Articolo di Davide Mana, tratto dal sito Strategie Evolutive.
Ci sono libri che si leggono di getto, ed altri che si centellinano, cercando di non farli finire.
Ieri abbiamo parlato di un fantasy da centellinare, oggi parliamo di Throne of the Crescent Moon, di Saladin Ahmed.
Il romanzo arriva con un pedigree impressionante – negli ultimi dodici mesi è stato candidato e premiato in ogni possibile competizione, e segnalato come uno dei migliori fantasy usciti nel 2012.
Arriva anche con alcune critiche non proprio lusinghiere da parte di alcuni lettori.
Ragione di più per voler provare di persona le qualità e gli ipotetici difetti del romanzo.
Alla prova dei fatti – e sulla base dei miei gusti, o mancanza dei medesimi – Throne of the Crescent Moon è un solido sword & sorcery senza la pretesa di cambiarmi la vita, ma che mantiene la promessa di divertirmi in maniera intelligente in poco più di 300 pagine; il fatto che sia ambientato in un mondo dal forte sapore arabo me lo rende ulteriormente appetibile.
La premessa è classica: la minaccia di un oscuro signore dei ghul riporta sulla breccia un vecchio cacciatore di mostri e la sparuta banda di uomini e donne al suo servizio.
Fra maledizioni (pseudo) egizie, cospirazioni politiche, magia e mostri, l’azione si dipana verso una conclusione che apre la porta ai (promessi) volumi successivi della serie.
Azione chiara, cast ben costruito, trama lineare ma non esageratamente.
Il romanzo di Ahmed fila come un treno, si legge alla svelta,e potrebbe lasciare sulle prima una certa impressione di leggerezza.
Eppure funziona su due livelli molto importanti – il primo, è quello di costruire un mondo e sistemarlo per fare da sfondo all’azione della trilogia.
E intanto crea dei personaggi dei quali al lettore importa, con delle personalità forse stereotipate ma ampie, e credibili.
Gli oplologi piangono per il taglio sbrigativo dei combattimenti?
Possiamo compatire le loro lacrime.
Ahmed non si dilunga, e usa tutto lo spazio disponibile per trasferire informazioni al lettore.
A differenza di Desert of Souls e delle altre storie “arabe” di Howard Andrew Jones – certo uno dei migliori esempi di sword & sorcery oggi sulla piazza – Crescent Moon sceglie la strada del mondo secodario rispetto a quella del fantasy storico.
Questo rende forse il mondo di Ahmed meno sofisticato, ma non meno variopinto di quello di Jones – e lo spazio per futuri sviluppi non manca.
Alla fine, il libro risulta maggiore della somma delle sue parti – considerati singolarmente, gli ingredienti che Saladin Ahmed ha messo nella propria opera non paiono né straordinari né impressionanti.
La loro somma crea però un’avventura divertente, perfettamente in linea con il livello di qualità di solito offerto dalla DAW Books.
Si legge in due serate, e ci lascia con il desiderio di avere al più presto fra le mani i due rimanenti volumi della trilogia.
Non potremmo chiedere di più ad un buon romanzo in questa estate caldissima e desolata.
Davide Mana