Il fantasy è finito (fatevene una ragione)

Di seguito, un articolo di Davide Mana, apparso su Strategie Evolutive poco tempo fa.


Una tendenza generalizzata della blogsfera nazionale negli ultimi mesi – diciamo nell’ultimo annetto o giù di lì – è data dal fiorire di #massimiesperti che con estrema prosopopea parlano a vanvera di argomenti che non conoscono, salvo poi dare dei ritardati a coloro che fanno notare che no, non è proprio così.

La spiegazione che ci siamo dati, qui nel Blocco C, è che i lettori non sono (più?) in cerca di informazioni, ma di conferme – e leggere quindi blogger molto più ignoranti di loro è in fondo rassicurante. Gli piace, li fa sentire vincenti.

Esempio segnalatomi ieri da un compagno di prigionia – un articolo sulla storia del fantasy che comincia con Conan e finisce con Game of Thrones, e che porta avanti la tesi secondo la quale l’assenza di idee nuove ha fatto del fantasy un genere moribondo, in3ca16584bc446fb18d9c7b235e239f78 attesa di grandi idee innovative che lo rivitalizzino.
No, davvero.

E io so che ora voi questo post lo vorreste leggere, e quindi vi passo anche il link.
Quando avrete finito di ridere, tornate qui, se avete voglia.
Fatto?
OK.

Cominciamo col far notare che il genere fantasy non nasce con Bob Howard e Conan il Barbaro.
La letteratura accademica sul genere concorda – più o meno – sul fatto che il primo fantasy propriamente detto sia The Wood beyond the World, di William Morris – che esce nel 1894.
Partire coi pulp, e non con Morris, taglia via quasi quarant’anni di storia del genere, in cui vanno a collocarsi non solo George MacDonald con Lilith, e poi J.B. Cabell e E.R. Eddison, ma anche e soprattutto Edward John Moreton Drax Plunkett, diciottesimo Barone di Dunsany, meglio noto come Lord Dunsany.
E tagliar via Dunsany è proprio sbagliato – anche perché R.E. Howard (così come i suoi soci C.A. Smith e H.P. Lovecraft) trae abbondante ispirazione da Dunsany. Oltre che da Harold Lamb e Talbot Mundy (mi pare ci siano lettere in cui Howard dice che di Cabell poco gliene cale).

E sulla popolarità istantanea e plebiscitaria di Conan, beh, parliamone1 – perché morto Howard fu necessario attendere fino al 23 marzo del 1964 perché Conan diventasse davveropopolare, coi paperback della Lancer.
Anche le precedenti ristampe della Gnome Press degli anni ’50 ebbero una diffusione relativa – erano libri costosi – e fecero poco per render popolare il cimmero e il suo autore.

Lo stesso destino, tra l’altro, lo ebbe Tolkien – l’edizione Unwin de Il Signore degli Anelli, costosa e a bassa tiratura (in Inghilterra c’era ancora il razionamento della carta), se la filarono in pochi.
Furono le edizioni in paperback della Ballantine (ufficiale) e della ACE (pirata) a rendere popolare il romanzo di Tolkien a metà anni ’60.

E fra gli anni ’30 e gli anni ’60?
Non capitò davvero nulla a parte Narnia e Harold Shea2?
A quanto pare non c’è traccia di Fritz Leiber – che pure inventò l’espressione sword & fd1e7ea2645f67609498c73469f5e171sorcery introducendo nel genere, con le storie di Fafhrd & Gray Mouser, elementi colti e letterari di matrice shakespeariana.
Non c’è traccia di Poul Anderson – che pure parla di elfi e di nani esattamente quanto Tolkien, ispirandosi alle stesse fonti per scrivere storie radicalmente diverse come La Spada Spezzata.
E la povera Andre Norton, che riempì di libri interi scaffali e che fece da ispirazione per tutta una generazione di autori e autrici?
No.
E ora mi direte

ma non si possono mica citare tutti!

Vero.
Ma almeno un paio di quelli che con le loro idee innovative hanno rivitalizzato il genere sarebbe il caso di citarli – visto che è di quello che stiamo parlando, giusto? Di come in assenza di idee nuove il genere scivoli nell’obsolescenza.
Così, un nome a caso – Michael Moorcock?
Mai sentito parlare di Elric?

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Ma no, neanche Michael Moorcock – e neanche Mervyn Peake che Moorcock cita come suo ispiratore.
Neanche Jack Vance. Neanche John Crowley. Robert Holdstock non è mai esistito.
Niente Glen Cook e niente Black Company.
E stiamo citando solo autori che hanno radicalmente influenzato lo sviluppo del genere attraverso i decenni.
E allo stesso modo, niente Anne McCaffrey, niente Ursula K. Le Guin, niente Tanith Lee, niente Marion Zimmer Bradley – apparentemente, non ci sono donne che abbiano avuto importanza per il genere fantasy.

Niente Stephen R. Donaldson, niente Guy Gavriel Key.
Niente Dungeons & Dragons, nel bene e nel male.

E poi, sì, ok, Brooks, Pratchet, Gemmel, e alla fine arriva George R.R. Martin.
E dopo, il nulla.
Il pubblico perde interesse, il fantasy si spegne progressivamente, ma forse qualcuno un giorn avrà un’idea originale e ricomincerà il ciclo.

Davvero?

E Neil Gaiman?
E il Malazan Book of the Fallen di Steven Erickson? Ha venduto a carrettate, ma a quanto pare non conta.

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Niente Joe Abercrombie, Richard K. Morgan o Mark Lawrence… e sì che hanno un sottogenere tutto per loro, che fino a cinque anni or sono non esisteva e che oggi vi infilano ovunque.
E Brandon Sanderson?
E Kameron Hurley?
E le centinaia di nuovi titoli che si pubblicano ogni anno nel mondo?
Davero nessuno li legge?

Resta il dubbio, in seguito alla lettura di questo strano articolo, e una volta smesso di ridere, se si tratti di selezione delle fonti per sostenere una tesi (evidentemente insostenibile), o se sia ancora una volta un caso di articolo scritto senza conoscere ciò di cui si discute.
Di sicuro, sì, di questo siamo abbastanza certi, i lettori si saranno sentiti rassicurati.
È quello che è importante, vero?

Davide Mana


  1. ce la ricordiamo tutti, vero, la lettera di Robert Bloch a Weird Tales in cui il futuro autore di Psychosuggerisce di mandare in pension Conan nel Valhalla, a ritagliare bamboline di carta, perché ha francamente stancato? Cos’era, il 1935? 
  2. incidentalmente, il ciclo di Harold Shea è stato il primo fantasy che io abbia letto – ed è un fantasy razionalizzat, pubblicato sulla rivista Unknown, e che ha ben poco a che vedere tanto con Howard che con Tolkien. Adoro Lyon Sprague de Camp e Fletcher Pratt, ma proprio per questo mi piacerebbe vederli trattati bene e non citati a vanvera. 

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