Cronache nemediane: Dalla Battaglia di Ostia alla caduta dell’Emirato di Bari (849-871)

Articolo di Gabriele C. Zweilawyer, tratto dal sito Zhistorica.


Una lunga storia, quella degli arabi in Italia. La sconfitta dell’849 non aveva fiaccato il vigore arabo, ed il controllo completo del mar Mediterraneo (e di numerose isole, Sicilia compresa) dava loro la possibilità di agire indisturbati sulle coste.

Lo stesso 849 fu ricco di scorrerie musulmane sulle coste europee. La sfortunata città di Luni fu saccheggiata dai saraceni, tanto che, a detta del Muratori «non risorse mai più»

In realtà, la distruzione definitiva della città avvenne un decennio più tardi a causa di una scorreria normanna. Per quanto sia difficile crederlo, detti normanni la scambiarono per Roma, il loro vero obbiettivo!

Arrecando un grave smacco alla capacità edili dei governi moderni, Leone IV fu in grado di inaugurare le Mura Leonine il 28 giugno dell’852, a quattro anni circa dall’avvio dei lavori. Oltre alle torri presso il porto di Ostia, il pontefice manifestò l’intenzione di ricostruire la stessa città di Ostia, in modo da renderla il baluardo romano nella lotta ai saraceni.

Proprio nell’852, sempre per sfuggire ai saraceni, giunsero a Roma numerosi abitanti della Corsica. Leone IV li accolse e assegnò loro terre e proprietà a patto che si dichiarassero fedeli al pontefice e al popolo romano.

D’altronde era necessaria nuova forza lavoro nel contado romano, scosso dalle incursioni saracene, e una delle tante testimonianze della situazione riguarda la città di Centocelle.

Nel IX secolo Centocelle (Civitavecchia) era una cittadina alle porte di Roma. Stando a quanto riportato dal Muratori, nell’’anno 854 le mura non esistevano più da quaranta anni e la città era ormai un deserto.

Correvano già quarant’anni che la città di Centocelle, colle mura per terra, e dagli abitanti fuggiti, per timore de’ Saraceni, abbandonata, era divenuta un deserto

Terrorizzati dai Saraceni, che l’avevano saccheggiata nell’814, gli abitanti vivevano nelle campagne e nei boschi limitrofi. Leone IV volle ovviare a questa situazione fondando una nuova città, Leopoli, a quindici chilometri dal vecchio sito, in un luogo ricco di acqua corrente e adatto alla costruzione di mulini. La nuova città venne abbandonata dopo soli 36 anni, poiché il popolo voleva tornare più vicino al mare, alla sua «città vecchia», da cui l’odierna Civitavecchia.

Le rovine di Leopoli oggi
Le rovine di Leopoli oggi

Vale la pena ribadire che nazioni cristiane e nazioni islamiche non erano blocchi monolitici che si scontravano senza sosta. Anzi, molti prinicipi italiani non si fecero problemi ad assoldare milizie musulmane per muovere guerra ai propri vicini. Un caso esemplificativo è quello riportato dal Muratori e attribuito a Leone Ostiense, il quale ci dice che, nell’847, Radelchi di Benevento si fece aiutare ancora una volta da Massar, duca dei Saraceni, per saccheggiare e conquistare monasteri e città:

In questi tempi ancora Radelgiso principe di Benevento [Leo Ostiensis, lib. I, cap. 28.] trasse in aiuto suo Massar duca de’ Saraceni con alcune masnade di quegl’infedeli. Costui neppure portava rispetto agli stessi Beneventani; diede il guasto al monistero di santa Maria in Cinghia; prese il castello di san Vito; forzò alla resa la città di Telese, e saccheggiò tutti i suoi contorni. Fu creduto miracolo ch’egli non molestasse il monistero di Monte Cassino, quantunque vi arrivasse fino alla porte.

Nell’852, questa volta nelle vesti di Imperatore, Lodovico II scese verso il Ducato di Benevento alla testa di un esercito e puntò verso la città di Bari. I saraceni avevano preso città e territori limitrofi nell’847, proclamando un emirato che resterà nella storia come il governo arabo più longevo nella penisola italica.

L’assalto di Lodovico, che aveva portato con sé un buon numero di macchine d’assedio, fu piuttosto veemente. Riuscì ad aprire una breccia nelle mura, ma perse tempo a causa di alcuni suoi consiglieri. Questi erano convinti che le molte ricchezze della città sarebbero andate distrutte in un attacco violento, e che conveniva prendere la città per fame. Mentre l’esercito imperiale temporeggiava, gli arabi riuscirono a riparare la breccia. Lodovico II non aveva alcuna intenzione di tenere l’esercito bloccato a così grande distanza dai centri del potere imperiale, quindi se ne tornò in Lombardia infuriato.

Scampato il pericolo, l’Emirato di Bari tornò ad essere un avamposto straordinario per le scorrerie arabe nel sud italia. I Ducati di Benevento e Salerno soffrivano più di tutti questa situazione.

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Nell’856 Adelgisio di Benevento e Pietro di Salerno misero da parte qualsiasi acredine fra i due regni e si unirono per attaccare di nuovo Bari. Le truppe però non riuscirono ad iniziare l’assedio, poiché si fece loro incontro un contingente saraceno. I longobardi li sconfissero in modo netto e li misero in fuga, ma un secondo contingente arabo era sulla strada per intercettarli, e questa volta l’armata cristiana non ebbe scampo.  La sconfitta fu talmente pesante da permettere ai saraceni una violenta incursione nel sud italia:

Molti restarono nel campo estinti; gli altri, e parte d’essi feriti, si diedero alle gambe. Orgogliosi per questa vittoria i Saraceni, scorsero dipoi per gli principati di Benevento e di Salerno, uccisero non poche persone, menarono in ischiavitù le lor mogli e figliuoli; e carichi in fine d’immenso bottino, se ne ritornarono a Bari.

A fasi alterne, l’Emirato di Bari continuò ad essere una spina nel fianco dei regni longobardi del sub.

Seodan, o Saugdam, che governava Bari in quel periodo, mandava spesso i suoi soldati a saccheggiare le campagne italiane, tanto che buona parte di esse rimase disabitata. Chiamate di continuo dai governanti locali, le forze imperiali non sembravano avere intenzione di scontrarsi in modo definitivo con con gli arabi di Bari, tanto che a volte si limitavano a presentarsi nel sud italia e a tornare verso nord senza aver risolto nulla.

D’altronde, il Sacro Romano Impero non era un locus amenus, quindi Imperatori e principi preferivano mantenere le proprie truppe nelle vicinanze, piuttosto che mandarle a mille chilometri di distanza.

Nell’862 sempre Adelgiso di Benevento decise di risolvere la questione con un buon quantitativo di moneta sonante. Iniziò quindi a pagare un tributo annuo all’Emirato di Bari e diede ai saraceni degli ostaggi, fra cui la figlia, a garanzia di un corretto pagamento.

Nell’865 i governatori delle città di Telese e Boiano riuscirono a convincere Lamberto, duca di Spoleto e Gherardo, conte di Marsi, ad attaccare i saraceni che funestavano il loro territorio. L’idea era quella di sorprendere sulla strada le squadre arabe che tornavano a Bari con il solito bottino di schiavi e oro, ma le cose non andarono come previsto.

Il sultano era pronto a riceverli e li fece a pezzi, mentre i sopravvissuti si diedero alla fuga o furono ridotti in schiavitù. La vittoria diede grande fiducia ai saraceni, che ne approfittarono per mettere a ferro e fuoco il ducato di Benevento. Città fortificate a parte, non si salvò nessun luogo. Furono distrutte Telese e Boiano, ma anche Isernia, Alife e Supino.

Non c’era modo di fermarli, tanto che arrivarono fino al monastero di San Vincenzo di Volturno, uno dei più ricchi del sud italia, e lo depredarono. I monaci furono anche costretti a pagare tremila scudi d’oro per evitare che il monastero fosse dato alle fiamme.

San Vincenzo al Volturno
San Vincenzo al Volturno

Ancora più ricco era il monastero di Montecassino, guidato dall’abate Bertario. Famoso per essere un fine letterato, per fortuna dei suoi sottoposti aveva anche una certa lungimiranza. Conoscendo il pericolo saraceno, aveva fatto fortificare il monastero e, soprattutto, aveva subito spedito una delegazione a Teano, dove ormai erano giunti i razziatori, per convincere questi ultimi a non assediare il monastero. Al costo, ovviamente, di tremila scudi d’oro.

Per quanto occupato dalle vicende imperiali (dai rapporti con Bisanzio a quelli con il Papa e con tutti i governatori dei città e contrade italiane), nella primavera dell’867 l’Imperatore Lodovico era intenzionato a distruggere l’Emirato di Bari. Ammassò i suoi soldati nei pressi di Nocera e si scontrò con i saraceni, uscendone con le ossa rotte.

Lodovico tornò sotto le mura di Bari l’anno successivo. Distrusse i campi dei dintorni e poi attaccò Matera, da qualche tempo altro baluardo saraceno. Dopo aver preso la città la rase al suolo e passò a Venosa, dove lasciò una guarnigione di una certa consistenza. In questo modo, Bari rimase sempre più isolata.

In Memorie storiche di Matera (1818), di Francesco Paolo Volpe, viene citato un passo dell’Archivio Cassinese in cui si dice che i saraceni reputavano Matera: “una Città ove essi riponevano tutta la loro gloria”.

Visto come un corpo estraneo dai governanti locali, da Lodovico e anche dall’Imperatore Basilio, il destino dell’Emirato di Bari era ormai segnato.

I due imperatori strinsero un’alleanza. A suggellarla fu la promessa di matrimonio fra la figlia di Lodovico ed il primogenito di Basilio. Arrivarono, stando ad alcune fonti, addirittura 400 navi bizantine guidate da Niceta, che aveva anche l’incarico di prendere la figlia di Lodovico e portarla a Costantinopoli. Sembra che i bizantini però, sferrati senza successo un paio di attacchi, se ne fossero andati a Corinto.

Ritirandosi dall’assedio di Bari nell’inverno fra 869 e 870, la coda dell’esercito di Lodovico fu assalita dai saraceni, che riuscirono a sottrargli duemila cavalli e ad utilizzarli per precipitarsi a saccheggiare la chiesa di San Michele sul Gargano, dove fecero prigionieri anche parecchi religiosi.

Fra l’altro, l’improvvisa morte del nipote di Lodovico, Lotario II, aveva portato ai soliti problemi di successione. Carlo il Calvo infatti approfittò della lontananza di Lodovico per assorbire i domini del defunto nipote.

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La spartizione che fra Lodovico II il Germanico e Carlo il Calvo non teneva in alcun conto l’Imperatore Lodovico II

Insomma, l’870 non era iniziato sotto i migliori auspici, anche perché molti uomini inviati da Lotario prima della sua morte erano morti o tornati indietro a causa delle condizioni atmosferiche intollerabili (grande caldo alternato a piogge). Tuttavia, sul finire dell’anno Lotario riuscì nella stretta finale su Bari.

Davvero interessante la curiosità storica riportata dal Muratori, che parlando dell’esercito cristiano dice che molti furono uccisi dai morsi di tarantola: “Plurimi etiam aranearum morsibus extinti sunt: cioè dalle tarantole, velenosi animaletti, anche oggidì sussistenti e famosi pel danno che recano in quelle contrade”

Con l’emiro Mofareg barricato in città, Lodovico mandò le truppe di Ottone, conte di Bergamo, ad aiutare la popolazione calabrese, in difficoltà per le scorrerie di altri comandanti musulmani. La notizia delle vittorie cristiane in calabria raggiunse Cincimo, luogotenente saraceno di Amantea, che fu sconfitto e messo in fuga. Cincimo aveva però messo insieme un piccolo esercito per andare a soccorrere Bari, ed aveva intenzione di attaccare i cristiani (accampati fuori le mura di Amantea?) il 25 dicembre, sicuro di coglierli di sorpresa durante le celebrazioni del Natale. I cristiani erano però venuti a conoscenza del piano e, officiata la messa prima dell’alba, si fecero trovare pronti. Cincimo ed i suoi vennero macellati.

Senza più speranze, Bari cadde il 2 febbraio 871. Non ci fu alcuna resa, ma un assalto violento ed un massacro di saraceni. Mofareg si salvò grazie all’intervento di Adalgisio di Benevento. L’emiro si era infatti rifugiato in una torre della città, chiedendo di potersi arrendere direttamente a quest’ultimo (di cui, se ben ricordate, aveva in ostaggio la figlia).

Lodovico permise l’accordo, ma ebbe a pentirsene poco dopo…

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