Non tutti lo sanno, ma la Locanda è sempre aperta. Ogni giorno al lungo bancone qualcuno ordina una birra, un latte o un bicchiere d’acqua. Non si fa distinzione. Tutti quelli che vengono sono ospiti graditi e appassionati di genere.
Qualche volta, però, la locanda viene preparata per qualche ospite speciale.
Il bello è che talvolta l’ospite ci mette in difficoltà. Perché?
Scusate… le domande le faccio io!
Ma quando un ospite, cioè due ospiti, ci portano nel mezzo di un cataclisma che potrebbe trascinare la locanda e il sottoscritto in fondo al mare… capitemi!
Andrea Gualchierotti e Lorenzo Camerini hanno riportato allo splendore che merita l’intramontabile mito di Atlantide.
Un mito che grazie alla loro penna possiamo definirlo elevato al rango di Storia.
E per uno come me, che fa della storia una delle sue passioni, come non potere restare affascinato da Gli Eredi di Atlantide?
A.B. – Non vorrei farvi fretta, ma non so esattamente quanto tempo abbiamo prima che la Locanda venga travolta dal Cataclisma. Colpa del vostro realismo storico.
A.G. – L.C. Non temere, si tratta solo delle avvisaglie del disastro! Certo, se anche tu come gli Atlantidei ignorerai i presagi della catastrofe, allora non garantiamo sulla salvezza della Locanda e dei suoi avventori!
Tanto noi siamo protetti dagli dei e ci salveremo, al contrario di voi miscredenti! A parte gli scherzi, grazie per i complimenti, anche se “realismo storico” è un po’ troppo forse. Diciamo che fin dall’inizio del nostro progetto su Atlantide, l’idea era di usare la fonte storica sull’argomento in questione con più autorità e fama, ovvero Platone. Poi abbiamo dato sfogo alla fantasia, ma cercando sempre di mantenere un filo con il mito “storico” e altre teorie elaborate su questa affascinante leggenda. Inoltre, di comune accordo volevamo dare un certo “realismo” al libro, nel senso che volevamo creare un passato alternativo ma sempre su basi credibili, non un mondo per intenderci con draghi che volano nei cieli, ed elfi, gnomi e mostri vari che infestano il mondo e magia dietro ogni angolo.
A.B. – Che ne dite, partiamo forte? Atlantide = Gomorra?
A.G. – L.C. No, credo proprio di no! A posteriori, un Don Savasthanus sarebbe stato certo un ottimo villain, così come anche riferirsi – come credo tu intendessi – alla biblica città gemella di Sodoma, ma non abbiamo avuto un modello unico su cui modellare la nostra Atlantide decadente. Probabilmente alcuni resoconti romanzati e moralistici degli ultimi tempi dell’impero romano – descritto sommariamente come sentina di vizi e immoralità – sono stati l’influenza più forte, e anche una scelta precisa. Presentare Atlantide come un regno dissoluto e indegno ha sicuramente contribuito ad aumentare l’effetto drammatico della sua fine e a mettere in moto tutta la vicenda dei suoi superstiti. Ma non era l’unica opzione sul campo: anche raccontare l’improvvisa scomparsa di un’utopica civiltà ideale ci avrebbe fornito uno scenario interessante.
Di certo non la Gomorra di Saviano! Mah, io penso che senza riferimenti biblici, semplicemente abbiamo preso uno stereotipo comune a tutte le culture umane, quello di un’età dell’oro sita in un passato imprecisato, contrapposto al presente degenerato e decadente. Inoltre, lo stesso Platone parla della corruzione degli Atlantidei come causa della loro scomparsa.
Porca miseria… ma secondo voi aspetto passivo che la Locanda venga travolta dal cataclisma? Pensate che non abbia preso provvedimenti?
Una pinta di birra ciascuno!
A.B. – Storia, Avventura e Fantasia. Una ricetta difficile da realizzare. Ancora di più scrivendo a quattro mani.
A.G. – L.C. Non direi, anzi, personalmente credo sia il contrario: nulla è più utile di un’altra testa, un altro paio di occhi e una penna in più! La creatività si accresce tramite il confronto, e spesso un semplice spunto evolve in una buona idea molto più velocemente se si ha una controparte con cui elaborarlo. Certamente la scrittura in comune impone una certa “disciplina”, ovvero la necessità di evitare derive eccessivamente personali, ma per chi come noi ha impostato fin dall’inizio questa attività in coppia, si tratta di un presupposto ben chiaro. In questo senso mi preme sfatare il mito secondo cui scrivere di avventura fantastica significhi semplicemente procedere a briglia sciolta dove ti porta il vento; ad una intuizione felice non può non accompagnarsi una pianificazione accurata, e questo prima ancora di porsi il problema di “come scrivere”.
Molti ci hanno detto che non si vede alcuna differenza tra le parti scritte da Andrea o da me nel romanzo, e questo naturalmente ci fa molto piacere. Diciamo, per amore della verità, che è stato meno difficile di quanto si possa pensare, poiché ci conosciamo da più di 30 anni, ed abbiamo condiviso l’amore per certi autori di fantasy (solo per citare un nome: R. E. Howard).
A.B. – Avete una sola parola per descrivere il vostro romanzo. Ma visto che siete due autori, eccezionalmente ve ne concedo due!
A.G. – L.C. Argh! Scelta pressochè impossibile! E, consentimelo, riduttiva: due parole davvero non bastano, almeno per me, a indicare cosa troverà il lettore fra le pagine de “Gli Eredi di Atlantide”. A questo punto preferisco giocare il jolly, e ti dico: guarda bene la copertina, che è un dettaglio di una famosa tela di Thomas Cole. La forza drammatica di quel quadro sintetizza bene lo spirito del romanzo.
Petalos… no scherzo! Io direi mitico, nel senso tradizionale di racconto di un avventura straordinaria in un passato remoto e splendido.
A.B. – Se il protagonista è Adhon… un attimo. Ma è Adhon il protagonista? Lo chiedo perché sono numerosi i personaggi caratterizzati.
A.G. – L.C. Adhon svolge un ruolo “classico” ma come ben sanno i nostri lettori, in molti casi ci sono altri personaggi a rubargli la scena. Fin dall’inizio abbiamo concepito la nostra storia come corale, e abbiamo dedicato parecchio tempo ad elaborare le personalità dei vari protagonisti, privilegiando al massimo gli aspetti avventurosi del loro agire. Questo può significare calcare a volte la mano sulla teatralità, ma a mio parere è quello che ci vuole. A nessuno interessa leggere di un personaggio che si fa la barba, o perde tempo in occupazioni quotidiane. Dalle pagine devono emergere eroi animati da passioni forti, coinvolti in storie avvincenti, non ritratti di uomini comuni.
Adhon a mio avviso è l’eroe più che il protagonista. Racchiude in sé alcuni topoi dell’epica tradizionale (la pietas, il valore in guerra ed il coraggio, senza essere un ammazzasette, ecc.) con valori più moderni e meno legati a società così lontane nel tempo da essere spesso incomprensibili per noi uomini moderni, per renderlo un po’ più vicino al lettore di oggi.
Afferro il boccale e bevo come se non ci fosse un domani… caspita che brutta immagine! Invito i miei ospiti a impegnarsi di più (con la birra). In fondo la colpa è anche loro (del cataclisma)!
A.B. – L’Andrea lettore, come giudica il Lorenzo scrittore? E viceversa, ovviamente!
A.G. – L.C. Se devo giudicarlo come scrittore “collega”, beh, so da tempo di lavorare con la persona giusta per tenere a bada alcune mie tentazioni per così dire barocche! Dipendesse esclusivamente da me, indulgerei sicuramente in una scrittura più involuta e prolissa, ed è un pericolo che il buon senso di Lorenzo ha evitato più di una volta. Dovendolo valutare nelle vesti di lettore tout court, apprezzo di lui la capacità di sprigionare un certo sense of wonder in maniera inattesa, con la semplice apposizione della parola giusta al momento giusto.
Andrea forse subisce il fascino di Lovecraft, Poe e altri scrittori che usavano volutamente un lessico ricercato più di me, non c’è dubbio. Ciò non toglie che per il tipo di materiale che stiamo producendo sia lo stile che desideravamo, e quindi lui indirizza la strada ed io eventualmente sfalcio, come un giardiniere! Però quello che apprezzo leggendo è la capacità di inserire certe frasi, magari conclusive in un dialogo, che danno quel bel sapore epico ad uno scritto o ad un personaggio.
A.B. – Magari i lettori vorrebbero sapere di più sulla storia, ma per questo li rimando alla bellissima recensione di Francesco La Manno sempre su Hyperborea. Quindi il mio dovere è quello di farvi conoscere Andrea e Lorenzo. Un autore sparge sempre un poco di sé nella storia che scrive. Nel vostro caso?
A.G. – L.C. Non saprei valutarlo, onestamente. Di sicuro credo che emerga la mia passione per il mondo antico, per la mitologia e per le avventure misteriose, ma si tratta di un livello non certo nascosto. Ho coscientemente contribuito a scrivere un romanzo alla maniera di quelli che amo leggere, quindi diciamo che “Gli Eredi” rispecchia in buona parte i miei gusti di lettore. Sul fronte personale, lo vedo anche come la testimonianza dell’intesa di due buoni amici, e in questo senso c’è parecchio di entrambi.
Sicuramente la pagina è una membrana permeabile, che lascia passare indizi sullo scrittore. Nel nostro caso, direi che sono evidenti come hai già citato tu l’amore e la passione per storia ed archeologia (io sono laureato in storia), letteratura classica, ma anche tanti media moderni che hanno lasciato un segno nella nostra formazione… lasciamo al lettore il piacere di identificarli!
Il tavolo comincia a tremare. I bicchieri sulle mensole stanno suonando una melodia che non presuppone nulla di buono. Non so quanto ci rimane.
Altre tre pinte di birra non guastano!
A.B. – Avete la possibilità di scegliere un libro. Nella storia della letteratura mondiale, quale libro vorreste avere scritto?
A.G. – L.C. Anche se amo moltissimo certi romanzi, non ho mai coltivato il vezzo di immaginarmi come loro autore. E’ una fantasia comprensibile, ma decisamente infantile. Al limite, esistono – ed è il segreto del loro successo ovviamente – libri talmente avvincenti e ben scritti che portano a pensare che l’autore scriva proprio di te, leggendoti dentro. Spero non lascerai il tavolo se ti dico che mi succede spesso con i protagonisti degenerati e instabili di Jim Thompson, probabilmente il mio scrittore noir preferito. Le sue storie di buio interiore spaventano, davvero, ben più di qualunque inabissarsi di continenti!
No, questa è una domanda che non va mai fatta a un bibliofilo come me! Faccio finta che tu mi abbia chiesto quante dozzine di libri avrei voluto aver scritto, e ti butto lì qualche titolo in ordine rigorosamente sparso… Il Signore degli Anelli, Il libro dell’inquietudine, Come una bestia feroce, I tre Moschettieri, Fight Club, Il pozzo e il pendolo… ecc. ecc. per molte righe ancora.
Non temete, la locanda ha superato prove ben più terribili di un cataclisma! Nella peggiore delle ipotesi ci toccherà restare chiusi qua dentro per un poco, ma la birra non manca e quindi…
A.B. – Quanto dovranno aspettare i lettori per il secondo capitolo della saga? Perché è una saga, giusto?
A.G. – L.C. Rispondo prima alla seconda parte della domanda. In realtà, avevamo concepito la storia della fine di Atlantide come autoconclusiva. Impostare fin dall’inizio una saga ci sembrava pretenzioso, anche alla luce del fatto che il nostro primo libro conta qualcosa come 400 pagine, più che sufficienti a raccontare una storia con la cura necessaria. Solo successivamente, confortati dal gradimento dei lettori e del nostro editore, abbiamo iniziato ad immaginare un possibile seguito. Qualcosa che, però, non fosse solo una mera seconda parte, ma una storia a sé stante, pur ovviamente collegata alla narrazione precedente. Per quanto riguarda l’attesa…te lo dirà Lorenzo!
Fortunatamente il secondo volume è già pronto, e uscirà presso il nostro editore in inverno! Abbiamo cercato di fare tesoro dei suggerimenti dei nostri lettori, e spero che questo secondo libro risulti più gradevole del primo.
A.B. – Direi che siamo alla fine. Per ogni scrittore è difficile scrivere la parola fine a un proprio lavoro, quindi, in questo caso… lascio a voi l’arduo compito.
A.G. – L.C. Fine? E perché scrivere la parola fine? In pieno stile anni 80’ ti dico: “To be continued”…
Per gli eletti che si salveranno dal cataclisma, raggiungeteci e fonderemo insieme la Nuova Atlantide!