Articolo di Davide Mana, tratto dal sito Strategie Evolutive.
Questo post è propedeutico all’imminente avvio della serie sulla Fantacollana della Nord.
Nel 1971, la Nord lanciò una collana chiamata Arcano, nella quale avrebbero dovuto confluire – per lo meno a giudicare dai titoli pubblicati – opere non strettamente fantascientifiche, ma orientate piuttosto al fantasy (che all’epoca veniva definita fantascienza eroica*) o all’orrore.
Da cui il sottotitolo: Magia – Fantasia – Orrore.
La collana non ebbe una eccessiva fortuna, e confluì nella successiva Fantacollana.
Quello che segue è uno di due post indispensabili, poiché fra tutti i volumi della Arcano, due sono direttamente connessi con dei volumi della Fantacollana dei quali parleremo nelle prossime settimane.
Per cui, vediamo il numero cinque.
Il numero cinque della collana Arcano Nord è, naturalmente, Conan il Conquistatore.
L’unico romanzo di Conan scritto da Robert Howard, e qui presentato nella versione “corretta” da Lyon Sprague de Camp – che cura anche una polposa introduzione.
Il romanzo ci presenta un Conan ormai quarantacinquenne e “sistemato”, avendo usurpato il trono di Aquilonia.
Ma il tradimento è prossimo – e gli avversari politici del cimmero non esitano a far ricorso alla necromanzia, richiamando ai vivi il defunto Xaltotun, stregone nerissimo dell’antico e corrotto impero di Acheron.
Spogliato del titolo e incarcerato, Conan riuscirà a fuggire, e si metterà sulle tracce del Cuore di Arhiman, l’unica arma che gli permetterà di affrontare e sconfiggere i suoi nemici.
Scritto riciclando idee e situazioni da una decina di storie precedenti, The Hour of the Dragon – questo il titolo originale – rappresenta il tentativo (fallito) di Bob Howard di aprirsi al mercato anglosassone.
Il manoscritto venne infatti preparato nel 1934 per l’editore inglese Dennis Archer, che tuttavia andò fallito prima di poterlo pubblicare**.
Howard lo riciclò a puntate su Weird Tales.
Secondo alcuni, The Hour of the Dragon non è il lavoro migliore di Howard – che si trovava palesemente più a proprio agio con la forma breve o intermedia – e le critiche si appuntano solitamente sulla struttura troppo episodica, sulla natura quasi di tour tutto-compreso dell’Era Hyboriana… se oggi è giovedì questa dev’essere la Stygia.
Certo, il romanzo gode del dubbio primato di presentare la protagonista femminile più sciapa dell’intero canone hyboriano: quella schiava Zenobia che libera Conan dalla sua prigione, e che il cimmero promette di sposare.
Il fatto che poi, negli apocrifi scritti da Carter e De Camp, la sposi davvero è certamente il peggior crimine perpetrato dai due scrittori ai danni di Conan.
Eppure si tratta di una lettura divertente, e se non è il vertice dell’opera di Howard, è comunque un lavoro solido; certo offre una buona panoramica dei punti di forza dello scrittore texano, impegnato a dare il meglio per impressionare il potenziale cliente britannico, garantisce un buon tour del mondo hyboriano, e ci presenta Conan in un momento piuttosto interessante della sua carriera – nel ruolo di re oppresso dalla propria corona, e fin troppo felice di tornare alle avventure ed alla libertà della gioventù.
Per il resto, le modifiche editoriali apportate da De Camp – a parte il cambio di titolo in Conan the Conqueror – non sono, nonostante ciò che sostengono i puristi, nulla che meriti la fucilazione alla schiena. Come sua abitudine, De Camp rimuove il linguaggio politicamente scorretto di Howard, adattando il testo alle sensibilità di un pubblico generalista, e inserisce forse un paio di paragrafi pedanti.
È interessante notare come la pubblicazione della Nord sembri voler seguire l’ordine delle uscite Gnome – che avviarono la pubblicazione delle storie di Howard, nel 1950, proprio con Conan the Conqueror.
Il volume successivo delle avventure di Conan uscirà nella Fantacollana, anche qui col numero cinque.
Ma ne parleremo fra qualche settimana.
Sciocco dettaglio autobiografico – non posseggo una copia di Conan il Conquistatore nella collana Arcano.
Il romanzo di Howard è stato ristampato con una tale frequenza, d’altra parte, che reperirne una versione non è così difficile.
dal canto mio, lessi The Hour of the Dragon nell’edizione Berkley curata da Karl Edward Wagner, e basata direttamente su copie di Weird Tales. Senza, cioè, gli interventi editoriali di De Camp.
Rimane un testo indispensabile.
A metà anni ’90, riuscii poi a procurarmi una copia dell’edizione di Donald M. Grant, che riposa su uno scaffale blindato, troppo inestimabile per essere contemplata da occhi mortali.
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* ma ne riparleremo
** la legenda di alcune decine di copie stampate e mai rilegate è stata per un certo periodo una sorta di Sacro Graal dei collezionisti howardiani, così come l’ipotesi di un capitolo mancante dall’edizione Weird Tales e presente nel manoscritto spedito ad Archer.
Davide Mana