L’origine nordica della Tradizione: Omero nel Baltico

Articolo di Alberto Lombardo, tratto dal sito Centro Studi La Runa.


“In realtà né Schliemann né tutte le successive ricerche, anche a Micene, a Tirinto e nel Pilo sabbioso, sono in questione, una volta accettata l’idea che, cambiata la situazione climatica nelle terre del Baltico, le popolazioni che fuggirono verso il sud in cerca di climi migliori, si portarono naturalmente dietro, come la loro lingua, le loro tradizioni e saghe e leggende e le situarono nella nuova terra, anche se la conformazione geografica era molto diversa”. Con queste parole Rosa Calzecchi Onesti, assai nota studiosa di materie classiche (sue sono, tra l’altro, celebri traduzioni di Iliade Odissea edite da Einaudi) introduce il magistrale e davvero rivoluzionario studio di Felice Vinci Omero nel Baltico (Fratelli Palombi Editore), un volume che è giunto in assai breve tempo alla sua terza edizione.

Sulla scia dell’intuizione fornita dal mito già all’inizio di questo secolo un brahmino indiano aveva svelato su basi astronomico-matematiche, dunque “scientifiche” anche per i moderni, quella che aveva definito in un saggio estremamente significativo come la Artic Home of the Vedas, la dimora artica dei Veda, ossia di quel complesso di testi che notoriamente costituiscono il fondamento mitico e religioso dell’India aria. Tale saggio esercitò poi una notevole influenza su René Guénon, padre del tradizionalismo integrale, e per il tramite di Guénon venne conosciuto da Julius Evola, filosofo e pensatore “simbolo” del pensiero tradizionalista italiano ed europeo, che di Tilak e della tesi da questi sostenuta parlò anche nella sua opera principale, Rivolta contro il mondo moderno (1934). Guénon si soffermò ampiamente sulla origine iperborea della Tradizione Primordiale, fondando sul mito la sua ricerca, oltre che sulle tesi di un significativo personaggio legato all’esoterismo sette-ottocentesco, il Fabre d’Olivet. Ma, d’altronde, le tesi di Fabre d’Olivet e di Tilak non costituivano che un tassello di un ben più ampio mosaico: nel pensiero di Evola già confluivano infatti molte e diverse concezioni che sul tema dell’origine nordico-polare della Tradizione, o almeno della tradizione indoeuropea, avevano visto giusto. Di là da alcune posizioni piuttosto curiose, una simile intuizione è presente nell’opera di Hermann Wirth Der Aufgang der Menschheit (Jena 1928); l’indoeuropeistica, in specie del secolo scorso, (allora definita anche arianistica o indogermanistica) aveva influenzato ampiamente, a sua volta, simili vedute. Lavori e studî non solo in ramo filologico e linguistico (Schlegel, Bopp, Rask, etc.), quanto sul panorama razziale e delle migrazioni nell’antica Europa andavano moltiplicandosi sin dal Settecento (dal conte de Gobineau a Chamberlain, Vacher de Lapouge, Clauss, etc.). Tale influenza si trasmise ampiamente agli studî classici, sino al nostro secolo (si pensi a grandissimi del calibro dell’Altheim, o del Piganiol).

L’indoeuropeistica della seconda metà di questo secolo, seppur spesso allontanandosi per ragioni di ostilità preconcetta (valutando aprioristicamente il “mito nordico” come criptonazista) dalla tesi dell’origine nordica ha svolto concetti che al contrario si rivelano utili come materiale su cui ricostruire le tesi che il secondo conflitto mondiale pare avere “bandito” dagli studî accademici (oggi parlare di origine extra-africana della civiltà umana — o ancor più negare i dogmi evoluzionisti — risulta spesso più pericoloso che sostenere ardite tesi politiche). Ma i lavori e gli spunti ciò non ostante non mancano: un esempio assai significativo è quello degli studî iranistici del prof. Onorato Bucci, che ricollegano il mito dell’Ajrianem Vaejo dei testi sacri dell’antica Persia (in primis l’Avesta) alla sede di origine nordica. E tra le altre, appunto, va segnalata l’innovativa e rivoluzionaria tesi di Omero nel Baltico.

Le indagini hanno preso avvio da una attenta lettura di Plutarco: lo scrittore di Cheronea afferma, nel De Facie quae in orbis lunae apparet (nella trad. di Adelphi è Il volto della luna), che l’isola di Ogigia, la dimora della dèa Calipso presso la quale lungamente dimora Ulisse, si trovi nel Oceano Atlantico settentrionale, a cinque giorni di navigazione dalla Britannia. Da questa sorprendente affermazione tali e tante sono le concordanze e i precisi riscontri, nei dominî accennati, che lo studioso ha trovato, da riempire di dati e considerazioni il suo testo che conta quasi cinquecento pagine.

Sulla base di precisi e concordanti riscontri testuali, toponomastici, climatici, storici, mitici, linguistici ed appoggiandosi ad alcune tesi di studiosi e accademici (per esempio a quelle del Finley de Il mondo di Odisseo o a quelle del Nilsson, sull’origine nordica dei Micenei), Felice Vinci propone una collocazione nordico-baltica delle vicende narrate nell’Iliade e nell’Odissea, oltre che di alcuni miti greci. Il retaggio ancestrale, a suo avviso, sarebbe poi stato portato e trasferito nello scenario mediterraneo sulla base di una reiterazione storica del mito, con alcuni (più o meno marginali) adattamenti: e la migrazione, della quale anche il mito serba ricordo, sarebbe da ricollegarsi a una variazione dell’optimum climatico, dovuto al movimento di rotazione dell’asse terrestre e al conseguente mutamento della temperatura media del continente: le regioni nordiche avrebbero subito un irrigidimento climatico (che parebbe recentemente peraltro provato anche da alcuni studî di botanica).

A quanti alla tesi dell’origine nordica attribuiscono un valore non semplicemente storico ma radicale, assiale, metastorico, questo importante contributo di Felice Vinci risulterà certamente essenziale.

Alberto Lombardo

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