La fiaba è giunta a noi per tradizione orale come massima espressione della gente comune.
Ma il termine è molto generico e merita di essere approfondito.
La parola fiaba ha un significato che prende corpo solo di recente e di solito viene utilizzata per indicare una narrazione per bambini, orale o scritta. Ma gli scrittori fanno distinzione tra fiaba – quella tipica dei fratelli Jakob e Wilhelm Grimm e di Charles Perrault – e favola, priva di magia come nelle opere di Esopo, Fedro e Jean de La Fontaine.
Il termine, dal latino fabula, indica “una novella, racconto o commedia, di origine popolare e fantastica” (Zingarelli). “Un racconto fantastico, per lo più di origine popolare, in cui agiscono esseri umani e creature provviste di poteri magici come maghi, fate, streghe e gnomi, animali e cose parlanti” precisa il dizionario Garzanti nel 1987.
Soltanto con la traduzione dei fratelli Grimm fatta da Clara Bovero nel 1951 si è affermato a poco a poco quel concetto di fiaba oggi in uso. In nessun’altra lingua europea esisteva un termine tanto specifico per denominare il genere: persino le fiabe di Giambattista Basile si chiamavano cunti(racconti), tant’è che nell’Italia del periodo si parlava ancora indistintamente di racconti, fiabe e novelle.
Correttezza del termine a parte – che poco importa in questo approfondimento – ritroviamo dietro alla scrittura delle Fiabe del focolare dei Grimm un’intenzione culturale e scientifica. Scrive Teresa Buongiorno in un’eccelsa prefazione sulla fiaba: “Studiosi di antichità, medievisti e filologi, i due fratelli mirarono a fondare l’unità culturale tedesca sulle comuni tradizioni e sul linguaggio comune”.
Anche Peter Christen Asbjorsen e Jorgen Engebretsen Moe cominciarono a raccogliere fiabe norvegesi per liberare la loro lingua dalla soggezione a quella danese, contribuendo a diffondere in ambito letterario la parlata della gente comune, mentre Joseph Wood Campbell percorreva le Highlands per trascrivere e conservare le antiche fiabe in gaelico scozzese prima che la lingua inglese prevaricasse su di esse.
È importante sottolineare che le fiabe del nostro immaginario non corrispondono a quelle della narrazione orale, ma sono frutto del più recente prodotto letterario e cinematografico. Dobbiamo considerare letteratura le fiabe di Hans Christian Andersen (La Sirenetta, La piccola fiammiferaia, Il brutto anatroccolo) e di Wilhelm Hauff; sono fiabe d’altro canto Alice nel paese delle meraviglie diLewis Carroll, il quale cerca di riscattare la narrazione per bambini dalla lezione morale, e l’opera di James Matthew Barrie, che traccia i confini di un’Isola che non c’è per esorcizzare la morte e perpetuare la vita. È fiaba Il meraviglioso mago di Oz, che si pone come prima opera di contestazione della fiaba tradizionale, spaventosa e orrorifica.
In Italia va spesa senza dubbio qualche parola per Vittorio Imbriani, Domenico Comparetti e Giuseppe Pitré, i quali hanno trasmesso la loro passione ad altri ricercatori locali, e con essi sono riusciti a radunare una grande quantità di narrazioni tratte dalla voce del popolo. Ma sarebbe stato un patrimonio destinato a estinguersi se non fosse stato per Italo Calvino, chiamato da Einaudi nel 1954 a vestire i panni dei fratelli Grimm con le Fiabe italiane raccolte dalla tradizione popolare durante gli ultimi cento anni e trascritte in lingua dai vari dialetti da Italo Calvino.
Proprio attraverso il genere comico-fiabesco dei romanzi brevi Il visconte dimezzato, Il barone rampante, Il cavaliere inesistente, la narrativa di Calvino approda ai suoi risultati più originali. La trilogia si ricollega al mondo dei cavalieri del Rinascimento per creare un tipo di fiaba capace di affrontare i temi più scottanti della realtà con intenti pedagogici.
Nell’attesa della raccolta del 1954 di Calvino, in Italia la fiaba era diventata dominio degli autori per bambini sull’esempio diCarlo Collodi e del suo Pinocchio, andando a sostituire con un intento morale la caratteristica fiaba delle origini, vale a dire l’equivalente antico dell’horror odierno.
Grande teorico della fiaba è stato John Ronald Reuel Tolkien, non solo con Lo Hobbit, trasposto da Peter Jackson nelle sale cinematografiche. Nel saggio Sulle fiabe, il professore di Oxford studia le origini, il significato e la funzione del genere, realizzando un’attenta analisi dei racconti di ogni tempo.
Ancora oggi possiamo riconoscere l’eredità della fiaba nei racconti fantastici, nelle storie di Fantascienza, Fantasy, Horror e in tutti quegli altri particolari generi dove si incontrano esseri incredibili e accadono fatti straordinari.
Ma è soprattutto nella narrativa per ragazzi a essere evidente l’eredità della fiaba. Questo non vuol dire che non sia stata rivisitata anche nella narrativa per adulti. Nell’ambito del Fantasy, si possono citare gli autori che per primi hanno portato in Italia il sottogenere dell’urban: Luca Tarenzi e Francesco Dimitri. Tarenzi è l’autore del Sentiero di legno sangue, rielaborazione in chiave new weird di Pinocchio, mentre Dimitri ha scritto Alice nel Paese delle Vaporità, dove l’antropologa Alice viaggia nella Steamland, una terra invasa da un gas che provoca allucinazioni e mutazioni. Quella della moderna Alice parte come una ricerca, ma si trasforma subito in una lotta per la vita e per la morte, in una terra oscura senza differenza tra orrore e meraviglia.
Un’Alice che non viene a mancare nemmeno nelle sale cinematografiche, in un periodo nel quale il cosiddetto remake sembra non scomparire mai di moda. Dopo le molteplici versioni Disney delle opere dei fratelli Grimm, le fiabe ritornano in gran voga – e con tutti gli effetti speciali che l’ultimo ventennio ha saputo offrirci – con Hook Capitan Uncino, I fratelli Grimm e l’incantevole strega,L’apprendista stregone, Hansel e Gretel – Cacciatori di streghe, Alice in Wonderland, Biancaneve e il cacciatore, Il grande e potente Oz, solo per riportare alcuni esempi, affiancati dalle serie TV Grimm e C’era una volta (Once upon a time).
Per quanto riguarda il Fantasy epico, invece, è impossibile non ricordare i primi racconti scritti dal polacco Andrzej Sapkowski sullo strigo Geralt di Rivia ne Il guardiano degli innocenti. Non capita spesso, infatti, di leggere di principesse con una sfrenata tendenza alla crudeltà poiché nate dopo una oscura eclissi, tra cui si annoverano una certa Fialka, rinchiusa in una torre e scappata calandosi con le proprie trecce per terrorizzare il Velhad Settentrionale, o una “Biancaneve” fuggita dal guardacaccia per poi convincere i nani che sia più proficuo derubare i mercanti piuttosto che riempirsi i polmoni di polvere in una miniera.
Alfonso Zarbo
Le edizioni più recenti
Christian H. Andersen, Roberto Piumini (a cura di), La sirenetta, EL, 2012.
Italo Calvino, Il visconte dimezzato, Mondadori, 2010.
Italo Calvino, Il barone rampante, Mondadori, 2010.
Italo Calvino, Il cavaliere inesistente, Mondadori, 2010.
Jacob e Wilhelm Grimm, Fiabe, Einaudi, 2005.
James Matthew Barrie, Peter Pan. Il bambino che non voleva crescere, Feltrinelli, 2004.
Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie, Feltrinelli, 2002.
Carlo Collodi, Pinocchio, Feltrinelli, 2002.
Italo Calvino, Il castello dei destini incrociati, Mondadori, 1999.
Fonti
Teresa Buongiorno, Dizionario della Fiaba, Antonio Vallardi Editore, 1997.
Stefano Ferrari, Fantastica Adelphi, http://www.fantasymagazine.it, ottobre 2012.