Intervista a Giuseppe Lippi: Robert E.Howard, l’uomo che camminava da solo

Mariateresa Botta intervista Giuseppe Lippi.


A dispetto di quanto i lettori superficiali possano pensare, la produzione di Howard è ricchissima di riferimenti culturali, di citazioni, di osservazioni di carattere personale ed è molto, molto rivelatrice del suo intimo. Al contrario di quanto si crede, la sua narrativa non era il prodotto di fantasie escapiste suscitate da insoddisfazioni e frustrazioni personali. Erano un modo personale, complesso e sfaccettato di interpretare il mondo che lo circondava, contrapposto al mondo come avrebbe dovuto essere secondo lui, nel tentativo di sanare una lacerante frattura esistenziale. Howard si sentiva tagliato in due: da un lato c’era il suo corpo, dall’altro la sua mente. Da un lato il mondo degli altri, dall’altro il suo. Howard visse in entrambi sentendo di appartenere a nessuno dei due: soltanto sulla carta il contrasto si sanava e l’ordine si srotolava davanti ai suoi occhi, sotto la penna. La scrittura non era fuga, bensì cura.

Sterling-Newspaper-CartoonOra le avventure del suo personaggio più famoso, Conan il cimmero, stanno per uscire in un’edizione cronologica integrale curata da Giuseppe Lippi per Mondadori, che le presenterà in un maxi volume rilegato. Ho chiesto a Giuseppe di parlarcene, ma anche di allargare l’orizzonte sul mondo poetico e personale di Robert E. Howard, autore di cui si occupa da molti anni con passione. (Sua è la prima edizione italiana del ciclo senza le interpolazioni degli epigoni, apparsa tra il 1989 e il 1991 in quattro volumi degli Oscar e riproposta nei primi anni Duemila anche su “Urania”.)

Come i lettori vedranno, dall’intervista esce un ritratto di Robert come prodotto del suo ambiente natio: e che ambiente! Il Texas di frontiera, la corsa al petrolio, i conflitti sociali e con i nativi. Una terra aspra e inospitale, una sorta di natura matrigna di leopardiana memoria, dove solamente il più forte sopravvive e, talvolta, neanche quello.

Figura 1 Un tram ribaltato dopo l'uragano del 1919Non è facile per noi, figli privilegiati del progresso e del benessere, spogliare questa terra del mito romantico che ci è stato tramandato dal cinema per restituirgli il suo reale aspetto di miseria, carestia, malattia e avversità di ogni tipo che minacciavano la prosperità della popolazione in qualsiasi momento. E in fondo all’animo di Robert E. Howard si creò una profonda frattura, la causa di un conflitto insanabile che il nostro avrebbe portato con sé fino alla fine.

Figura 2 Pozzi petroliferi a Corsicana, nei pressi di PeasterI’ve seen towns leap into being overnight and become deserted almost as quick. I’ve seen old farmers, bent with toil, and ignorant of the feel of ten dollars at a time, become millionaires in a week, by the way of oil gushers. And I’ve seen them blow in every cent of it and die paupers. I’ve seen whole towns debauched by an oil boom and boys and girls go to the devil wholesale. I’ve seen promising youths turn from respectable citizens to dope-fiends, drunkards, gamblers and gangsters in a matter of months.

Da una lettera a H.P. Lovecraft, ottobre 1930.

MARIATERESA BOTTA: Vuoi parlarci della nuova edizione Mondadori attesa per novembre? Com’è composta, quali criteri avete seguito?

GIUSEPPE LIPPI: Abbiamo deciso di fare tutto Conan in un volume unico, 950 cartelle di materiale che risulteranno in circa 700 pagine. Il volume esce nella collana dei “Draghi”, come viene familiarmente battezzata in casa editrice, la stessa dei tomi giganti dedicati all’epopea di George R.R. Martin Il trono di spade. La novità, almeno per il nostro mercato, è che i racconti di Howard verranno presentati in ordine cronologico di pubblicazione, non di logica interna della saga. Quindi si comincia con le prime storie apparse nel 1932-33 – “La spada della fenice”, “La rocca scarlatta”, in cui Conan è re di Aquilonia – e si passa a quelle successive, dalla “Torre dell’elefante” in poi. Il volume si conclude con “Chiodi rossi” e il romanzo “L’ora del drago”. In una sezione finale verranno pubblicati i racconti usciti dopo la morte di Robert E. Howard, dal bellissimo “Dei del nord” a “La valle delle donne perdute”. Il cosiddetto “Tesoro di Tranicos” è stato restaurato seguendo il testo originale howardiano, e quindi nella nostra edizione uscirà con il titolo originale “Lo straniero nero”. Sono state eliminate tutte le interpolazioni dell’editor originario L. Sprague de Camp, compresi i personaggi aggiunti e i nomi alterati; le traduzioni sono state scrupolosamente riviste e aggiornate. Come edizione cronologica, è la prima in Italia; è anche la prima in un volume solo. Questo è il contenuto:

RACCONTI APPARSI SU “WEIRD TALES”

  • La spada della fenice
  • La rocca scarlatta
  • La torre dell’elefante
  • Colosso nero
  • L’ombra ghermisce
  • Il pozzo dei neri
  • Nella casa di notte
  • Ombre di ferro al chiaro di luna
  • La regina della Costa Nera
  • Il demone di metallo
  • I maestri del Cerchio Nero
  • Nascerà una strega
  • I gioielli di Gwahlur
  • Oltre il Fiume Nero
  • Cannibali di Zamboula
  • Chiodi rossi

ALTRI RACCONTI

  • Il dio nel sarcofago
  • Lo straniero nero
  • Dei del nord
  • La valle delle donne perdute

L’ORA DEL DRAGO

Weird_Tales_1935-12_-_The_Hour_of_the_Dragon-1MARIATERESA BOTTA: Perché è importante questa nuova disposizione dei racconti?

GIUSEPPE LIPPI: Perché mette il lettore nella condizione di seguire lo sviluppo del personaggio nel tempo, dalle prime imprese alla maturità di Howard. Anche il pubblico italiano condividerà l’emozione dei lettori di “Weird Tales” negli anni Trenta, un episodio dopo l’altro.

MARIATERESA BOTTA: Sappiamo che Conan, nella sua fase embrionale, deve molta della sua formazione alla figura di Kull, un altro famoso eroe di Howard che lo ha preceduto sia cronologicamente che concettualmente. Quali sono le differenze fra Conan e Kull? Quali i punti d’incontro? E perché Conan ha conquistato la fantasia dei lettori molto più di Kull?

image-8GIUSEPPE LIPPI: Kull è un Conan meno vitale, dicono; più cupo e meditabondo, oltre che condannato a essere re. Ma è indubbio che in lui ci siano tutti i tratti del personaggio più celebre, e che il suo mondo iperstorico sia direttamente collegato al concept dell’Era Iboriana. Ha vissuto meno avventure, ha avuto una carriera meno sfaccettata di Conan, ma chiunque ami il cimmero non può non affiancargli il suo avo di centomila anni fa, l’usurpatore di Valusia.

MARIATERESA BOTTA: Lo sfondo della saga, l’Era Iboriana, è il tempo del mito, la narrazione pseudo-storica e il palcoscenico dei temi howardiani più ricorrenti…

GIUSEPPE LIPPI: Sì, è una grande invenzione metastorica che ha indotto Sebastiano Fusco ad affermare che in virtù del suo tempo fuori del tempo la fantasia eroica sia il più “impossibile” e sovversivo dei rami del fantastico.

Nel caso dell’Era Iboriana, in realtà, non siamo soltanto di fronte a una costruzione metastorica ma parastorica: se Howard non ha fede nella lettera delle sue cronologie e ondate linguistiche, crede fortemente in una storia di popoli e paesi che trascenda i limiti ordinari della storiografia. E quindi capovolge gli etimi, fa coesistere spettacolarmente epoche diverse, prende da ciascuna il meglio o l’elemento più sensibile. Il risultato è un racconto paradossale ma profondamente organico da cui si ricava che la storia è frutto dell’uomo tanto in senso materiale che psicologico. Lungi dall’essere un patchwork anacronistico, è la rivendicazione di un tempo epico in cui coesistono, come nella realtà, violenza e grandezza, violazione e sofferenza, gesta valorose e morte. È un’epica raccontata con il puntiglio del cronachista, proprio come i poemi classici dall’Iliade in poi, e si svolge in un tempo sospeso che diventa immagine aumentata, interpretazione del tempo storico.

MARIATERESA BOTTA: Il sesso in Conan e, più in generale, nella produzione howardiana, è un aspetto fortemente presente che, in alcuni casi, si ripete come una sorta di archetipo della sua poetica. In qualche modo, è un elemento fondamentale che concorre a completare il quadro di quello che doveva essere, secondo Howard, l’uomo ideale. Da questo punto di vista è interessante notare che Howard morì ancora vergine. Per tutta la sua vita ebbe ben poche occasioni di approfondire la conoscenza dell’universo femminile, fatta eccezione per la sua amica platonica Novalyne Price e per sua madre Hester. Questo archetipo può essere significativo del rapporto che Howard aveva con il sesso e, più in generale, con la sessualità?

imageGIUSEPPE LIPPI: Molti suppongono che Robert sia morto vergine, ma è impossibile giurarlo. Certo, anche nella corrispondenza non accenna a bravate erotiche o ad amicizie intime e, come hai appena ricordato tu, con Novalyne Price tutto rimase su un piano platonico, di affetto più che di amore. Se le cose stanno così, credo che Robert non abbia avuto il tempo di familiarizzarsi con l’eros e con le donne in generale, anche se come maschio adulto sapeva perfettamente tutto del sesso e provava normali impulsi in tal senso. Era un insicuro, questo è dimostrato: una volta, chiedendosi perché non avesse una ragazza come gli altri e dubitando che l’origine della sua timidezza fosse organica, si fece mandare da un collega del padre per dissipare ogni dubbio sulla propria virilità. È un episodio raccontato in Dark Valley Destiny, la biografia pubblicata dai coniugi de Camp negli anni Ottanta e che non si finirà mai di raccomandare. Il libro ci informa anche sull’esito della visita: Robert era normale tranne per una cosa, la convinzione di non esserlo. Il medico concluse che, una volta liberatosi del suo complesso d’inferiorità, non avrebbe avuto problemi con le donne.

cDunque, se non si fosse suicidato avrebbe fatto le esperienze che i racconti di Conan prefigurano in senso così entusiastico e giovanile. Ma più che le scene piccanti di cui è costellata la saga del cimmero, la situazione erotica che mi colpisce maggiormente è contenuta in “Vermi della terra”, uno dei capolavori howardiani in assoluto. In una scena straordinaria e tutta giocata sul piano psicologico, il re dei pitti Bran Mak Morn incontra la fattucchiera Atla, donna che vive sola e che chiamano la lupa mannara. In cambio di un’importante mediazione magica, la lupa chiede a Bran il favore di toglierle la verginità, una condizione che la isola dal mondo. Io credo che il lettore in cerca di spunti debba rileggere questa pagina, per capire la grande importanza che l’eros ha in Robert E. Howard: non un’aggiunta pruriginosa o di colore, ma la forza che ci unisce al ciclo dell’umanità.

MARIATERESA BOTTA: Le figure femminili nella produzione howardiana sono molte, più numerose di quelle che sono state le presenze femminili concrete nella sua vita. Sono anche molto diverse, non solo fra di loro ma rispetto alle donne della sua vita. Che cosa significa?

GIUSEPPE LIPPI: Significa che Howard aveva capito di essere interiormente donna quanto uomo. Se “Madame Bovary c’est moi”, come diceva Flaubert della sua eroina, Agnès de Chastillon [1] è Robert non meno di Kull e Conan. Tutti noi siamo entrambi i sessi, anche dopo esserci differenziati a livello biologico e culturale. Sul piano psicologico l’altro sesso continua a vivere in noi e a volte, come sappiamo, può prendere il sopravvento. Nella dottrina dell’anima gemella di Platone, essa è una parte fondamentale del nostro essere che bisogna ritrovare, perché la separazione è dolorosa e insopportabile. Le grandi storie d’amore (che Howard in qualche occasione ha provato a scrivere, e che avrebbe potuto padroneggiare benissimo) sono storie in cui rivive il mito dell’anima gemella. Penso che Robert sentisse questo legame anche nei confronti della madre, e che per lui fosse importante condurre un’esistenza non separata dalla sua personificazione dell’anima. A parte il legame materno, su cui torneremo, ci sono pagine di squisita sensibilità femminile in racconti ingiustamente ritenuti minori della saga di Conan, e che furono rifiutati da “Weird Tales”. “La valle delle donne perdute” è raccontato dal punto di vista di una ragazza che fugge da tutti gli uomini, compreso il cimmero; “Dei del nord” (noto anche come “La figlia del gigante dei ghiacci”) descrive il desiderio inappagato di Conan per una donna divina, con un forza che fa pensare alla solitudine del suo autore.

MARIATERESA BOTTA: Parlaci di un altro amore, quello di Robert per l’epopea razziale a cavallo fra immaginazione e verità storica.

GIUSEPPE LIPPI: Essendo un narratore corale più che di caratteri, Howard parla di razze, paesi e popoli come delle grandi fucine che fanno la storia e che provengono dal mito. Il suo mito centrale è quello di un’umanità evolutasi dal fango ma che può ricadervi. Nei racconti ambientati nel passato remoto e fantastico della terra non vive soltanto l’idea di evoluzione ma anche il tema possente della devoluzione, la regressione implacabile. I suoi barbari rappresentano, pur nella loro forza fisica e morale, il destino che adombra questa scalata al contrario. L’Era Iboriana di Conan è un arazzo del desiderio istintivo di vivere come della sua controparte, il desiderio di regressione e di morte che prima o poi trascinerà tutti nel suo grembo. Per inscenare la lotta fra istinto di vita e di morte, uno scrittore può raccontare la storia di un’anima gigantesca o di un’epoca grandiosa; Howard ha scelto la seconda strada, unendo in una cosa sola l’eredità della Bibbia e quella dell’Iliade, migrazioni di popoli e scontri di forze.

image-4MARIATERESA BOTTA: Veniamo ora a qualche domanda sull’ambiente e la vita del nostro. Come scrivono i De Camp in Dark Valley Destiny, i rapporti familiari fra gli Howard non erano proprio idilliaci… In che modo questo ha influito sullo sviluppo del piccolo Robert?

GIUSEPPE LIPPI: Come avviene in tutti i ragazzi sensibili, le tensioni irrisolte fra i genitori possono aver condizionato il suo senso della realtà. La madre e il padre litigavano raramente ma pare che avessero i loro problemi di coppia. Invece di battere i piedi a terra, quando era arrabbiato il dottor Isaac Howard fischiettava; la signora Hester Ervin finì per escluderlo del tutto dal cerchio privilegiato formato dal figlio e lei stessa.

Tutto questo, insieme alla chiusura del piccolo nucleo familiare, può aver contribuito alla formazione di un carattere insicuro e introverso nel giovane Howard. L’ambiente esterno deve aver giocato a sua volta un ruolo importante; negli anni Venti e Trenta del secolo scorso i paesi o le cittadine del Texas centrale costituivano un avamposto della civiltà in cui l’alternarsi di siccità, carestie e periodi d’improvviso boom economico dovuto alla scoperta di nuovi giacimenti petroliferi creavano l’impressione di una mutevolezza, un’instabilità sociale marcata.

Niente era prevedibile, tutto cambiava all’improvviso e la crisi del 1929 finì col pesare anche laggiù. Inoltre, c’erano le tensioni razziali: nella contea di Callahan dove gli Howard vissero dal 1919 in poi, la popolazione di colore era scarsa ma ai neri era comunque vietato fermarsi la notte entro i suoi confini. E la signora Howard, donna pioniera, viveva ancora nella paura degli indiani.

MARIATERESA BOTTA: Raccontaci qualche curiosità su Robert. Per esempio, quasi nessuno sa che era un amante degli animali: aveva un cane e diversi gatti. Questo conferma la mia sensazione di un animo sensibile e gentile, nonostante la sua tendenza agli scoppi d’ira, abitudine ereditata da suo padre.

GIUSEPPE LIPPI: Il cane si chiamava Patch perché probabilmente era pezzato, e quando morì fu un piccolo dramma familiare per Robert e sua madre. Dei gatti mi vengono in mente le qualità positive cento volte esaltate nei racconti; nel ciclo di Conan la parola cat è frequentissima, anche se allude spesso ad altri felini e quindi non va tradotta con “gatto”. La capacità di muoversi in silenzio, l’agilità e la snellezza sono i gran pregi dei felini, ma Robert amava tutto il mondo animale. Si potrebbe fare un’eccezione per serpenti e scorpioni, che tuttavia si collocano giustamente nella scala evolutiva e qualche volta sono visti come antenati dell’uomo (“Vermi della terra”). Come non esiste soluzione di continuità fra i bruti e l’umanità più recente, così non esiste una separazione irrevocabile tra mostri, animali e noi.

MARIATERESA BOTTA: Cosa pensi della teoria che vede in Howard un soggetto edipico? Trovi che sia compatibile con il profondo rispetto e l’ammirazione che Bob nutriva per suo padre al quale, pare, siano in parte ispirati il carattere e l’aspetto di Conan?

image-6GIUSEPPE LIPPI: È facile supporre che un uomo così profondamente attaccato alla madre e così alieno da altre compagnie femminili, se non sul piano amichevole, sia un soggetto edipico. Può benissimo non rendersene conto, ma la forza del rapporto è palese ed è certo che nel caso di Howard lo abbia ostacolato con le altre donne. Quanto a Conan, secondo le sue stesse parole (riferite dai de Camp) il campione dei cimmeri non gli fu ispirato da un solo modello ma da un insieme: bulli, avventurieri dei campi petroliferi, pugili e così via, e sarebbe logico pensare che nella miscela entrasse anche il padre. Il vero problema è che i due Howard non devono essere mai stati troppo intimi; per questo all’esempio paterno io sostituirei il proprio sé idealizzato, cioè la stessa figura di Robert che in parte è Conan. Se fosse stato in grado di idealizzare il dottor Isaac Howard, Robert avrebbe avuto, probabilmente, un destino meno avverso.

MARIATERESA BOTTA: Come sappiamo, durante la sua breve carriera Howard ha prodotto più di cinquecento fra racconti, poesie e romanzi. La sua vena creativa era inesauribile, le sue storie sono un mix ubriacante di ritmo, azione, mistero, cupo filosofare, atmosfere mitologiche e sentimenti potenti. Howard ha conferito una forza unica ai suoi scritti, dotandoli di una personalità inconfondibile e innovativa nel panorama fantastico a lui contemporaneo. Che cosa c’era alla base di questo glorioso manifesto espressionista?

Figura 7 Lo scrittoio di Robert, con una replica della sua macchina da scrivere. L'originale si trova in mani di privati

GIUSEPPE LIPPI: C’era una gran voglia di raccontare se stesso e il mondo, anzi, se stesso come se fosse un mondo. Dato che si trattava, in gran parte, di un regno interiore, poteva avvenire di tutto: arcipelaghi, continenti, imperi immaginari nascevano di continuo, poi sprofondavano di nuovo nelle ombre. Ma erano il prodotto di un animo che li sentiva reali, e quindi assumevano (attraverso le capacità psicologiche dello scrittore) uno spessore insolito, una rotondità semistorica.

MARIATERESA BOTTA: Cos’era la “weird fiction” prima di REH? Quali autori lo hanno ispirato?

Figura-3-Re-Kull-di-ValusiaGIUSEPPE LIPPI: Howard leggeva di tutto, anche se non aveva molti libri; leggeva soprattutto in biblioteca e non era raro che rubasse i suoi titoli preferiti, almeno da ragazzo. Amava la storia perché sentiva che era il grande racconto delle sue origini; assorbendola e raccontandola di nuovo, sarebbe cresciuto lui stesso. Amava i racconti orali: le tradizioni del Texas, le ultime storie di frontiera e quelle di fantasmi. Avrà letto i racconti di Robert W. Chambers ambientati sulla frontiera orientale degli Stati Uniti ai tempi dei primi pionieri, e forse ne avrà apprezzato Il re in giallo. Nel campo della letteratura fantastica, oltre a Chambers c’erano i giganti Poe e Hawthorne, e poi le riviste popolari come “Weird Tales” che nascevano sotto i suoi occhi. Su quelle pagine, oltre ad affermarsi come scrittore, finì per conoscere il talento di H.P. Lovecraft e Clark Ashton Smith. Prima di Howard, la letteratura fantastica in lingua inglese non ignorava il genere epico, ma nemmeno era riuscita a diffonderlo. I racconti e i romanzi di William Morris, Lord Dunsany e Eric Rucker Eddison, usciti tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, parlavano di regni immaginari, mostri, divinità perdute e combattimenti, ma erano creazioni piuttosto rarefatte, concepite (anche linguisticamente) per un pubblico colto. Robert E. Howard è stato il primo a creare un mondo immaginario abbastanza complesso da suscitare l’interesse degli amanti del “weird” e abbastanza rude o democratico da attrarre gli appassionati dell’avventura. Un mondo di eccessi, per di più, di violenze inaudite che la formula disinibita delle riviste popolari incoraggiava. Un mondo di simboli, anche se non nel senso tradizionale del termine: le fantasie eroiche di Robert E. Howard non sono soltanto sogni ma incubi laceranti.

MARIATERESA BOTTA: Com’è cambiato il Fantasy dopo di lui? Per la serie “è nato prima l’uovo o la gallina?”: è nato prima lo Sword and Sorcery o l’Heroic Fantasy? Quali erano le differenze fra i due generi? Ha ancora senso questa distinzione, oggi?

Figura-8-Una-famosa-illustrazione-di-Bran-Mak-Morn-di-Frank-FrazettaGIUSEPPE LIPPI: È nata certamente prima l’Heroic Fantasy, presentata al pubblico italiano da Sebastiano Fusco già nel 1969, alla voce “Fantasia eroica” del dizionario Arcana (Sugar). La fantasia eroica ha visto la luce con Morris, Dunsany, Eddison e a voler essere lungimiranti con alcuni romanzi storici di Walter Scott. Poi è arrivato Howard con i suoi demoni, le sue streghe della mente proiettate su uno schermo dai colori sanguigni e condito di erotismo. Questi ingredienti psicologici fortemente esteriorizzati, direi anzi urlati, hanno dato vita alla Sword & Sorcery su cui ha poi teorizzato Fritz Leiber. Sì, può avere un senso mantenere queste categorie ancora oggi: tenendo presente, magari, che l’Heroic Fantasy prospera tuttora mentre la Sword & Sorcery si è ridotta a un rigagnolo.

MARIATERESA BOTTA: Solamente su questo argomento ci sarebbe da scrivere un saggio lunghissimo (mi aspetto che ce lo scriverai, un giorno!): qual era il pensiero di Robert su “la vita, l’universo e tutto quanto”? Howard era senza dubbio una figura chiaroscurale, affetto da ossessioni e profonde convinzioni che contaminano tutta la sua produzione e, tuttavia, non era privo di una certa innocenza, di un’ingenuità quasi infantile. Era un amante della storia e della mitologia, ossessionato dal “mito della barbarie” contrapposto alla civiltà imperfetta e malvagia. Un mito che egli stesso ha forgiato. Perché? E perché ha avuto una tale risonanza da essere – ingiustamente! – accostato alle successive ideologie nazi–fasciste?

GIUSEPPE LIPPI: Nel suo campo Robert E. Howard è stato un genio. Questo vuol dire che ha realizzato una sintesi unica, modellando elementi presi dalla storia, dalla geografia, dalla teosofia, dai miti delle origini diffusi nell’Europa “ariana” fra la seconda metà dell’Ottocento e la Seconda guerra mondiale, e ancora dalla mitologia e dalla narrativa avventurosa. A tutto questo ha aggiunto la convinzione centrale della sua vita: che il mondo sia ostile almeno quanto è meraviglioso, e che la vita sia un combattimento. Bisogna arrivare alla morte eroicamente o scegliendola come risorsa estrema e personale, perché in questo mondo non ci sono iddii favorevoli all’uomo: anche Crom, anzi soprattutto Crom. La sola speranza è nella propria capacità di sopportare e reggere le avversità, nel valore con cui possiamo affrontarle. L’amore è presente in Howard nella sua componente sessuale, ma al contrario che nel cristianesimo non ha una capacità di riscatto paragonabile a quella della forza. In questo quadro, la barbarie è una versione cupa del mito del buon selvaggio, di cui Howard conserva alcuni valori di fondo. Come l’uomo allo stato di natura di Rousseau, il barbaro è un ingenuo, il contrario del politico machiavellico, ed è forte moralmente oltre che fisicamente.

MARIATERESA BOTTA: Sono affascinata! Qualcuno potrebbe ribattere che si tratti di tematiche piuttosto eccentriche…

GIUSEPPE LIPPI: Apparentemente sì, ma la letteratura fantastica ha la capacità di interessarci proprio perché non riflette supinamente i dettami del contemporaneo o le correnti di superficie. Scavando al di sotto, portando a galla immagini inconsce, rivela mondi che ci portiamo dentro senza quasi sospettarlo. Howard attuò una sintesi riuscita di sentimenti e convinzioni personali unite a lezioni apprese nei libri di storia e metastoria (ad esempio quelli di William Scott-Elliot sulla perduta Atlantide): un’avventura dello spirito che sembra lontana dalla nostra esperienza perché siamo immersi in un clima che trascura sempre più la genialità individuale per concentrarsi sul sentito dire. Come conseguenza, nel corso del XX secolo è nato ed è cresciuto un pubblico-gregge incapace di comprendere che la letteratura è fatta di idiosincrasie, non di placebo; di convinzioni estreme e non appiattite su valori standard. Naturalmente, anche ai tempi di Howard si verificava qualcosa di simile, ed ecco perché la sua popolarità presso un pubblico più ampio dei lettori di “Weird Tales” ha tardato a manifestarsi; inoltre, come abbiamo accennato, Robert stesso seguiva idee piuttosto diffuse in determinate correnti e strati intellettuali del suo tempo, per non dire del passato ottocentesco. Ma nei suoi racconti avviene un salto che, attraverso la creatività, li sottrae all’influenza restrittiva degli stereotipi culturali, mentre nei suoi detrattori ci si ferma proprio a quel livello. E allora si parla per slogan, esattamente come farebbe qualunque autore pulp: si usano parole come razzismo, violenza, sessismo (fascismo per favore no, saremmo completamente fuori strada) senza rendersi conto che alcuni di quegli ingredienti possono essere entrati nel calderone delle intenzioni, ma sono poi diventati qualcosa di diverso, una miscela che trascende il pregiudizio iniziale. Prima di scagliare qualunque anatema politico su un autore originale, bisognerebbe ricondurlo al suo tempo e al suo pubblico. Oggi domina un’ideologia di mercato che si spaccia per liberal, allora no; ma siamo pur sempre in America, la stessa America delle eterne contraddizioni.

MARIATERESA BOTTA: Parlaci dei personaggi più importanti di Howard: che cosa li rende tanto grandi? Qual è il tuo preferito, e perché?

GIUSEPPE LIPPI: È difficile dire quali personaggi si preferiscano in Howard, perché di primo acchito sembrano piuttosto lontani da noi e vicini a lui, o meglio ai suoi conflitti. Quello che li rende grandi e in definitiva umani è il loro stoico furore: la capacità di incassare, di sopportare il male fino a sconfiggerlo con un ultimo atto di coraggio. E poi la rabbia, il desiderio di riscatto che erompe con tanta violenza. Sono dei valorosi profondamente segnati dal destino: che si chiamino Solomon Kane o Agnès de Chastillon, Kull o Conan, James Allison o Steve Costigan, hanno in comune un’indomita fierezza che consiste nella capacità di accettare le prove senza piegarsi. Una delle serie howardiane più belle, e oggi forse la mia preferita insieme ai racconti del ciclo britannico, è quella dell’Uomo di ferro Mike Brennon, un pugile moderno che non sarebbe granché se non fosse per la sua straordinaria capacità di incassare pugni. Soffre, combatte, si lascia ferire ma non va al tappeto: ed è questa la vera grandezza, perché alla lunga può capovolgere le sorti dell’incontro. Una serie amara, realistica e degna dei migliori exploit howardiani.

Figura 10 Un divertente fotomontaggio eseguito da Giuseppe Lippi

MARIATERESA BOTTA: L’ideale di uomo in Howard ha qualcosa in comune con il mito del superuomo di Nietzsche?

GIUSEPPE LIPPI: Non credo, perché il superuomo – o oltreuomo, come si traduce oggi – non è un individuo isolato ma una promessa per l’umanità. È l’essere nuovo, il prodotto di una specie umana migliore, salita qualitativamente nella scala antropologica. L’uomo di Robert E. Howard, invece, oscilla sul baratro dell’involuzione proprio come si diceva. Tuttavia si può aggiungere che il barbaro, il pugile, il pirata o la spadaccina cerchino di frenare l’impeto devolutivo con le loro caratteristiche superiori rispetto alla media. Essi sono “super” ma non “oltre”: si elevano sul resto dell’umanità come può elevarsi un campione, ma non la trascendono ancora.

Oh Signori del Nord, veniamo col segno dei morti ricordàti,

Per la soglia spezzata, la casa in fiamme, e per le travi che crollano.

Gettiamo i dadi una sola volta per riscattare, vicino al mare plumbeo,

Cento anni di ingiustizia e infelicità con una sola ora di strage sanguinosa.

MARIATERESA BOTTA: REH scrittore e poeta: cosa rappresenta per noi, lettori moderni e italiani?

GIUSEPPE LIPPI: Un invito a riscoprire il genere cavalleresco, anche se popolato di barbari più che di cavalieri. Una possibilità di ritrovare il nostro passato, cui quello mitico di Kull e Conan vagamente si ispirano, ma che noi abbiamo in casa. La fantasia eroica dovrebbe essere un genere congeniale agli europei e agli italiani in particolare: i nostri capitani di ventura sono stati i Conan del loro tempo. Ed è un invito a ritrovare la poesia di Robert E. Howard, presente anche nelle scene di battaglia o di orrore. In un saggio pubblicato successivamente in America, Michele Tetro ha analizzato proprio questo aspetto; se i giovani rischiano di perdere per sempre il gusto dei classici, invitiamoli almeno ai neoclassici della letteratura fantastica, per risalire insieme fino ai nostri antenati (veri o presunti…).

MARIATERESA BOTTA: Le fonti documentarie, persino alcune testimonianze orali, ci hanno rivelato che Howard covava già da anni l’idea del suicidio e aveva maturato riflessioni profonde in merito, prendendo una posizione decisa. Per lui non era semplicemente l’atto definitivo di porre fine a una vita disperata. Che cosa c’era, davvero, dietro?

image-11GIUSEPPE LIPPI: A parte la disperazione, dietro i suicidi ponderati e decisi da tempo vi è una ricerca di affermazione e libertà. Affermazione sulla sorte avversa e, paradossalmente, sulla morte, che non potrà distruggerci a suo piacere perché la precederemo; e libertà di fare una scelta radicale. La vita è mia, dice il suicida, ma non è l’unica risorsa che ho. Probabilmente non fu soltanto la certezza di perdere la madre che spinse Howard a togliersi la vita, né il desiderio di raggiungerla ma quello, più profondo, di mettere fine all’incarnazione attuale e proseguire nel sogno evolutivo. Sembra che con una parte di sé Robert credesse nel mito della reincarnazione, come dimostrerebbero i racconti di James Allison che viaggia da un’epoca all’altra e da un corpo all’altro; ma che ci credesse seriamente oppure no, una concezione come quella howardiana rappresenta la vita in termini drammatici e sul palcoscenico l’azione deve andare avanti, cambiando continuamente gli attori e i costumi. L’11 giugno 1936 Robert sentì che il suo personaggio doveva uscire di scena, proprio come si vede nel finale del bel film Il mondo intero, ispirato alle memorie di Novalyne Price.

Figura 13 Il titolo di testa che comunicava il suicidio di Robert

Andarsene, migrare, preparare un’altra vita, come fa il protagonista dell’eccellente romanzo autobiografico Post Oaks and Sands Rough, che alla fine lascia Cross Plains e si avvia verso una nuova esistenza. Robert fece l’equivalente, si sparò e aprì una porta; noi ci troviamo nell’anticamera arredata dalle sue invenzioni.

Figura 14 Il messaggio d’addio lasciato da Howard, trovato nella sua macchina da scrivere. Il testo è tratto dalla poesia "The House of Cæsar" di Viola Garvin.

MARIATERESA BOTTA: Vorrei concludere questa profonda riflessione sulla figura di Robert Howard e sugli aspetti della sua vita che ne hanno influenzato la poetica ponendoti una domanda collaterale: è ancora possibile, oggi, scrivere Sword&Sorcery?

GIUSEPPE LIPPI: La sword & sorcery o, per meglio dire la fantasia eroica, è soltanto la versione moderna di un genere molto antico, l’epica cavalleresca. Non vedo perché non si dovrebbe continuare a scriverne, in una forma o nell’altra. Se un giorno, disgraziatamente, la scrittura non venisse più usata, rimarrebbero pur sempre le narrazioni orali, musicali e visive. Perché quello che le fantasie eroiche vogliono raccontarci non è solo una serie di prodezze, che comunque sono necessarie a superare gli ostacoli di cui è costellato ogni cammino consapevole, ma un affinamento del nostro “sé”, una presa di contatto con realtà profonde che raramente affiorano al livello della coscienza. Simile a un sogno, ma un sogno guidato, la fantasia eroica per noi moderni è ancora un rituale. La psicologia, la psicanalisi, la storia delle religioni ce lo hanno insegnato: l’uomo non è isolato, da sempre produce simboli e immagini che lo uniscano al resto dell’umanità e del mondo, sia esterno (il pianeta, lo spazio) che interiore (lo spazio, i mondi accanto che abbiamo dentro, le culture che dobbiamo ritrovare). È una disciplina come la scherma, come lo studio dell’occultismo, della filosofia e delle scienze. Ed è un proponimento d’amore, perché questa rimane una componente vitale dell’insieme. Il cavaliere sei tu, io, chiunque brami di andare al di là del conosciuto, del banale, o peggio, del mortificante. Il cavaliere è chi scrive, come Robert E. Howard che è stato un valente campione della narrativa fantastica. Conrad diceva che “lo scrittore è un uomo d’azione”, e naturalmente una donna d’azione. Il problema, dunque, non è se si potrà scrivere ancora fantasia eroica o sword & sorcery, ma se e quando ve ne saranno le personalità all’altezza. Io credo che ve ne siano parecchie, già in mezzo a noi.

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