Le Cronache di Corum di Michael Moorcock

The-Chronicles-of-CorumCome il più famoso Elric, Corum è un’incarnazione del Campione Eterno, unica costante negli universi paralleli di Moorcock insieme alla città di Tanelorn, alla Spada Nera ed al “compagno” dell’eroe; come Elric, egli appartiene ad una razza “aliena” all’umana: per Elric erano i Melniboneani, per Corum i Vadhag. Entrambi rimangono coinvolti nella lotta fra Legge e Caos e nei tentativi degli Dei di far pendere la bilancia dell’Equilibrio Cosmico dalla loro parte. Ma mentre Elric è uno strumento di Arioch, doppiogiochista divinità caotica, Corum serve involontariamente Arkyn, il Signore della Legge.

Nelle intenzioni di Moorcock Elric doveva essere, ed è, una specie di Anti-Conan: lo scrittore inglese, un tempo grande ammiratore di Robert Erwin Howard, aveva sviluppato ad un certo punto della sua vita una sorta di rifiuto dell’archetipo dell’Eroe tipico Sword and Sorcery. Dove Conan era sovrumanamente forte, Elric era debole e costretto a dipendere dalle droghe; Conan odiava la magia e le armi magiche, mentre Elric è uno stregone e dipende in tutto e per tutto dalla sua crudele Spada Magica Stormbringer. Conan salva sempre le damigelle in pericolo e vince con la forza della spada il suo trono, mentre Elric, uccide l’amata Cymoril (seppur involontariamente) e causa la caduta della Città Sognante, il suo trono di diritto. C’è una vena di pessimismo stagnante in Elric, ed una mancanza di linearità nella descrizione delle sue avventure.

Corum, da questo punto di vista, è molto più classico: le sue storie hanno uno svolgimento più memorabile e meno psichedelico, sebbene contengano quelle costanti che rendono Moorcock uno scrittore indimenticabile ed originale.

Venendo alla storia, Corum Jhaelen Irsei, ovvero Corum il Principe dal Mantello1972064 Scarlatto, appartiene alla razza dei Vadhagh; per secoli Vadhag e Nhadragh (una razza di uomini bestia) si sono contesi la Terra in una guerra senza fine. Non c’era odio fra loro, piuttosto il desiderio di far prevalere una cultura sull’altra: i Vadhagh non hanno emozioni, vivono tutta la loro lunghissima vita in studio e contemplazione. Tanto sono presi da questa vuota contemplazione del creato, del tutto fine a se stessa, che gli dei del caos, capricciosi e annoiati, che poco potere hanno su di loro così privi d’emozione, decidono di distruggerli. Per farlo creano una razza fin troppo schiava delle emozioni: i Mabden, cioè gli uomini.

Prima che i vecchi e saggi Vadhagh si rendano conto di quello che succede, i Mabden sterminano e schiavizzano i loro nemici Nhadragh, per poi passare a loro.

Corum, in viaggio fra i castelli Vadhagh alla ricerca di parenti da troppo tempo perduti e di una moglie con cui perpetuare la sua stirpe, scopre che i Mabden hanno ucciso tutti; da quel momento inizia per lui una terribile ordalia, che lo porterà amaramente a riacquistare quelle emozioni che la sua razza così civilizzata aveva da tempo perduto: paura ed apprensione dapprima, poi furia e odio, infine coraggio e crudeltà. Tornato al suo castello, Corum lo trova distrutto, i suoi occupanti,genitori e parenti, uccisi e seviziati; in cerca di vendetta egli insegue i Mabden responsabili, li affronta da solo, e viene sconfitto.

Il loro capo, Glandith, lo tortura orribilmente: gli cava un occhio, gli mozza una mano; Corum riesce, facendo appello a poteri magici dimenticati, a fuggire. Nella sua mente c’è un unico pensiero: è l’ultimo dei Vadhagh, e l’unica cosa che lo tiene in vita è il suo desiderio di vendetta.

4194239514_88e63eae2cBen presto però Corum scoprirà che non tutti i Mabden sono crudeli selvaggi; alcuni uomini lo salvano e lo curano, lo conducono al loro castello, dove viene accolto da Rhalina, la loro bella Signora. Quando l’amore sboccia fra di loro, il desiderio di vendetta di Corum viene meno, almeno finchè Glandith ed i suoi uomini non vengono ad assediare la sua nuova casa ed i suoi alleati. Per salvare la situazione, Rhalina è costretta ad usare poteri proibiti, risvegliando i morti, ma promettendo in cambio la sua anima al Necromante Shool-an-Jivan.

Per salvare la sua amata, Corum parte per l’isola del Necromante, e qui si accorda con lui: egli restituirà Rhalina, in cambio del cuore di Arioch, il Cavaliere di Spade: Shool infatti crede di essere abbastanza potente per prendere il posto di questo dio del caos. Per permettere a Corum di affrontare Arioch e vincere, Shool gli dona due oggetti, appartenenti a due divinità dimenticate: l’Occhio di Rhynn e la Mano di Kwll. Tutto ciò che la Mano, incrostata di rubini e dotata di sei dita, uccide, viene imprigionato nell’Occhio, anch’esso di rubino, in una sorta di limbo, da cui Corum può evocare le creature uccise e costringerle a combattere al suo fianco. La Mano, come la spada malefica Stormbringer di Elric, è dotata di volontà propria: avverte Corum dei pericoli e non esita ad uccidere chi è una minaccia per il nostro eroe.

Così iniziano le avventure di Corum, che pian piano scoprirà che i Quindici Piani della realtà dove lui vive, un tempo dominati dall’equilibrio, adesso sono dominio del Caos. Suo malgrado diverrà un agente del misterioso e bonario Arkyn, arrivando ad affrontare, uno ad uno, i tre Signori delle Spade: Arioch, il Cavaliere, Xiombarg, La Regina e Mabelode, il Re.

Trovare la prima trilogia di Corum in Italiano è impresa titanica, essendo stata tradotta all’inizio degli Anni ’70 dalla scomparsa Casa Editrice Delta. Prima trilogia

1971 – Il Signore del Caos (The Knight of the Swords), Delta – Collana di Fantascienza e Fantasia Eroica 2, Sugar Editore, 1973

1971 – La Regina delle Spade (The Queen of the Swords), Delta – Collana di Fantascienza e Fantasia Eroica 7, Sugar Editore, 1974

1971 – Gli dèi perduti (The King of the Swords), Delta – Collana di Fantascienza e Fantasia Eroica 11, Sugar Editore, 1974

La seconda è di più facile reperibilità, essendo stata stampata negli Oscar Mondadori

Seconda trilogia

I tre libri seguenti sono compresi nel volume Le Cronache di Corum, Oscar Fantasy, Mondadori (ISBN 978-88-04-34059-1)

1973 – Il Toro e la Lancia (The Bull and the Spear)

1973 – La Quercia e l’Ariete (The Oak and the Ram)

1974 – La Spada e lo Stallone (The Sword and the Stallion)

corum-iiiSe nel primo ciclo Corum si batteva con le tre divinità del Caos, Arioch, Xiombarg e Mabelode, riuscendo a liberare la Terra dalla loro influenza (ed anche da quella del dio della legge, Arkyn) grazie ad un occhio ed una mano magici, impiantati al posto di quelli crudelmente strappatigli dai Mabden (gli uomini), il secondo vede la figura di Corum fondersi con la Mitologia Celtica ed in particolare Irlandese dei Tuatha de Dannan.

Sono infatti passati secoli dalla fine delle sue ultime avventure: in quanto Vadhagh (una razza che assomiglia ai Melniboneani del ciclo di Elric, e quindi agli elfi immortali di Tolkien) Corum non invecchia, mentre la sua amata Rhalina, essendo umana, ha ormai abbandonato questo mondo. Stanco ed annoiato, Corum si deprime a causa della Pace che lui stesso ha contribuito a creare nel mondo degli uomini: desideroso di azione, avventura e combattimento, il Campione Eterno entra in una spirale autodistruttiva caratteristica dei personaggi di Moorcock.

Finchè giunge inaspettatamente al cospetto della sua fortezza Jhary-A -Conel (corrispettivo di Maldiluna per Elric), cioè il suo antico compagno d’avventure, nonché narratore delle sue gesta; Jhary lo porta a conoscenza di un’impresa degna di essere compiuta: da un altro tempo, e forse da un’altra dimensione, la razza dei Mabden ha bisogno del suo aiuto.

Ormai privo di motivazioni nel mondo di Pace da lui creato, Corum si lascia “evocare” dalla magia dei Mabden in questa nuova Realtà futura: qui scoprirà che gli uomini sono impegnati in una lotta mortale coi Fhoi Myore (chiaro il riferimento ai Fomori Celtici), una razza di semidei che portano il gelo e la distruzione. La cosa più sconcertante è che i Fhoi Myore non compiono stragi per crudeltà, ma per inconsapevole stupidità, nel vano desiderio di trovare un varco che li riporti al loro mondo d’origine, o alla Morte, vista come liberazione dalla decomposizione. Ricalcando la mitologia Irlandese, questi mostruosi semidei (Balhar, cioè Balor Monocolo, Kherenos, ovvero Kurnos guidatore della caccia selvaggia, ed altri facilmente riconoscibili) guidano schiere di mastini mostruosi, Non-Morti e Guerrieri “vegetali” (il Popolo dei Pini), immuni alle armi convenzionali e quindi facilmente trionfanti sul campo di battaglia. Come generale, astuto e crudele, nemesi dell’eroe, ritorna Gaynor il Dannato, dall’armatura del Caos dai colori cangianti, che Corum aveva ucciso e bandito nel limbo nel suo precedente ciclo d’avventure.

2724509Corum, che ha sostituito la sua mano magica con un’altra d’argento di sua costruzione, diventa quindi l’incarnazione di Nuada Mano d’Argento, riconosciuto dai Mabden come uno degli ultimi Sidhi (deformazione del celtico Seidh, cioè elfi), nemici dei Fhoi Myore ed un tempo capaci di sconfiggerli con guerra e magia. Il Campione Eterno è stato evocato con lo scopo di riconquistare una serie d’oggetti, anche questi legati alla Mitologia Irlandese (lancia, spada e calderone più altri facilmente intuibili dal titolo originale), indispensabili per trionfare in questa guerra per la sopravvivenza.

L’impresa di Corum inizia però sotto lugubri presagi: un Oracolo lo avverte di stare in guardia da un Fratello, dalla Bellezza e dalla Musica; da subito egli inizia a sentire la melodia dell’Arpa del Dagda, che gli porta visioni ed incubi. La bellezza è sicuramente quella di Mebdh, splendida guerriera dai lunghi capelli rossi, figlia di Re Mannach: ma come può quella bellissima fanciulla, di cui diverrà amante appassionato, rappresentare un pericolo per lui? Infine il Fratello: è forse Gaynor, unico sopravvissuto alle antiche Ere e sua nemesi, per questo suo quasi omologo, oppure esiste un altro doppio malvagio dello stesso Corum?

Il Principe dalla Veste Scarlatta, Campione Eterno, Corum dalla Mano d’Argento inizierà la sua impresa, intrecciando alleanze con i pochi Sidhi superstiti, fra cui il Nano Goffanon ed il Gigante Ilbrec; viaggierà fino alla mitica Hy Braesil e nella maledetta Ynis Scaith, si ricongiungerà a Jhary-A-Conel e forgerà l’alleanza fra le tribù Mabden sopravvissute, fino al raggiungimento dello scopo finale.

Senza niente aggiungere alla trama, rimane da esprimere un giudizio globale sull’opera: da una parte è interessante vedere da dove si originino miti ed idee mutuate a varie riprese anche da altri autori più o meno dotati. Per noi italiani, abituati alla Mitologia Greco-Romana, la Mitologia Celtica e Irlandese è misconosciuta; ma per autori anglosassoni risulta certamente più facile e quasi automatico attingerne a piene mani, in modo più o meno velato. Moorcock preferisce una riscrittura quasi pedissequa di questa mitologia, storpiandone appena i nomi, per darci ad intendere che anche all’origine dei nostri miti si può trovare la sua idea di Campione Eterno.

Altri, come l’abile George Martin per le sue “Cronache del Ghiaccio e del Fuoco”, usano la stessa idea (i Fomori portatori di freddo eterno e Non-Morti) specialmente per la parte strettamente Fantastica del suo Epos; gli stessi autori del Background di Warhammer per la Games Workshop, in particolare coloro che hanno scritto il manuale degli Elfi Silvani, o coloro che hanno scritto quello del vecchio “Chronopia” e della razza dei figli di Kronos hanno saccheggiato nomi, situazioni e personaggi per arricchire le proprie ambientazioni Fantasy.

Per tornare all’opera di Moorcock, “Le Cronache di Corum” è diversi gradini sotto la prima serie di Corum e anche i primi due romanzi di Elric: meno originale, fin troppo lineare e privo di reali colpi di scena, almeno fino al capitolo finale, il libro scivola via lasciando poche tracce di se. L’atmosfera che si respira è sempre la stessa, caratteristica del negativista Moorcock: pessimista, decadente, quasi Lovecraftiano, dove gli dei giocano con gli uomini, esseri quasi insignificanti, con l’eroe sempre cosciente del Fato che incombe negativamente su di lui. E se il primo ciclo di Corum aveva un finale positivo, quasi consolatorio, il finale a sorpresa di questi tre romanzi tende invece a rivelarci che il destino del Campione Eterno è sempre il medesimo: arrivare certo a salvare il mondo e l’umanità, ma ad un terribile prezzo. Un romanzo interessante a livello di idee, ma a mio modo di vedere mal sviluppato e quasi tirato via, nel suo tentativo di ricalcare le tradizioni Celtiche Irlandesi.

Giovanni Luisi

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