Articolo di Valerio Morosi, tratto da Antarès.
Non poteva mancare, in questo numero di «Antarès», una segnalazione di «Studi Lovecraftiani», rivista interamente dedicata allo scrittore di Providence giunta, con il numero dell’inverno 2013, alla sua tredicesima uscita. Senza ombra di dubbio gli appassionati conosceranno già questo periodico, che dalla sua comparsa, nel 2005, si è guadagnato la fama d’irrinunciabile pubblicazione. Questo nuovo numero si presenta graficamente rinnovato e aumentato in maniera esponenziale nel contenuto; praticamente raddoppiato, consta ora di duecentoquarantadue pagine. Diversi tanto negli argomenti quanto negli stili sono gli articoli ospitati dalla rivista: «Studi Lovecraftiani» si conferma essere un contenitore eterogeneo, in cui è possibile trovare sia approfondimenti letterari di spessore sia piacevoli curiosità. Del primo gruppo fanno parte, ad esempio, lo studio sulle architetture presenti nei racconti di Lovecraft, opera di Andrea Becherini e Massimo Bencistà, oppure quello di Umberto Sisia, inerente i parallelismi tra la poetica dello scrittore del New England e l’austriaco Gustav Meyrink, autore de Il Golem e Il domenicano bianco. Escursioni più brevi ma comunque meritevoli sono invece l’articolo di Andrea Zaccaria sui rapporti tra il Nostro e le scoperte della fisica del tempo, e il breve divertissement di Lorenzo Davia, che si sofferma sulle citazioni di Lovecraft contenute in alcuni videogiochi (testimonianza del concretizzarsi dell’immaginario mitologico dell’autore nella memoria collettiva). Una menzione a parte merita sicuramente quello che è il piatto forte offerto dalla rivista: la traduzione italiana di un inedito lovecraftiano. Intitolato The pool, lo scritto ci mostra uno spaccato del metodo di revisione dei testi utilizzato dal Solitario di Providence. È nota infatti l’attività di lettore di racconti altrui che lo impegnò largamente, specialmente durante l’ultima parte della sua vita, e che in genere si concludeva in maniera più o meno evidente con la metabolizzazione del racconto all’interno del ciclo narrativo dedicato agli Antichi. Anche lo scritto in questione, a firma dell’amico Wilfred B. Talman, soccombette implacabilmente alla voracità lovecraftiana, che impose il proprio marchio indelebile sulle vicende legate a un pozzo maledetto, connessione tra il mondo reale e quello delle mostruose divinità che popolano il mondo lovecraftiano. Un fatto che ha dell’incredibile sta poi dietro alla curiosa storia di questo manoscritto: posseduto dal collezionista Gerry de la Ree, fu un suo corrispondente – il cui nome sarebbe diventato famoso per altre tristi faccende – a trascriverlo dalla minuta e intricata grafia di Lovecraft e a pubblicarlo per primo sulla fanzine «The Crypt of Chtulhu». Colui che si sobbarcò questo paziente lavoro fu infatti Mark Chapman, più conosciuto come assassino di John Lennon che come esegeta lovecraftiano. Un intreccio di storie decisamente inaspettato, che ha indotto gli amanti delle dietrologie ad avanzare l’ipotesi che fosse stato proprio questo manoscritto maledetto ad avere insinuato il tarlo della pazzia nella mente di Chapman… Più prosaicamente, verrebbe da dire che nulla vieta agli squilibrati di interessarsi di buona letteratura, oltre che di buona musica. Altra menzione necessaria è la presenza di un’accurata sezione bibliografica, contenente numerose segnalazioni dei più recenti saggi dedicati allo scrittore di Providence, nonché un’esaustiva rassegna di tutto ciò che su Lovecraft si è pubblicato tra il 2010 e il 2013. Da non perdere. «Studi Lovecraftiani», a. VIII, n. 13, inverno 2013, a cura di Pietro Guarriello, Dagon Press, 2013. Info e ordini: studilovecraft@yahoo.it.