I racconti di Satrampa Zeiros: “Conan e i dannati del Kush” di Alberto Henriet

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Per la rubrica de I racconti di Satampra Zeiros, torna a farci visita Alberto Henriet, veterano di fantasia eroica, che ci delizia con Conan e i dannati del Kush, racconto di sword and sorcery di circa 15.000 battute spazi inclusi, che ha come protagonista il Cimmero.

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Autore

13442583_10209863707258464_3483489406789960223_o-1Alberto Henriet è nato ad Aosta il 14 Ottobre 1962. Vive ad Auckland (New Zealand) dall’Ottobre 2008. Ha pubblicato il fantasy Storia di un cavaliere gotico (Midgard, 2007); L’uomo che cavalcava la tigre (Tabula Fati, 2012) sul Dadaismo italiano; l’antologia personale Capitan Aosta Esoterico (Edizioni Scudo, 2016); il Gothic fantasy Ulric di Oxenton (Edizioni Scudo, 2016), illustrato da Pompeo De Vito;  la raccolta poetica Sognando un piccolo mondo antico (Edizioni Scudo, 2016); e il western Dead Django (Edizioni Scudo, 2017) . Ha curato per Midgard Editrice la serie fantasy italiana I Figli di Beowulf (2008-2012). Ha pubblicato racconti sulle riviste L’Eternauta, Futuro Europa, Yorick Fantasy Magazine, Intercom SF, Nova SF, NeXT, Hyperborea (Italian Sword & Sorcery), Short Stories (Scudo) e Dimensione Cosmica. Un suo racconto Dark Fantasy appare nell’Antologia collettiva Vlad Tepes (Ailus, 2017). Si è classificato Secondo al Premio letterario Thoth-Amon 2017 con il racconto Oriental fantasy Il guerriero di Samarcanda.


Conan e i dannati del Kush

di Alberto Henriet

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Conan attraversò la Stygia obliquamente, dal fiume Styx, che era il confine settentrionale del Regno della Stregoneria, e scese all’estremo Sud, spostandosi da Est verso il Mare Occidentale. Ed entrò nel Kush.

In piedi su una bassa collina, il Cimmero ammirava ora la pianura coperta di erba secca al cui centro spiccava la cupa città di Shumballa, capitale del Kush. La luce del tramonto diffondeva un irreale e fumoso fascio di luce ocra e ramata su quel desolato paesaggio. Una brezza secca e calda smuoveva il mantello Asgardiano, color rosso sangue, del barbaro. La cotta metallica, che proteggeva il suo petto nerboruto, scintillava lustra con macchie di sangue umano rappreso. Il guerriero indossava brache di cuoio nero, e calzava stivali. Al collo, spiccava l’Occhio di Asgard, un magico gioiello azzurrino, incastonato in un medaglione dalla montatura argentea, un dono personale del dio Crom.

Conan era armato di una spada e di una scimitarra. Nel suo lungo viaggio avventuroso attraverso il continente Hyboriano, Conan aveva udito molte storie e leggende intorno al Sud in cui regnava la magia nera di Set, il Serpente, le cui origini risalivano ad un lontano passato, quello dei misteriosi uomini-serpente del Regno di Valusia. Il guerriero Cimmero era estraneo alla stregoneria: confidava unicamente nella forza delle sue lame, ed era il protetto del dio Crom, il Signore dell’Acciaio.

La città di Shumballa era divisa esattamente in due parti: il grande abitato periferico, dove vivevano i Gallahs, i neri dalla pelle color ebano, poveri, la popolazione originaria del Kush. E la cittadella aristocratica al centro della metropoli, che era la dimora dei nobili, i Chagas, di origini Stygiane, che governavano il Kush con pugno d’acciaio e che erano stati iniziati alle arti della necromanzia dai potenti stregoni di Khemi, la città Stygiana dei maghi.

Nella vasta pianura sulla quale il Sole bruciante brillava con la forza di un leone luminoso durante le calde ore diurne, sorgevano isolate dimore di aristocratici, costruite sulla cima di basse colline rocciose. Una di queste magnifiche ville attrasse l’attenzione di Conan. Era una costruzione a tronco di piramide, in quarzo nero e bronzo intarsiato in oro, che spiccava contro il cielo, ormai simile nel tardo tramonto ad un vessillo, strappato in una scomposta raggiera di tessuto insanguinato. Il guerriero nordico montò in sella al suo stallone bianco, ornato da preziosi finimenti aurei, e decise di andare a dare un’occhiata. La luce del giorno morente si fece cupa, mentre il cielo assumeva l’aspetto di un caleidoscopio di stelle metalliche, gelidamente splendenti. Non ci volle molto tempo per giungere in vista delle mura di metallo che circondavano la dimora aristocratica, e che erano presidiate da alcune guardie dalla pelle color ebano, armate di lance e martelli di ferro. Alcune lampade diffondevano intorno una luce ambrata.

“Chiedo ospitalità per la notte,” disse Conan dopo essersi presentato come un viaggiatore che proveniva dalla Cimmeria, e che era in cerca di un ingaggio nelle terre meridionali come soldato mercenario.

Venne accompagnato alla presenza del Signore della Villa Chagas.

“Benvenuto, straniero!” lo salutò il nobile. “Sono noto nel Kush come Lord Thukmas, e sono di origini Stygiane. Provengo da Khemi,” aggiunse. Sedeva su uno scranno aureo, scolpito nella preziosa forma di un leone dagli occhi di rubino nero.

Il padrone della villa aveva un elmo conico lucente sul capo, ornato della sagoma stilizzata in rame di un serpente, il simbolo per eccellenza degli Stygiani. Indossava una veste aurea in scaglie brillanti che rammentavano la pelle di un rettile. Una cintura in argento cingeva i suoi fianchi, e reggeva il fodero in cuoio cremisi che conteneva una scimitarra. Brache e stivali lucidi completavano la sua uniforme.

“Sei molto lontano dalla tua terra di origine, Cimmero,” proseguì, squadrando il soldato barbaro con attenzione eccessiva, e questo mise in imbarazzo Conan, che era facile all’ira. Cercò di contenersi, tuttavia. Sapeva bene che i regni meridionali, dove la stregoneria era cosa ordinaria nella vita quotidiana dei suoi abitanti, avevano un che di deviato e decadente, molto lontano dall’etica spartana dei guerrieri del Nord. Si trattenne a stento dall’irresistibile impulso di snudare la scimitarra, e attaccare il nobile, che aveva tutta l’aria di un potente stregone.

Lord Thukmas intuì lo stato d’animo del barbaro, e sembrò divertito. E poi disse: “Sarai mio ospite gradito, questa notte. E potrai restare quanto a lungo vorrai. Non abbiamo molti visitatori in questa regione del Sud. Sarà un piacere poter sentire dalla tua viva voce le tue avventure Hyboriane di viaggio e guerra. Hai tutta l’aria di un valente soldato. E la fama in questo campo dei Cimmeri è ben nota anche nei regni meridionali.”

“Ti ringrazio Nobile del Kush,” replicò Conan, mentre si faceva sempre più inquieto. Aveva la fondata impressione di avere a che fare con un serpente umano, uso alla stregoneria, e trovava questa situazione intollerabile.

Un servitore della villa accompagnò Conan nella sua stanza, che per i criteri spartani del Nord, appariva sontuosa e di una raffinatezza estetica decisamente decadente. In una vasca argentea, scolpita a forma di leone, e ricolma di acqua calda, poté farsi un piacevole bagno, anche se guardò con sospetto tutte le decorazioni policrome e preziose che rendevano la sua stanza un luogo di strane illusioni scenografiche che lo mettevano a disagio.

Più tardi qualcuno venne a chiamarlo per la cena, che fu ricca di cibi squisiti e raffinati, che comprendevano cacciagione arrostita con molte spezie, frutti maturi al punto giusto, vini liquorosi di un sapore strano ma forte. Conan cominciò a diffidare di meno del nobile Stygiano, e si godette quel pasto sontuoso. E poi per cortesia, raccontò le sue avventure Stygiane che Thukmas ascoltò con vivo interesse, ma omise il fatto che nella Stygia avesse massacrato un potente stregone dell’antica città maledetta di Pteion. Non voleva correre il rischio di mettersi nei guai con il suo nuovo ospite.

La notte venne con passo di velluto nero, screziata di stelle insanguinate. Conan ebbe la sensazione di essere stato drogato, quando osservò il cielo del Kush e lo vide costellato di astri troppo luminosi, come se splendessero di un fuoco freddo infernale. Si mosse come un automa verso la propria stanza. E quando si gettò sul letto, trovò ad attenderlo una donna giovane e nuda, dalle pelle abbronzata. Era un modo perfetto per terminare una cena memorabile. Lui si distese sul letto. Si sentiva stregato. E lei era esperta e sensuale. Era da tempo che il Cimmero non prendeva una donna. Il piacere fu un sole bruciante, che lo prosciugò di ogni residua energia. E poi si addormentò, stringendo a sé il corpo della sua amante.

Le visioni oniriche, tuttavia, cominciarono a tormentarlo. Si trovava, nel vivido sogno, in una terra scabra e desertica, i cui confini erano costituiti da mura di fuoco liquido che s’innalzavano verso un cielo ramato, luminoso ma senza sole. Poteva intuire che fosse ancora il Kush, ma deformato dallo stato di alterazione onirica. L’occhio di Asgard, che portava incastonato nel suo medaglione argenteo, scintillava di un misterioso verde giada. Non invocò Crom. Sapeva che, per il momento, la protezione arcana del gioiello magico era più che sufficiente. Il sogno, pur inquietante, era piacevole e aveva una bizzarra connotazione primordiale, che gli rammentava stati dell’esistenza lontani nel tempo, che fossero emersi dal profondo del suo essere più segreto, come strati policromi di una roccia, che avesse attraversato nel suo stato materico molte diverse ere geologiche. Provava una gioia genuina e barbarica, che non avrebbe saputo definire a parole. E poi dal cuore dell’occhio asgardiano, la sottile luce verde giada emerse a filamenti, attorcigliati come un nido vibrante di serpi annodate di energia. I riflessi del Cimmero sembravano meno pronti del solito, forse per l’effetto dei cibi e dei liquori leggermenti drogati.

I filamenti di luce verde assunsero l’aspetto di un enorme serpente verde smeraldo, che prese a muoversi intorno a Conan, tracciando solchi nella sabbia desertica.

Quando vide il rettile, si scosse per via dell’avversione che nutriva spontaneamente nei confronti dei serpenti. E cercò la propria scimitarra. La snudò. E la lama ardeva di una sottile fiamma nera, che sembrava ansiosa di assorbire l’energia vitale del rettile mostruoso.

Poco prima di essere colpito dal barbaro, Il mostro mutò e assunse l’aspetto di Lord Thukmas.

Conan si destò, e si trovò circondato da alcune guardie in cotta metallica e dalla barba nera e corta, che puntavano le loro lame contro il suo corpo muscoloso.

“Vestiti, Cimmero,” dissero, “e seguici.”

Lo portarono in un’arena che si trovava alle base della collina, sulla cui cima spiccava la sagoma della villa. La notte si stava ritirando, sostituita dal fuoco dell’Aurora. E lo lasciarono solo in quello spazio da combattimento. Ma non per molto.

Una porta di ebano si aprì nel recinto di pietra, e un guerriero dalla pelle nera entrò. Era molto alto. E rivestito di un’armatura in acciaio, a rilievo che raffigurava leoni con occhi di giada, e dalla strana criniera che era un groviglio di serpenti d’oro rosso.

Ad di sopra della soglia, che si era richiusa silenziosamente, v’era un seggio in pietra scura, e una tenda purpurea, che una leggera brezza stava smuovendo.

Conan si concentrò sul potenziale avversario che si stava facendo avanti verso di lui. Il volto, che era possibile scorgere attraverso l’elmo lucido, sembrava senza espressione com’era tipico della popolazione indigena del Kush, per troppo tempo sottomessa agli invasori Stygiani, e ormai priva di volontà e di carattere. I neri Gallahs si erano rassegnati all’arroganza della casta di Stregoni che governava la loro terra.

Questa riflessione fece indignare Conan che, in quanto Cimmero, per carattere non avrebbe mai accettato di subire la schiavitù dei dannati maghi di Set, il Serpente. In qualche modo oscuro, però, esitava a scagliarsi contro il nero poiché vedeva in lui un oppresso piuttosto che un nemico naturale. Si sentì manipolato, a livello psicologico, dal diabolico Thukmas. E, non appena fu consapevole di questo, accantonò ogni scrupolo, e pur con rammarico, si decise a snudare la sua lama per affrontare l’avversario, che si era fatto ormai troppo vicino al nordico guerriero di Cimmeria.

Le loro spade s’incontrarono, con un clangore di metallo, che si levò alto nell’arena, e una pioggia di azzurre scintille.

Nel frattempo, la tenda si era aperta, e il mago si era fatto vivo, prendendo posto sul seggio per osservare l’incontro.

Il nero deviò il suo sguardo verso il suo padrone per pochi istanti, come se cercasse la sua approvazione o istruzioni sulla lotta. E questo gli fu fatale. Conan con un elegante colpo di scimitarra, terminò l’arco tracciato nell’aria dal suo acciaio filigranato sul collo dello schiavo, decapitandolo in uno schizzo di sangue. Il nero crollò al suolo, come un’alta torre svettante verso il cielo che improvvisamente implodesse su se stessa, e si accasciò nella sabbia ramata, bagnandola di sangue. Morto.

Conan si fermò, quasi stupefatto poiché l’intera azione era avvenuta molto in fretta, grazie al suo agire istintivo, che lo rendeva simile ad un fiero leone.

La porta tornò ad aprirsi ed altri neri entrarono nell’arena, pronti a prendere il posto del soldato caduto. Ancora una volta, Conan ebbe la meglio nel combattimento, e li fece a pezzi, l’uno dopo l’altro. Eppure, quelli non si arrendevano. Quando un corpo nero crollava, veniva presto sostituito, sia pure per poco tempo, dal successivo. E non ci volle molto perché l’intera area degli scontri venisse coperta da un tappeto di cadaveri, ancora caldi, e mutilati in modo grottesco.

Il Cimmero sogghignò soddisfatto, e ripulì la propria lama nella sabbia, ormai rossa di sangue umano.

“Ben fatto, barbaro,” disse lo Stregone del Kush, alzandosi in piedi dal suo nero scranno. “Ma l’acciaio non è la sola via per noi Aristocratici di Stygia.”

E detto questo roteò le mani aperte secondo un preciso rituale magico a lui solo noto. E, all’istante, si formarono nell’aria dei serpenti verdi di energia, che nella loro singolare forma astrale, volarono verso i cadaveri dei soldati neri, e ridiedero loro una parvenza di vita, trasformandoli in morti viventi.

“Dannato Crom!” imprecò Conan, alla vista degli zombies, che con movimenti legnosi si stavano facendo avanti per affrontarlo nuovamente con le loro lame. Alcuni erano senza testa, eppure sembrava che questo non fosse un problema. Si muovevano come se potessero vederlo egualmente, pur essendo privi di occhi.

In ogni caso, non si dette per vinto, e si gettò nella mischia, riprendendo a tranciare arti, legamenti, teste, animato dal suo indomito furore barbarico.

Lottare contro i morti viventi si rivelò, tuttavia, un problema complesso. Dal momento che gli zombies erano dei morti viventi, cadevano sotto i colpi di Conan, ma tornavano nuovamente in vita, pronti per una nuova sfida, indifferenti a ferite e mutilazioni.

Il Cimmero dovette fare ricorso all’aiuto dell’Occhio magico di Asgard, se voleva uscire vivo da quell’incubo che pareva senza fine.

Cercò di concentrarsi sul cuore arcano del gioiello mistico mentre continuava a combattere con la forza dell’acciaio. E l’amuleto rispose attivandosi, ed emettendo una sottile luce azzurra, tranciante come il filo di un rasoio di pura energia.

Quando l’energia blu incontrò la luce verde smeraldo dei serpenti di Set, ebbe luogo una forte esplosione, che ridusse a brandelli i soldati di Thukmas.

“Molto bene, Conan,” fece lo stregone soddisfatto. “Hai superato la prova. Sei adatto per entrare tra le mie guardie scelte. Ti offro un lavoro.”

“Non sono interessato,” rispose il barbaro, dopo una breve riflessione. “Non amo il modo in cui voi Stygiani trattate la popolazione del Kush. Questo regno meridionale è troppo diverso dalla mia mentalità Cimmera. Ho deciso di riprendere il mio viaggio attraverso le terre del continente Hyboriano.”

“Che tu sia libero, allora!” fece Lord Thukmas. “Hai guadagnato ancora una volta sul campo di battaglia il diritto di decidere del tuo destino.”

Conan rinfoderò la propria lama, e in sella al proprio destriero lasciò la villa del mago prima che scendesse nuovamente la notte.

FINE 


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