Gladiatrici nella Roma Antica

Articolo di Gabriele C. Zweilawyer, tratto dal sito Zhistorica.


Le fonti antiche confermano che, oltre ai combattimenti fra gladiatori, nell’antica Roma ebbero luogo anche quelli fra gladiatrici.

Donne, lotta, guerra, sangue.  Al giorno d’oggi forse siamo più abituati a comprendere una realtà del genere (in fondo abbiamo donne nell’esercito, nella boxe e in varie altre attività un tempo appannaggio dei soli uomini), ma venti secoli fa come andavano le cose? In una società, quella romana, che apprezzava spettacoli di una violenza che noi non possiamo quasi concepire, come era visto il connubio fra donne e arena?

Per questo articolo ho utilizzato gran parte di quanto scritto da Silvano Mattesini nel libro Gladiatori, alla cui stesura ho collaborato.

Sappiamo da varie fonti che anche le donne partecipavano ai giochi gladiatori. Lo afferma chiaramente Tacito parlando del periodo di NeronePetronio accenna a una donna, condotta dalla Britannia, che combatteva nell’arena su un carro. Visto il periodo, può cercarsi una correlazione con la rivolta di Budicca, che aveva suscitato parecchio clamore a Roma.

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Le gesta di Budicca aumentarono l’interesse dei romani per i combattimenti fra donne?

Le donne gladiatrici erano spesso derise e disprezzate, ma di certo stimolavano l’interesse degli spettatori. Svetonio ci dice che, durante regno di Domiziano, le donne  fossero molto in auge nell’anfiteatro, e che venivano fatte combattere di notte, alla luce delle torce. Dione Cassio aggiunge che lo stesso imperatore amava i combattimenti fra donne e nani, visto che probabilmente questo espediente consentiva di mantenere quell’equilibrio nello scontro che invece mancava nella lotta fra donne e uomini.

Parlando di Nerone, lo stesso autore ricorda come questi avesse preteso una giornata di combattimenti fra soli Etiopi nell’anfiteatro di Puteoli (Pozzuoli): bambini, uomini, e soprattutto donne. Quindi anche le gladiatrici combatterono per onorare il re d’Armenia Tiridate I.

Nelle Satire (Satira VI), Giovenale rende addirittura un’accurata descrizione del loro armamento:

…elmo..grosso e pesante cinturone di cuoio per la spada, le protezioni per il braccio destro e le creste colorate dell’elmo oltre al mezzo gambale della gamba sinistra…fasciature gonfie e spesse..coprono ben tese i suoi teneri polpacci…

ed esprime alcune considerazioni:

…il recinto pieno di fango che è riservato alla lotta femminile, chi non li conosce?…Chi non ha visto le ferite che ella infligge con il bastone al palo (d’allenamento)…Il tronco lei lo segna con colpi duri e continui della sua spada e con lo scudo lo spinge e con forza lo percuote…, nonostante sia una matrona, è senz’altro degna di quella tromba che segna l’inizio delle festività di Flora, a meno che ella in quel suo petto non vada pensando a qualcosa di più interessante e non si prepari ai veri combattimenti nell’Arena!… Che rispetto della propria condizione sociale può avere una donna con l’elmo, una donna che fugge dalla sua sessualità e ama la forza virile?

Quanto alle fonti archeologiche, in alcuni bassorilievi di Alicarnasso le gladiatrici sono rappresentate nelle vesti di murmillones o provocatores. Ci sono giunti anche due nomi, Amazzone ed Achillea (immagine qui sotto), incisi su un bassorilievo britannico del II secolo sotto due figure femminili intente a combattere. Entrambe hanno scudo e spada corta, ma non hanno elmi. Visto che Amazzone e Achillea sono due nomi mitici, è probabile che si trattasse di pseudonimi da combattimento.

In Gladiatori e attori nella Roma giulioclaudia. Studio sul Senatoconsulto di Larino (2006),Carla Ricci sostiene che i combattimenti fra donne si tenessero successivamente all’evento clou di una giornata presso l’arena, ossia il combattimento fra gladiatori. La stessa autrice riporta anche il primo ritrovamento di resti umani direttamente riconducibile alle gladiatrici romane. La scoperta è stata fatta a Londra nel 1996, nell’area in cui sorgeva l’anfiteatro di Londinium. Pur trattandosi di resti carbonizzati, gli scienziati sono riusciti a identificarli come appartenenti a una ragazza di venti anni circa. Assieme a lei, erano stati sepolte anche diverse lampade con decorazioni relative al mondo della gladiatura (una, in particolare, ha dipinto un gladiatore secutor/sannita con tanto di elmo piumato).

Inoltre, molte donne parteciparono alle venationes (le cacce che si svolgevano nell’arena) durante l’inaugurazione del Colosseo, e poiché esisteva una foemina murmillo, c’è da presumere che esistesse anche la sua naturale antagonista thraex od oplomachus.

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Amazon ed Achillia

Di certo il combattimento fra donne eccitava il pubblico con un vortice di desiderio sessuale e sadismo, ma non doveva avere una diffusione enorme, anche perchè i legislatori romani lo osteggiarono in più di un’occasione. Dopo un precedente senatoconsulto, nel 19 d.C. ne fu emanato un altro, quello di Larino, giunto fino a noi su una tavoletta di bronzo, in cui si specificava:

…è proibito il reclutamento, ai fini della gladiatura, di figlie, nipoti e pronipoti di senatori ed equites, che non abbiano ancora compiuto venti anni.

L’attività gladiatori femminile continuò dunque per diverso tempo, pure rimanendo diverse restrizioni che, con ogni probabilità, non conosciamo ancora per intero. Invece, sappiamo per certo che nel 200 d.C. intervenne un editto di Settimio Severo che bandiva le foemine dai combattimenti gladiatori (Cassio Dione, LXXVI). Allora come oggi però, le leggi potevano valere molto poco se si instaurava una consuetudine contraria. A far pensare che l’editto di Settimio Severo potesse aver avuto una forza differente a seconda del periodo e del luogo, è stata un’iscrizione trovata ad Ostia, dedicata a tal Ostiliano.

QUI PRIMUS OM[NI]UM AB URBE CONDITA LUDUS CUM [–] OR ET MULIERES [A]D FERRUM DEDIT

Queste parole (“Ostiliano fu il primo a far combattere le donne dalla fondazione della città“), scolpite durante il III secolo inoltrato, dimostrano in modo inequivocabile una prosecuzione, non sappiamo quanto lunga e di quale entità, dei combattimenti femminili.

Gabriele C. Zweilawyer

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