Articolo di Davide Mana, tratto dal sito Strategie Evolutive.
“Sono stato in giro, amico mio, e so distinguere una candela da un quarto di luna. Una stregoneria di qualche genere infesta le strade di Lankhmar, e qualcosa di malvagio sta alle calcagna di tutti noi.”
E questa è solo parte della storia.
Una faida fra stregoni ha scatenato una pestilenza nelle strade di Lankhmar: chi traffica con l’occulto muore.
E chi non ha traffici con l’occulto, a Lankhmar?
Il contagio si diffonde, la gente muore, ma c’è un antidoto.
Si può guarire.
Si può fermare la peste.
Manca tuttavia un componente essenziale per completare la cura.
E non c’è un solo uomo in tutta Newhon che possa procurarlo in tempo.
Non un solo uomo, certo.
Ma due, forse…
Nel 1998, il giovane Robin Wayne Bailey venne incaricato di scrivere l’ottavo volumo della serie di Nehwon – anche nota come serie delle Spade, o delle avventure di Fafhrd e del Gray Mouser.
I sette volumi precedenti, naturalmente, li aveva scritti Fritz Leiber.
E Fritz Leiber, lo sappiamo tutti, è dio.
Sulla carta, Swords Against the Shadowland ha tutte le carte in regola per essere un disastro assoluto.
Il tentativo di riprendere una serie leggendaria, opera di uno dei massimi autori del genere.
Un romanzo, come nuovo tassello di una serie composta quasi esclusivamete di storie brevi.
Il lavoro affidato da una casa editrice rampante e non certo famosa per le proprie uscite narrative (la White Wolf) ad un autore poco conosciuto.
Avrebbe dovuto essere una catastrofe.
E invece no.
Swords Against the Shadowland non è il titolo migliore nella serie di avventure di Fafhrd e del Gray Mouser, ma sta tranquillamente alla pari con il livello medio l’opera di Fritz Leiber.
Si, questo apocrifo da pochi soldi è un romanzo “di medio livello Leiber”.
Che sarebbe come dire che è stato scritto da dio, un giorno che non voleva impegnarsi troppo.
Il merito è certamente di Robin W. Bailey – che trovandosi fra le mani Lankhmar (Lankhmar!!), riesce con umiltà estrema e con un controllo della prosa ammirevole, a non tradire nessuna delle promesse del titolo.
Fafhrd e il Mouser sono quelli che abbiamo incontrato nelle storie di Leiber – cinici e divertiti, ironici e danneggiati, opportunisti ma con la scintilla dell’autentico eroismo.
Lankhmar è davvero la Città delle Diecimila Nebbie, popolata di strani cialtroni e donne scollacciate, di dei improbabili e spiriti inquieti.
L’intrigo è ingegnoso, i personaggi di contorno interessanti.
Il linguaggio è colto, forbito, teatrale.
Ci sono dialoghi che paiono buttati via, ed hanno un ritmo ed una verve inimmaginabili in un fantasy contemporaneo.
Il finale forse è un po’ sbrigativo, certo.
Ma è un problema minore, assolutamente minore.
La sola scena con Fafhrd che guarda la nebbia sul fiume è potente e sottile come il miglior Leiber.
La scena del Mouser e la venditrice di bambole è altrettanto geniale – una lezione su come definire un personaggio usando l’approccio più obliquo, ingannevolmente semplice e meraviglioso*.
Swords Against the Shadowland si colloca immediatamente dopo Ill Met in Lankhmar (nel volume Swords and Deviltry), e Bailey gioca sapientemente con gli spettri (ma sono davvero spettri?) di Ivriel e di Vlana, le due amanti perdute dei protagonisti, e più in generale con l’aspetto più spettrale della Città dalla Toga Nera.
Forse è questo il punto: Bailey ha capito, ha imparato, che le storie di Fafhrd e del Mouser non sono fantasy, ma semplicemente orrore sovrannaturale.
Come i lavori di C.A. Smith, se volete.
Leiber l’ha sempre detto, che non è fantasy.
Il risultato finale è un piccolo romanzo eccellente.
Ma allora perché questo volume di poco più che 200 pagine non è esploso come una supernova nei cieli della narrativa d’immaginazione?
I fan lo disprezzarono?
No, i lettori anzi risposero con entusiasmo.
I critici ne fecero carne morta?
No, in effetti ricevette recensioni più che positive.
Mise persino in cantiere un secondo volume, Bailey, che tuttavia non vide mai la luce.
Forse fu la pubblicazione in un costoso hardback a bassa tiratura da parte di White Wolf, a cui fece seguito una uscita in paperback per i tipi della Dark Horse.
Il pubblico di riferimento di entrambe le case editrici non sapeva cosa farsene, di Fafhrd e del Gray Mouser.
E Swords Against the Shadowland scomparve, come certe leggende delle quali si mormora nelle taverne di Lankhmar, per restare un oggetto misterioso, cercato da molti, da pochi conosciuto.
Ora, Gollancz lo ristampa in formato elettronico per il prezzo di un cappucino e brioche.
Ma è molto meglio, di un cappuccino e brioche.
È una storia di Fafhrd e del Gray Mouser.
Proprio loro.
Quelli veri.
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* Come “effetto collaterale”, questo libro mi ha automaticamente venduto ogni altra cosa scritta da Bailey negli ultimi trent’anni, fosse anche solo la lista della spesa.
Ne riparleremo.
Davide Mana