I racconti di Satrampa Zeiros: “Addio, amici miei” di Mirko Sgarbossa

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Per la rubrica de I racconti di Satampra Zeiros, torna a farci visita Mirko Sgarbossa, giovane autore e membro dell’Associazione Culturale ItalianSword&Sorcery, che ci propone Addio, amici miei, racconto di fantasia eroica di circa 22.000 battute spazi inclusi, appartenente alla saga del Cernunno.

Se volete leggere anche gli altri episodi di questa serie, li trovate qui:


Autore

Mirko Sgarbossa nasce a Cittadella, in provincia di Padova, il 23 luglio 1991. Dopo aver conseguito la maturità scientifica, nel 2016 si è laureato in giurisprudenza e attualmente lavora presso una cooperativa che si occupa di inserimento lavorativo di persone svantaggiate.

Sin dalla tenera età sviluppa una grande passione per la lettura, a cui si aggiunge con l’andar degli anni l’amore per il cinema, le serie tv, i fumetti e l’animazione.

Nel 2013 conosce la Torre Nera di Stephen King che lo convince a scrivere. Qualche anno più tardi conosce Howard che invece lo indirizza verso quale genere provare ad affrontare.


Sinossi

Arruolato in una delle più importanti gilde di Selene, le Spalle Insanguinate, Brenno viene coinvolto in una missione che gli farà scoprire quanto può essere profondo l’abisso della follia e quanto può essere forte il desiderio di vendetta di un cernunno.


Nota dell’Autore

Anche “La Melodia della Zanna”, pur facente parte del Ciclo del Cernunno, è autosufficiente. Tuttavia, per comprendere meglio qualche dialogo, consiglio di leggere il mio primo racconto “Nascerà un cernunno”.

Buona lettura!


Addio, amici miei 

di Mirko Sgarbossa

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Orenno uscì dalla piccola stanza dove si era ritirato e sedette vicino gli altri, gettando ciò che aveva in mano tra loro. Notò subito che tutti gli fissavano il capo.

«Non vi crucciate, è l’unico modo.»

«E questo ci fa ancor di più capire quanto sia disperata la situazione.» disse un cernunno con un tono greve, lisciandosi la barba.

«Presto lui irromperà qui. Questa torre di guardia non durerà a lungo.»

«Ma sei sicuro che funzionerà?» disse un altro, fissando il corno asportato di Orenno che giaceva in mezzo a loro.

«Sono il bardo della nostra gilda. Sono iniziato a conoscenze ben più profonde delle leggende che vi canto attorno al fuoco. Certo, il dolore che ho provato nell’asportarlo è nulla rispetto a ciò che mi aspetta… mai avrei pensato di dovermi arrendere senza combattere.»

«No, Orenno. Tu devi vivere per compiere il rito. Sai che lui non uccide subito se può evitarlo. E poi, Carnon vede tutto e sa che nella tua resa non c’è disonore. In quanto a noi, se il tuo piano andrà a buon fine ci rivedremo presto, anche se non in questo mondo.»

In quel momento la porta al piano di sotto venne sfondata.

«Che il potere di Carnon vi protegga. Addio, amici miei.»

UN TAVOLO TREMA

Il suo pugno sbatté con tale veemenza da rovesciare parte dei bicchieri sul tavolo. Il rumore rimbalzò nella grande sala a cupola.

Atrado prese un fazzoletto e si asciugò la mano bagnata di vino. «Questa situazione è inaccettabile! Non vedo perché debba muovere la mia gilda, mi stavo già preparando per andare verso il Fronte del Meriggio a saccheggiare!»

«Semplice, Atrado. Proprio perché le tue Spalle Insanguinate sono già pronte a partire potranno muoversi velocemente. Il problema è grave, altrimenti non avremmo convocato d’urgenza il Focolare dei Maggiorenti per discutere della questione. Dalla città di Astoria non provengono più notizie né tantomeno tributi. È una questione che richiede l’intervento di una gilda maggiore, per mandare un messaggio chiaro a chi pensa che può evitare di pagarci ciò che è nostro» rispose Onarno.

«Allora perché non muovere i tuoi? La tua gilda è grande quanto la mia!»

«Perché noi siamo appena tornati da una spedizione e poi Leranno faceva parte della tua gilda, un tempo»

«Esatto» intervenne un terzo cernunno, indicando Atrado «in più fosti tu a proporre a questo consiglio l’emancipazione di Leranno dalla nostra città e a dargli il permesso di fondarne una sua>>

«E sia, fratelli. Muoverò i miei e Leranno morirà.»

POLVERE E NULLA

Entra in incognito, raccogli informazioni.

Le parole del capitano erano incise nella mente affilata di Brenno mentre entrava ad Astoria dalla porta principale. I suoi passi risuonavano come tamburi nel silenzio innaturale delle strade. Avvolto in un mantello da cui spiccavano solo i suoi occhi grigi, strisciò lungo la parete di un vicolo. Le dita seguivano le fughe di mattoni sconnessi, il respiro scadenzava i passi circospetti.

Astoria, la perla della Piana dei Papaveri… deserta! Che Carnon mi bruci! Brenno sbucò nella strada principale.

I banchi del mercato ospitavano ormai oggetti impolverati. L’odore del cibo guasto permeava l’aria.

Percorrendo il viale Brenno sbucò nella piazza principale. Osservò i papaveri nei giardini appassiti e macilenti, le finestre scure dei palazzi sembravano orbite vuote di teschi giganti.

Gettò il mantello, rivelando i muscoli fasciati in una tunica verde e in un paio di brache bianche, le alte corna nere striate di vermiglio spiccavano sui suoi capelli rossi.

La calura del sole opprimeva l’ambiente. Il giovane cernunno si diresse verso la fontana al centro della piazza e affondò le mani nell’acqua per rinfrescarsi il viso.

Gli occhi, liberatisi dalle gocce, fissarono qualcosa sott’acqua.

Brenno raccolse dal fondo della fontana un frammento nero e sentì i bracciali e il diadema fremere. L’oggetto tra le dita gli dava una sensazione famigliare, ma allo stesso tempo aliena. Come se qualcosa che il suo istinto riconosceva fosse stato corrotto.

All’improvviso venne colto da un peso opprimente, come se l’enorme occhio di un dio, accortosi della sua presenza, si fosse posato su di lui.

Fu allora che accadde.

MAREA FOLLEe accorta ddella sua i lui. Come se ume se un ‘i.

Le porte e le finestre delle abitazioni che circondavano la piazza iniziarono a pulsare e cedettero come argini di fronte a un’inondazione.

Centinaia di esseri si riversarono in strada contorcendosi, così accalcati da sembrare una marea.

Brenno salì sulla statua al centro della fontana. Nel salire i bracciali e il diadema presero vita, espandendosi sul corpo del loro protetto. Quando Brenno giunse in cima era ormai totalmente protetto da un’armatura senza giunture completamente nera, eccezion fatta per la spalla destra color vermiglio.

Appollaiato sulla testa del guerriero di pietra, puntò i pugni verso il basso e scatenò possenti lingue di fuoco verde-azzurro attorno a lui.

Il lezzo di carne bruciata salì alle narici del cernunno, il sudore sotto l’elmo ne imperlava la pelle. Nel trambusto dell’attacco, Brenno non si accorse dell’essere ringhiante che saltò da un tetto alle sue spalle.

Il cernunno stava per essere trascinato giù dalla creatura, ma mantenne l’equilibrio e si liberò dalla presa. Allontanò da sé l’aggressore prendendolo al collo e lo guardò in viso.

Impossibile!

Brenno sgranò gli occhi grigi. Sotto il dedalo di macchie nere e pustole si nascondeva un essere umano! Il cernunno riconobbe la divisa della guardia cittadina e, inorridito, gettò quell’essere ringhiante nel mare fiammeggiante sotto di lui. L’urlo si spense nel crepitare del fuoco.

Brenno si guardò intorno e compì un lungo balzo verso una delle finestre degli edifici più alti, per poi ritrovarsi all’interno della povera stanza di una locanda. Chiuse gli occhi e percepì le creature che si stavano riversando al piano di sotto.

Sfondò la fragile parete che divideva le stanze attigue. I ringhi si facevano sempre più vicini, la bramosia delle creature quasi palpabile.

Brenno continuò a crearsi una via di fuga da una stanza all’altra fino a fermarsi con le spalle al muro portante della locanda. Si voltò a fissare la successione di voragini che aveva creato. Sbarrò la porta alla sua sinistra con tutti i mobili a disposizione, poi si inginocchiò e attese, le gemme erano tornate di un turchese scintillante. Le creature entrarono nelle varie stanze ormai comunicanti e lo fissarono coi loro occhi giallo muco.

Brenno lanciò il Fuoco di Carnon e una colonna di fiamme colpì le mostruosità.

Non potrò sferrare questi attacchi per sempre.

All’improvviso le creature sfondarono la finestra alla sua destra e si riversarono dentro, bloccandolo con il loro peso.

Brenno fissò la creatura sbavante sopra di lui che una volta era stata una bella donna.

Una voce gli rimbombò in testa.

Benvenuto, Brenno.

Poi, il mondo si oscurò.

LA VITA FINISCE, LA VENDETTA NO

Brenno aprì gli occhi, ma la situazione non cambiò molto.

L’oscurità concedeva al giovane ben poco da vedere, solo la luce di una fiamma che filtrava dalle sbarre permetteva di distinguere la cella in cui era imprigionato. Il prigioniero fissò il lurido pagliericcio che costituiva l’unico arredo.

Ti farò mangiare la paglia su cui mi costringi a dormire, cane.

«Oh guarda, un compagno di sventura. Sei venuto anche tu a marcire qui?»

Brenno si alzò e seguì la voce fino a un buco nella parete un po’ più grande del suo pugno.

Intravide gli occhi spenti e un cespuglio bianco indistinto di barba e capelli.

«Vecchio, chi sei? Cos’è successo a questa dannata città?»

«Mi chiamo Orenno. Sono qui perché l’ha deciso Leranno e la città… be’ ha deciso anche quello. Ma non giurerei su Carnon che l’avesse previsto.»

«Carnon?>> Brenno ripetè il nome, stupito.

Il vecchio sorrise e si abbassò, così da far vedere attraverso il buco un accenno di quelle che dovevano essere delle corna verdastre.

«Sono l’ultimo sopravvissuto della Zanna… non so ancora per quanto.»

Brenno sospirò, un profondo respiro pieno di delusione «Allora è vero, Leranno ha tradito. Non ho voluto crederci fino all’ultimo. Una mente brillante, le sue imprese ci tenevano svegli da bambini attorno al fuoco…»

«Una mente brillante è una catena montuosa… picchi alti e illuminati nascondono profonde valli e crepacci oscuri. Semplicemente, a un certo punto ha iniziato a uccidere tutti i cernunni al suo comando.>>

«E perché ti ha risparmiato?»

«Leranno non ci uccise tutti insieme. Se possibile ci catturava e mandava le sue creature qui a prenderci poco per volta. Mi ha tenuto per ultimo per superstizione, credo. Già uccidere un altro cernunno porta sventura, uccidere il bardo di una gilda e con esso il suo sapere forse è un limite che nemmeno lui è ancora pronto a superare… finora.»

Brenno urlò di rabbia e iniziò a calciare le sbarre della parete. Il suono si propagava nel vuoto delle segrete.

«Inutile… chissà che incantesimo ha fatto alle sbarre. Sono a prova di cernunno.»

Brenno si sedette addosso alla parete continuando a fissare con occhi ardenti le sbarre di fronte a lui.

Dopo un tempo indefinito arrivò uno di quegli strani abomini dagli occhi gialli con il vitto per i prigionieri.

Il giovane cernunno prese il pezzo di pane e lo fece passare attraverso il buco nella parete.

«Cosa fai, giovane?»

«Appunto. Io sono giovane e forte, tu ormai sei un vecchio avvizzito. Ne hai bisogno più tu. E poi…» Brenno sputò per terra <

La scena si ripeté per almeno cinque pasti finché Orenno non disse «Ho qualcosa per te, Brenno.»

Dal buco nella parete fece passare un oggetto nascosto nella stoffa.

Brenno lo scartò. Era un flauto traverso. Il lungo strumento finiva con una la testa di un cernunno le cui corna si curvavano quasi a formare un cuore. il giovane ne accarezzò i fori e l’imboccatura nella testa scolpita

«Un Nunnos! Vecchio, dove hai trovato un cernunno disposto a regalarti una delle sue corna da cui intagliare questo?»

Il vecchio sorrise a fatica e abbassò il capo. Brenno vide che una delle corna che credeva integre in realtà era troncata.

«Lo stavo intagliando per me, ma ormai sono allo stremo delle forze e non posso nemmeno usarlo… il tempo, mi è mancato il tempo. Se solo Leranno non mi avesse tenuto rinchiuso qui così a lungo.>>

Brenno non percepì tristezza, ma rabbia impotente per non essere riuscito nella vendetta. Era un compito gravoso quello che Orenno gli aveva affidato. Farsi carico dell’odio di un altro è una dura eredità.

«Vendicaci, Brenno. Ammazzalo e purifica la nostra stirpe da un simile traditore. Suona il flauto!»

«E cosa dovrei suonare?»

«Be’…»

In quel momento svariate creature entrarono, ma stavolta senza cibo. Si diressero verso la cella del vecchio. Brenno sentì Orenno urlare e riuscire a colpirne uno o due prima di essere preso di peso e portato via. Il vecchio si girò con occhi rabbiosi a fissarlo.

Il giovane guerriero scosse inutilmente le sbarre in un tentativo disperato di aiutare il compagno di prigionia.

Ottimo. Ho un nunnos che non so come usare e una cella da cui non so come uscire. Con la lucida freddezza che lo contraddistingueva, Brenno iniziò a guardarsi attorno, finché non si soffermò sul buco alla parete. Quel buco che era stato l’unica finestra aperta nell’isolamento e la solitudine. Poi toccò le sbarre che nemmeno lui col proprio potere era riuscito a spezzare.

Le sbarre sono a prova di cernunno, ma forse…

Brenno attivò lo Scudo e si avvicinò alla parete in armatura completa. Sul braccio sinistro nacquero una miriade di gemme azzurre. Il cernunno infilò il braccio nel buco e scatenò il fuoco.

Alla massima potenza il guerriero si piegò e spinse in avanti il braccio, come a voler tagliare a metà il muro. Il buco si stava allargando sempre più, la struttura iniziava a mostrare le prime crepe.

Le vene sul collo di Brenno erano fiumi in piena, i muscoli delle gambe tesi allo spasmo. Le fiamme aumentarono. Brenno pensò che la testa gli sarebbe scoppiata dalla pressione, ma alla fine il muro esplose in decine di frammenti che vennero gettati verso le sbarre in un’ondata di fuoco.

Finalmente libero, il giovane cernunno fissò il braccio sbiancato e si concentrò. Le gemme tornarono velocemente cariche, ma Brenno sapeva che l’avrebbe pagata in termini di resistenza dell’armatura.

Lo Scudo dà, lo Scudo toglie. Come Carnon, d’altronde.

Messosi ilnunnos tra i denti, si mosse nello stretto corridoio e risalì le scale. Le sentinelle nella stanza lo assaltarono ma non poterono nulla contro Brenno. Incattivito dalla prigionia e desideroso di vendicarsi, tranciò a metà il primo assalitore con il suo braccio corazzato per poi lanciare uno dei due tronconi sanguinolenti contro l’altro. La guardia non fece in tempo a vedere nulla se non il pugno che lo colpì.

Brenno uscì nel cortile aperto e si diresse verso il portale principale che, immaginava, desse nella grande sala dei banchetti. Le creature si avvicinarono a quattro zampe verso il fuggitivo, contorcendosi come artisti di un circo pazzo e malato, quando le porte si aprirono e un imponente figura uscì.

Brenno osservò il mantello che copriva un’anatomia che il giovane guerriero percepì come strana, asimmetrica. Incorniciati dal cappuccio spiccavano i lineamenti regolari, il naso dritto, gli occhi azzurri e orgogliosi che tutti i cernunni conoscevano.

A un cenno di quegli occhi glaciali tutte le creature tornarono nelle capanne, negli oscuri anfratti degli edifici che davano sul cortile del palazzo. Il giovane cernunno lasciò andare il flauto per poter parlare.

«Leranno>> l’elmo si ritrasse cedendo il campo ai vaporosi capelli cremisi di Brenno.

«Quella chioma rossa… sì. Tu sei Brenno. I tratti della tua famiglia sono inconfondibili.»

«E tu sei Leranno. Figlio Emancipato di Selene. Margravio di Astoria. Signore della Zanna, prima di macellarli come bestie>> Brenno puntò il dito e prima di riaddentare il flauto sussurrò «Feccia.»

Le gambe di Brenno divamparono di azzurro e scattarono, il guerriero si librò in aria e lanciò due falci fiammeggianti.

Leranno le dissipò come fumo con qualcosa che il giovane riconobbe come un’abnorme mano corazzata.

Brenno atterrò al centro del cortile e scatenò il pugno destro verso l’avversario, che venne investito dalla colonna azzurra del Fuoco di Carnon.

Leranno scese dagli scalini d’entrata attraversando il fuoco senza scomporsi. Il mantello si inceneriva, rivelando ciò che vi era nascosto. Brenno interruppe l’attacco e sgranò gli occhi nel vedere qualcosa che nessuno aveva mai visto, il suo sguardo indugiò sulla mastodontica armatura viola in cui era incastonate decine se non centinaia frammenti di osso. Pezzi di corna, mezzi teschi, teschi interi. Solo il capo conservava le originali corna argentate.

Brenno si perse nelle orbite vuote del teschio cornuto con un solo corno verde, incastonato al centro del pettorale.

«Perché, Leranno? A prescindere dalla risposta ti darò la morte, ma di fronte a questo devo chiedertelo. Perché?»

La bocca perfetta di Leranno lasciò spazio a un sorriso di scherno.

«Sono un cercatore, Brenno. Per tutta la vita ho cercato la gloria, l’eccitazione della battaglia, la ricchezza e una posizione. Ma erano solo palliativi per nascondere quello che la mia mente cercava davvero.>>

«E, per Carnon, cos’hai cercato sventrando i tuoi fratelli?»

Gli occhi di Leranno si fecero enormi, come se stesse aspettando da sempre che qualcuno gli ponesse quella domanda.

«L’anima. Oh, non qualcosa di spirituale ed effimero, ma molto più canale. Un frammento d’osso, un corno, un pezzo di cervello. Qualcosa di fisico che spieghi perché noi siamo diversi. Perché noi abbiamo quello» Indicò l’armatura di Brenno e poi la sua.

«Ti ricordi la tua iniziazione, no? Ti ricordi la Cosa nel sarcofago? Perché sceglie noi? Cos’abbiamo di speciale? Sto ancora cercando, ma nel mentre ho trovato applicazioni interessanti. Che il nostro potere dipenda dalle nostre corna lo sappiamo, ma cosa succede se un singolo di noi se ne innesta più di due? Accade questo.»

Leranno si toccò il petto «Il Necroscudo, Brenno. Io adesso sono un singolo cernunno col potere di una gilda. Centoventuno corna impiantate in me hanno sviluppato abnormemente lo Scudo che mi protegge. Così tanto che non posso trattenerlo tutto, ma devo cederlo a degli ospiti in prestito. Li chiamo Schiavi dello Scudo» Brenno pensò alle creature in città, alle loro croste nere così assurdamente simili alla propria armatura.

Il suo furore si tramutò in decine di gemme azzurre che ricoprirono la totalità del suo corpo.

«Carnon non perdonerà questa bestemmia, Leranno.»

Il giovane corse sempre più veloce, le fiamme lo avvolsero trasformandolo in una palla incandescente che colpì l’avversario in pieno petto, scaraventandolo via fino a sfondare la porta della sala. Leranno si rialzò con un grande buco nello stomaco. Di colpo i mostri nel cortile urlarono, le croste nere sul loro corpo si staccarono lasciando indietro solo cadaveri e si addensarono nella frattura, ricomponendo un’armatura perfetta.

«Quanto puoi andare avanti, Brenno? Tu sei solo e io una legione.»

Leranno lanciò una fiammata dall’azzurro malsano che scaraventò Brenno addosso alla palizzata, le membra gli bruciavano. Il sapore metallico in bocca non faceva che acuire la rabbia.

Nonostante le fitte che gli trapassavano le braccia, Brenno lanciò un tornado di fuoco e approfittò del diversivo per saltare da un edificio all’altro lungo la palizzata e attaccare alle spalle. Il pugno affondò nella schiena di Leranno lacerando la corazza, ma non abbastanza. Il gigante spazzò via Brenno. Altre urla lancinanti provennero da tutto il cortile e dalla città e nuova linfa venne convogliata nella ferita, che si rimarginò subito.

Brenno iniziò a raggiungere velocità folli. Sapeva che non poteva mantenere il Figlio della Fiamma ancora a lungo.

Continuò a colpirlo in più punti e a schivare. Ogni pugno del gigante era un macigno lanciato a un soffio dal suo viso. A ogni ferita gocce nere della grandezza di una mela saltavano il muro del palazzo e guarivano il loro padrone.

All’improvviso Brenno venne colpito da un pugno che lo scaraventò a terra.

Il giovane però non badò al dolore, era concentrato a fissare la ferita alla gamba di Leranno.

La ferita che era rimasta.

La ferita che non si era rimarginata.

Brenno non poté fare a meno di pensare alla città ormai piena di cadaveri, senza più alcun essere vivente.

Dannazione. Avessi ancora energie. Brenno fissava le gemme, ormai tutte bianche. Nessun fuoco, nessuna fiamma. Percepiva lo stesso Scudo assottigliarsi, ormai solo una patina nera sul corpo.

Brenno fissava il flauto che il vecchio gli aveva dato, ma non riusciva a comprendere come usarlo. Ormai aveva utilizzato tutti gli strumenti a sua disposizione.

«Aggiungerò le tue corna alla mia collezione.»

Leranno con una mossa inaspettatamente veloce prese Brenno per il collo e lo sollevò a livello del petto, dove era incastonato il cranio con un corno.

«Lo riconosci, vero? Questo è il vecchio bardo. Spero vorrai dargli un bacio d’addio prima di essere anche tu parte del Necroscudo.»

Brenno fissò le orbite vuote che un tempo avevano accolto occhi orgogliosi, ma gentili. Poi il suo sguardo si soffermò sull’unico corno rimasto, il gemello del flauto, e ne fissò la base, ne fissò gli strani segni e vi lesse dei punti su delle linee orizzontali.

Che Carnon mi bruci! Uno spartito!

Allo stremo, Brenno suonò quelle note col poco fiato che la presa di Leranno gli consentiva.

Alla conclusione della struggente melodia, il mostruoso cernunno lo scaraventò via in preda alle convulsioni.

L’urlo di dolore risuonava nel cortile, mentre tutti i frammenti d’osso e i teschi venivano strappati via da una forza invisibile.

Nel frattempo, come un animale che percepisce un suo simile, lo Scudo di Brenno rilasciò delle gocce che andarono ad addensarsi sulla testa intagliata del flauto. Il piccolo turbine esplose e tra le corna a forma di cuore nacque una lunga lama nera e lucida dall’aspetto più liquido che solido.

Tutti i frammenti delle vittime di Leranno volarono verso la lama e si fusero con essa. Tra le mani di Brenno vibrava ora un lungo spadone nero dalla lama contorta, in cui erano incastonate decine di ossa.

Leranno, inginocchiato e ridotto al fantasma del gigante di poco prima, spalancò gli occhi.

«Cos’è quella spada?»

Il giovane guerriero fissò la lama e nel farlo vide i volti di cernunni che non aveva mai conosciuto e, infine, il vecchio che sorrideva beffardo.

Brenno pensò alle lezioni di scherma ricevute.

Pensò ai cento modi ritualmente corretti per uccidere un traditore.

Brenno ci pensò… e poi gettò via quei pensieri.

Scaraventò lo spadone con la forza della propria furia.

La lama attraversò il petto di Leranno, squarciando ossa, carne e organi. Il Mangravio di Astoria cadde senza un lamento.

Brenno andò verso il cadavere e disincastrò la lama.

In quel momento il teschio incastonato del vecchio eruttò un’empia risata, così piena di soddisfazione da spaventare, per poi polverizzarsi assieme alle altre ossa.

Un pensiero restò nell’aria, un sussurro che era anche un addio.

La spada, tienila pure.

EPILOGO

Un battaglione di cernunni in assetto da guerra, ognuno con una spalla color rosso sangue, entrò in città.

Da troppo tempo non avevano più ricevuto notizie dalla loro spia.

I corpi macilenti di decine di cittadini riempivano la strada principale.

In silenzio entrarono nel cortile del palazzo e videro una scena quasi surreale in mezzo a tutta quella devastazione.

L’ufficiale in comando si diresse verso Brenno e lo fissò con aria perplessa mentre quest’ultimo metteva della paglia sudicia nella bocca del cadavere.

Brenno alzò lo sguardo verso il commilitone e sorrise sadicamente.

«Una promessa è una promessa.»


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