I CLASSICI DI ROBERT E. HOWARD: La valle del Grande Verme – LA SAGA DI James Allison #2

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Titolo: La valle del Grande Verme

Titolo originale: The Valley of the Worm

Serie: La saga di James Allison #2

Antologia: Tutti i cicli fantastici, Vol. 5: I cicli di Kull di Valusia, di James Allison, di Cthulhu e di Almuric

Autore: Robert E. Howard

Traduttore: Gianni Pilo

Curatore: Gianni Pilo e Sebastiano Fusco

Copertina: Marco Sani

Editore: Newton & Compton

Genere: sword and sorcery

Data di pubblicazione: 1934 (Weird Tales)

Data di pubblicazione italiana: 1995 (prima pubblicazione, 1978)

Non disponibile

 

 

Il Ciclo di James Allison:

  1. Il giardino della paura (The Garden of the Fear, 1934);
  2. La valle del Grande Verme (The Valley of the Worm, 1934);
  3. I Figli della Notte (Children of the Night, 1931) [serie di John Kirowan];
  4. Marchers of Valhalla, (1972); inedito;
  5. The Tower of Time (1975) con Lin Carter; inedito;
  6. Brachan the Kelt (1981); inedito;
  7. Black Eons (1985) con Robert M. Price; inedito;
  8. The Tower of Time (fragment) (1998); inedito. Apparso anche come:
  9. The Guardian of the Idol (2003); inedito.

 

 

Sinossi: Mitico guerriero della preistoria di Atlantide, Kull di Valusia è un eroe particolare. Violento e crudele, intrepido in battaglia, non ha amici, ma solo orribili nemici contro cui combattere ferocemente: mostri, stregoni, rettili orribili, adepti della Magia Nera. Lo accompagnano in questo volume le visioni oniriche di James Allison, le avventure extraplanetarie di Esaù Cairn sul pianeta Almuric e le storie che si richiamano ai Miti di Cthulhu di Lovecraft.

 

 

Commento:

Come ne Il giardino della paura, anche ne La valle del Grande Verme[1], l’espediente letterario utilizzato è sempre quello di mostrarci le avventure di guerrieri Asi provenienti dall’estremo nord della Terra, grazie alla memoria ancestrale posseduta da James Allison:

“Voglio raccontarvi di Njord e del Grande Verme. È una leggenda che già conoscerete in molte versione, nelle quali l’eroe si chiama Tyr o Perseo, o Sigfrido, o Beowulf, o San Giorgio. Invece, fu Njord che affrontò quell’orrenda Cosa demoniaca uscita strisciando dall’Inferno; e da quel combattimento nacque un lungo ciclo di saghe eroiche, tramandate per secoli fino a quando la sostanza stessa della verità andò perduta nel limbo di tutte le leggende dimenticate. Ma io so bene ciò che vi dico. Vedete: Njord ero io.”[2]

Questo è l’esordio in grande stile di Howard, che reinterpreta in chiave sword and sorcery l’eterna lotta tra uomo e serpente. Invero, questo tema si riscontra in molteplici racconti del maestro di Cross Plains come Il Dio nell’urna[3] (The God in the Bowl, 1952) e Gli accoliti del cerchio nero[4] (The People of the Black Circle, 1934) della Saga di Conan il Cimmero, o ne Il regno fantasma[5] (The Shadow Kingdom, 1929) del Ciclo di Kull di Valusia.

Sotto un profilo simbolico, è agevole desumere che l’Autore metta in rilievo solo il significato negativo del serpente, adottando un approccio tipico della cultura cristiana medievale, la quale considera il rettile una perfida creatura che conduce l’uomo alla the_snake_by_highdarktemplar-d4gl9a1perdizione[6]. Nella Bibbia, è proprio l’ofide a lasciar intendere ad Adamo che i frutti dell’albero della morte siano in realtà fonte di vita. Nondimeno, anche prima del cristianesimo vi era rivalità tra l’uomo e il serpente. Si pensi all’epopea babilonese di Gilgamesh, dove il rettile ruba all’eroe l’immortalità donatagli dagli dei. Muovendo da tale orientamento, è possibile sostenere che il serpente rappresenti l’avarizia, l’egoismo, l’orgoglio e la lussuria[7]. Inoltre, il drago viene equiparato al serpente[viii] e costituisce l’ostacolo che metaforicamente l’eroe deve superare per raggiungere il Sacro. Ne discende che ogni buon cristiano deve ucciderlo dentro di sé, come fecero San Giorgio e San Michele.

Tornando al tema della reincarnazione, l’Autore riferisce che:

“Ogni uomo e donna, sulla Terra, è allo stesso tempo parte e tutto di una analoga processione di figure e di esseri. Ma non può ricordarsene: la sua anima non può varcare i paurosi abissi di tenebra che si aprono tra quelle forme instabili, abissi che lo spirito (o l’anima, o l’Io) varca liberandosi dalla veste corporea. Invece io ricordo.[ix]

813f937081203737eebaa3bb3b0b9ee1--fantasy-warrior-viking-warrior-artNella fattispecie, James Allison rammenta le gesta di Njord, un guerriero ariano che ha abbandonato il glaciale Nordheim a causa di una tremenda battaglia (Ragnarok) scoppiata tra fazioni rivali di Asi. A seguito di ciò, la popolazione di vigorosi uomini dai capelli biondi e dagli occhi azzurri emigra verso sud, conquistando, sottomettendo e razziando tutto ciò che trova.

Con questa descrizione, che richiama la mitologia norrena, Howard pare voler giustificare la superiorità di questa razza ariana rispetto a tutte le altre, assegnandole una discendenza divina. In tale circostanza, Howard palesa la sua ammirazione per le popolazioni nordiche mediante alcune citazioni storiche:

“Ho percorso, con le mani rosse di sangue, le strade deserte di Roma al seguito del biondochiomato Brenno; ho vagato per i campi devastati con Alarico e i suoi Goti, quando le fiamme delle ville incendiate illuminavano a giorno la terra; e sotto i nostri piedi l’Impero Romano rantolava; sceso dalla neve di Hengist, con la spada in pugno, ho solcato la risacca spumeggiante per gettare le fondamenta dell’Inghilterra tra sangue e saccheggi.”[x]

Volgendo lo sguardo al setting, ci troviamo in un’epoca talmente remota che da allora “la superficie della Terra è mutata, non solo una volta, ma decine di volte; continenti sono emersi e sprofondati.[xi]

Durante una migrazione degli ariani verso sud, Njord e la sua tribù giungono in una terra afosa, collinare e coperta di giungle dove vivono i Pitti, una popolazione di uomini bianchi e antropofagi dal corpo tozzo, dai capelli neri e dal volto dipinto. Ovviamente, da combattenti quali sono gli ariani non possono esimersi dal scontrarsi con gli indigeni e, benché inferiori in numero e coperti solo da pelli di lupo, riescono a sconfiggere i nemici, massacrandoli .

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Howard ha cura di evidenziare che tale comportamento non è dettato da crudeltà ma da una mera esigenza di sopravvivenza, poiché in un territorio in cui le risorse sono assai scarse la convivenza di più popolazioni risulta letale:

“non torturavamo: non eravamo più crudeli di quanto imponesse la vita. La nostra legge era la spietatezza, ma non eravamo più inutilmente crudeli di quanto lo si sia oggi.”[xii]

Nel corso della battaglia, Njord combatte contro un guerriero Pitto armato di scudo rotondo e di spada, affrontandolo con la sola clava. La scelta di questa arma non è casuale, poiché rappresenta la forza bruta e primitiva se è impugnata da Ercole[xiii], il più grande di tutti gli eroi[xiv]. Quando è portata da Vishnu, viene considerata il simbolo della conoscenza primordiale; mentre in Kali è il simbolo della potenza del tempo che distrugge tutto ciò che le si oppone[xv]. Invero, è possibile affermare che il significato che Howard ha voluto attribuire a tale arma sia quello relativo a Dadga, la divinità celtica che brandisce la clava, uccidendo con un’estremità e resuscitando con l’altra[xvi].

Infatti Njord, nonostante sia in svantaggio, riesce a sconfiggere il nemico ma gli fa salva la vita. Una volta ripresosi, il nostro viene a conoscenza del fatto che il suo avversario si chiama Grom. Tra loro nasce una forte amicizia, tanto che il selvaggio si impegna a fare da ambasciatore degli Asi tra i Pitti e i due popoli sanciscono una pace duratura.

Ma l’armonia tra le tribù Asi non dura per molto e una parte di esse decide di lasciare il villaggio per stanziarsi in un luogo chiamato la Valle delle Pietre Infrante, in cui è presente un tempio in rovina. Dopo essersi ristabilito, Njord decide di far visita agli amici che hanno effettuato la scissione dagli Asi, ma scopre con orrore che il centro abitato è stato completamente distrutto e la popolazione trucidata. Chieste informazioni a Grom, apprende che in un’era dimenticata la Valle era stata il luogo in cui aveva dimorato una razza preumana devota al Grande Verme. Queste creature erano scomparse nell’oblio, ma il loro dio continuava a vivere.

Venuto a conoscenza dei fatti, Njord decide di vendicare l’onta subita dalla sua tribù e si reca nella giungla, allo scopo di uccidere un serpente velenoso ed utilizzare tale sostanza per combattere la deità blasfema. Il disprezzo per Howard nei confronti dei rettili si manifesta ancora una volta:

“I Pitti non l’avevano mai venerato benché le popolazioni negre sopraggiunte in seguito lo avessero divinizzato, e quell’adorazione si fosse perpetuata poi nella razza ibrida nata dalla fusione tra i negri e loro vincitori bianchi. Ma per gli altri popoli rappresentava il culmine dell’orrore e della malvagità, tanto che le sue descrizioni alterate passarono poi nella demonologia; cosicché, in epoche più tarde, Satha divenne il demonio delle genti di razza bianca. Gli Stygiani in principio lo adorarono ma poi, quando divennero Egizi, lo aborrirono sotto il nome di Set, il Serpente Antico, mentre per i popoli semiti divenne Leviatano o Satana.”[xvii]

Tesogli una trappola, Njord riesce a uccidere il serpente trapassandolo con la lancia e mozzandogli la testa con la spada. Dopo, intinge nelle sacche di veleno dell’animale le frecce che gli serviranno per affrontare il Grande Verme. Possiamo comparare il nostro eroe ad Apollo che con i suoi dardi uccide Pitone, o a Indra che uccide Ahi, o a Vritra con il vajra, che rappresenta il fulmine[xviii].

Dopo essersi preparato, l’Asi giunge nella Valle ed entra nel tempio, dove si trova dinanzi a una creatura antropomorfa e irsuta su cui spiccano due occhi cremisi. L’essere comincia a ballare e a suonare una zampogna dalla quale fuoriesce una melodia inquietante, mentre alle sue spalle appare il Grande Verme:

ed826eb5cb4890781e75261111e274fe--fantasy-rpg-fantasy-inspiration“Era bianco e rigonfio, e trascinava la sua viscida mole tremolante sul terreno, come fanno i vermi. Ma aveva larghi tentacoli piatti, e palpi carnosi, e altre appendici di cui non saprei spiegare la funzione. Aveva anche una lunga proboscide che avvolgeva e protendeva, come quella di un elefante. I quaranta occhi, disposti in un orribile cerchio, erano composti da mille sfaccettature di altrettanti colori che cangiavano e mutavano in alterazioni incessanti, ma in tutti i giochi di sfumature e di brillii conservano un’intelligenza demoniaca nata dalla più nera delle notti. Quella notte ultraterrena che gli uomini, nei sogni, sentono pulsare titanicamente negli abissi oscuri al di là del nostro universo materiale[xix].”

La descrizione di questo titano non può non ricordare ai più accorti l’orrore cosmico presente nei Miti di Cthulhu di H.P. Lovecraft, scrittore con il quale Howard intratteneva una corrispondenza epistolare copiosa[xx] e a cui si è ispirato per creare molteplici dei suoi mostri. Nondimeno, vi è una notevole differenza tra i due scrittori, dato che nelle opere del Solitario di Providence coloro che vengono a conoscenza dei Grandi Antichi muoiono o diventano folli, mentre in quelle del maestro di Cross Plains i nerboruti eroi si oppongono a queste divinità blasfeme e spesso riescono a sopraffarle grazie alla loro possanza fisica e alla loro astuzia.

 

NOTE:

[1] HOWARD R. E., La valle del Grande Verme, in Tutti i cicli fantastici. I Cicli di Kull di Valusia, di James Allison, di Cthulhu e di Almuric, a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, Newton Compton, 1995, p. 150 e ss.

[2] HOWARD R. E., op. cit., p. 138.

[3] HOWARD R. E., Il Dio nell’urna, in Tutti i cicli fantastici. Il Ciclo di Conan. Tomo I, a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, Newton Compton, 1995, p. 61 e ss.

[4] HOWARD R. E., Gli Accoliti del Cerchio Nero, in Tutti i cicli fantastici. Il Ciclo di Conan. Tomo I, a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, Newton Compton, 1995, p. 296 e ss.

[5] HOWARD R. E., Il Regno Fantasma, in Tutti i cicli fantastici. I Cicli di Kull di Valusia, di James Allison, di Cthulhu e di Almuric, a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, Newton Compton, 1995, p. 29.

[6] CHEVALIER J., GHEERBRANT A., op. cit., p. 930.

[7] J. CHEVALIER, A. GHEERBRANT, op. cit., p. 931

[viii][viii] J. CHEVALIER, A. GHEERBRANT, op. cit., p. 932.

[ix] HOWARD R. E., op. cit., p. 150.

[x] HOWARD R. E., op. cit., p. 151.

[xi] Ibidem.

[xii] HOWARD R. E., op. cit., p. 154.

[xiii] CHEVALIER J., GHEERBRANT A., op. cit., p. 287.

[xiv] CHEVALIER J., GHEERBRANT A., op. cit., p. 414.

[xv] CHEVALIER J., GHEERBRANT A., op. cit., p. 287.

[xvi] Ibidem.

[xvii] HOWARD R. E., op. cit., p. 162.

[xviii] GUÉNON R., Simboli della scienza sacra, Adelphi, Milano, 2015, p. 160.

[xix] HOWARD R. E., op. cit., p. 165.

[xx] LOVECRAFT H. P., L’orrore nella realtà, a cura di Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco, Edizioni Mediterranee, Roma, 2015, edizione digitale.

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