Dettagli
Titolo: La collina dei sogni
Titolo originale: The Hill of Dreams
Autore: Arthur Machen
Editore: Il Palindromo
Genere: horror/weird
Data di pubblicazione: 1907
Data di ultima pubblicazione italiana: 2017
Prezzo: € 15,30 (ibs.it)
Sinossi
Il giovane e introverso Lucian Taylor, emblema del letterato decadente e maledetto, cerca di evadere, attraverso la scrittura, dalla realtà stantia e borghese di un paesino del Galles del XIX secolo. Gradualmente la dimensione onirica prenderà il sopravvento e il giovane si ritroverà a vivere un’esistenza dissociata, a metà tra un passato mitico, puro e selvaggio e un presente crudele e disumano. L’approdo in una fredda e caotica Londra estrometterà, infine, ogni spiraglio del reale dalle giornate solitarie di Lucian. Ripubblicato a trent’anni dalla prima edizione italiana, con un’introduzione inedita dello stesso Machen, “La collina dei sogni” (1907) è un classico della letteratura inglese. Apre il libro una prefazione di Gianfranco de Turris.
Commento
E’ difficile, oggigiorno, che un lettore si avvicini all’opera di Machen senza possedere già una qualche sorta di filtro.
La travagliata vicenda letteraria della sua pubblicazione in Italia, che in buona parte resta ancora da scrivere nella sua componente critica, non ha consentito di approcciarne il lavoro in maniera sistematica, ma al contrario episodica e casuale, magari come viatico per altre letture; è noto, in questi termini, come siano state le alte lodi tessute da Lovecraft riguardo Machen a generare nuovi estimatori dell’autore irlandese, giunti a conoscerlo tramite l’indirizzo del maestro di Providence.
Da queste circostanze non può che nascere un rischio; quello, cioè, di valutare l’opera di Machen in termini quasi esclusivamente relativi, facendone un tassello – decisivo quanto si vuole – dello sviluppo della narrativa fantastica, da ricordare solo come precursore o antesignano, per quanto particolarmente dotato, di altri autori. Niente di più errato.
“La collina dei sogni”, che ad una lettura superficiale parrebbe mostrare il fianco proprio a questo tipo d’approccio, è invece esemplare nel mostrare lo specifico – ed elevatissimo – valore dell’impostazione macheniana nel suo modo di affrontare l’Altro e l’Invisibile.
L’intera narrazione vibra infatti di nascoste allusioni spirituali che sono proprie di Machen: la percezione di un mondo ulteriore, assieme sublime e terribile, che traspare in frammenti sparpagliati nella realtà ordinaria. In questo senso però, l’intera operazione, è svolta in maniera radicalmente diversa da quanto compiuto in narrazioni come “Il gran dio Pan”.
Intenzionalmente, con il proposito di indirizzare diversamente la propria scrittura e la propria carriera letteraria, Machen sceglie di rileaborare i temi a lui cari filtrandoli attraverso una sorta di romanzo di formazione (qualcuno direbbe “d’iniziazione”, sulla scorta di una interpretazione allegorica); il giovane Lucian, protagonista del libro, è seguito mentre dalla fanciullezza trapassa all’adolescenza e poi all’età matura, inseguendo chimere letterarie che scaturiscono nel suo animo da suggestioni estetiche e spirituali che ruotano attorno alle rovine di un antico e semidimenticato accampamento romano vicino al suo paese natio.
La Britannia romana, sorta di Eden classico perduto eppure ancora esistente in una dimensione fuori dal tempo, è un topos ricorrente in Machen, che in questo caso si manifesta come una sorta di “locus terribilis”, una specie di intermundus intellettuale (ma forse non solo), dove viene accesa la fiamma che condurrà Lucian ad affrontare la vita come un’avventura onirica concessa a pochi eletti. Tanto la sua esistenza, sul piano materiale, si avvia a restringersi nella condizione dell’isolamento, dell’emarginazione e del delirio, tanto i suoi viaggi interiori, fatti di picchi indicibili quanto di abissali disperazioni, si fanno sempre più intensi e “intraducibili” agli estranei alla vera conoscenza.
Abbiamo quindi da un lato la parabola di un giovane illuso, sfortunato, sedotto da impossibili glorie letterarie spietatamente irrise dalle consuetudini borghesi, e parallelamente quella altrettanto drammatica di un adepto che fallisce la sua ricerca delle segrete realtà interiori, consumato da un fuoco che dopo essere stato acceso dagli eventi dell’infanzia, diventa ingovernabile in quanto alimentato senza che una guida indichi come e quanto.
Da questo punto di vista, l’intera trama del libro risulta quasi pretestuosa, e in fin dei conti prevedibile, posto che le sue premesse ne anticipano inesorabilmente la conclusione.
Lucian, che in una segregazione volontaria ricercata con sempre maggiore desiderio, si illude di scoprire una vita nascosta che lo condurrà tanto alla gloria letteraria quanto alle vette dello spirito, non si accorge di come il suo essere solo lo indebolisca progressivamente, fino a ridurlo – ultimo degli epigoni dei poeti maledetti – ad un drogato incapace di lasciare la sua prigione. Infine, l’ultima rivelazione: i riflessi dorati visti nel segreto sono solo fantasie; le nebbie della mente non nascondono nessuna Avalon da scoprire, ed è questo ad uccidere Lucian, prima ancora che una dose fatale.
C’è chi, non senza ragione, ha dato una lettura fortemente autobiografica del “La collina dei sogni”, in questo sostenuto da alcune affermazioni di Machen che non nega di aver vissuto, durante la stesura del romanzo, in un isolamento affine in alcuni tratti a quello descritto per il suo protagonista, che chiama non a caso un “Robinson Crusoe dell’anima”.
Sarebbe però eccessivo affrontare la lettura del romanzo evidenziando solo quanto – in filigrana – possiamo ritrovarvi del suo autore, così come ne è riduttiva l’interpretazione esclusivamente “alchemica”. Per certi versi, “La collina dei sogni” travalica quanto scritto in precedenza da Machen, coniugando forse inconsciamente le pulsioni eversive che premevano contro le barriere della Weltanschauung vittoriana con una forma in grado di soddisfarne le esigenze di lindore formale; proprio quello che risulta impossibile al povero Lucian, incapace di tradurre gli universi fantasmagorici che vivono nella sua mente in pagine gradite al buon vecchio mondo delle lettere londinese. Non deve stupire però che Machen sia riuscito in questo: come ripete più volte – e a differenza di altri – egli non è il protagonista del suo libro.
Autore
Arthur Machen (Caerleon-on-Usk, Monmouthshire, 1863 – Beaconsfield, Buckinghamshire, 1947) scrittore inglese. Giornalista, saggista, traduttore (Memorie di Casanova, 1894), scrisse alcuni romanzi di un certo successo, come Il gran dio Pan (The great god Pan, 1894); ma è noto soprattutto per i racconti del soprannaturale, dove spesso utilizzò elementi tratti dalle leggende e dal folclore del natio Galles per creare sfondi suggestivi alle misteriose vicende che l’hanno reso famoso tra i cultori della letteratura fantastica. Tra le opere ricordiamo: i racconti I tre impostori (The three impostors, 1895), La polvere bianca (The white powder, 1897), La casa degli spiriti (The house of souls, 1906); e il romanzo breve Il terrore (The terror, 1917).
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