oro un bel manicotto, e poiché quel cattivo avrebbe voluto “sgranocchiarla”, portò la sua carcassa ai cani perché fosse lui ad essere sgranocchiato.

Infine, la bambina promise che non si sarebbe più fermata a parlare con gli sconosciuti nel folto del bosco e mantenne la parola.

“E quando fa bel tempo, puoi vederla nei campi col suo grazioso cappuccio color del sole. Ma se proprio vuoi vederla, devi alzarti molto presto”.

Lavinia Scolari

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