I miti della Terra ricordano un’epoca antica, quando i cosiddetti “dèi” camminavano fra gli uomini e i regni di Atlantide e Iperborea prosperavano.
Erano regni fantastici di perfezione interiore ed esteriore, di purezza e virtù, sogni infranti, però, migliaia di anni fa, da un terribile cataclisma.
Ce lo racconta per primo Platone ne “i dialoghi di Timeo e Crizia”.
Il poeta e storico Crizia riferisce di come Solone, il legislatore ateniese, avesse appreso di Atlantide dal racconto di un sacerdote egiziano nel tempio di Sais. Secondo quest’ultimo Atlantide aveva già raggiunto, oltre le colonne d’Ercole, una florida civiltà nel 9.600 A.C.
Atlantide era un impero meraviglioso esteso più della Libia e dell’Asia messe insieme, ma violentissimi terremoti e maremoti avevano devastato il regno, l’isola era sprofondata nelle acque e gli Atlantidi sopravvissuti avevano viaggiato verso l’Egitto e la Tirrenia.
Nel Crizia Platone ci descrive i palazzi, le ricchezze, le piante, gli animali e i minerali di Atlantide, aggiungendo dettagli fiabeschi come “gli elefanti numerosi”.
A un certo punto, però, gli Atlantidi diventarono “pieni di ingiusta, superbia e potere” e Zeus, il padre dei cosiddetti “dèi”, “decise di infliggere loro una punizione perchè fossero più ragionevoli e moderati. Riunì tutti gli dèi nella sua più importante dimora al centro dell’universo e disse…”
Qui il Crizia si interrompe bruscamente. Il resto è perduto o Platone non finì mai l’opera.
Sebbene l’Homo sapiens abbia lasciato le proprie impronte nella polvere della Luna e inviato sonde spaziali oltre i limiti del Sistema Solare, la tecnologia non ha ancora permesso all’umanità di esplorare più del 10 % degli oceani.
Attualmente sono presenti cinque spedizioni scientifiche in cinque diverse zone del globo, impegnate nella ricerca che provino l’esistenza di Atlantide.
Mentre si attende la comparsa di prove visive, ad oggi disponiamo di svariati indizi che confermano una civiltà antecedente ai sumeri e agli egizi. In questi miei interventi sull’origine del fantasy storico cercherò di riunirli, in attesa che, come Troia, raccontata da Omero, fu trovata da Heinrich Schliemann, che accettò il valore letterario dell’Iliade, qualcuno riporti alla luce Atlantide, Iperborea e le loro meraviglie.
Da quando siamo entrati nell’era moderna, qualsiasi teoria, per poter essere definita razionale, deve scaturire da presupposti verificabili scientificamente. La ricerca dei miti si deve occupare quindi di evidenziare i documenti e gli scritti reali, abbandonare le fandonie e le dicerie da cui troppo spesso siamo bombardati e ricostruire così una storia più reale di noi stessi, una storia che in realtà molti popoli del mondo ci hanno narrato, cioè quella di un cataclisma che ha costretto le civiltà precedenti a colonizzare il resto del mondo per tentare di ricostruire il loro impero.
Ad ogni concetto deve corrispondere una fonte, e la metodologia del tentativo di avvicinarsi alla verità del mito comprende solo e unicamente la ricerca presso fonti certificate e accreditate, quindi archeologi, scienziati, accademici, studiosi e traduttori dei testi antichi e storici, per la stessa motivazione per cui se siamo malati ci affidiamo al medico, che è laureato in medicina, e non di certo a internet, che non ha nessuna certificazione, nè tantomeno la credibilità.
Robert Wexler, presidente dell’America Jewish university, ex university of Judaism, California, scrive che i racconti della genesi non hanno avuto origine in Palestina, ma nella vasta area conosciuta con il nome di Mesopotamia.
Bene, se i racconti sumero accadici vengono definiti leggende, favole, perchè miliardi di persone sostengono che la Bibbia sia ispirata da Dio? Se cito la Bibbia non è per motivi religiosi o personali, ma solo perché oggettivamente il testo è per la nostra cultura e la nostra educazione quello più vicino.
Ad ogni modo, chi crede che le religioni si distinguano l’una dall’altra, si limita a considerare l’aspetto esteriore. Guardando più a fondo ci accorgeremo che si tratta sempre degli stessi contenuti, proprio come i testi antichi ci raccontano gli stessi eventi accaduti in più parti del mondo.
Sono convinto, ed è giusto, che ognuno abbia il diritto di credere in ciò che vuole, perché credo sia stupendo riconoscere il volto di Dio nella diversità della natura umana. Anche Paolo di Tarso lo dice testualmente nella prima lettera ai Corinzi “E in realtà anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dèi e molti signori, per noi c’è un solo Dio.” Significa semplicemente che ce ne sono molti, ma lui e i suoi ne hanno scelto uno in particolare. Se, come consiglia il traduttore Mauro Biglino, si legge la Bibbia a mente aperta, si capisce perfettamente che gli splendenti elohim, chiamati poi dèi (theoi) in epoca greca, sono tanti e sono figure di potere pronte a conquistare e a muovere guerre contro i loro avversari allo scopo di colonizzare e accellerare l’evoluzione della civiltà. Questa storia la troviamo nella Bibbia come in molti altri testi antichi che vedremo nei miei interventi successivi, storie di cataclismi, civiltà perdute, diluvi e potenti superstiti pronti a ricostruire ciò che hanno perduto. E questi superstiti sono coloro che da millenni chiamiamo “dèi”. I loro furono gesti dettati dalla disperazione di avere perso tutto, spesso colmi di ira e frustrazione, trasmessa inesorabilmente ai loro eserciti. La traduzione della Conferenza Episcopale Italiana, nella versione del 2008, del libro del Deuteronomio 13, 7-12, dice riguardo alla guerra fra gli dèi: “Qualora il tuo fratello, figlio di tuo padre o figlio di tua madre, o il figlio o la figlia o la moglie che riposa sul tuo petto, o l’amico che è come te stesso t’istighi in segreto dicendo: ‘Andiamo, serviamo altri dèi’, dèi che né tu né i tuoi padri avete conosciuto, divinità dei popoli che vi circondano, vicini a te o da te lontani da un’estremità all’altra della terra, tu non dargli retta, non ascoltarlo. Il tuo occhio non ne abbia compassione: non risparmiarlo, non coprire la sua colpa. Tu anzi devi ucciderlo: la tua mano sia prima contro di lui per metterlo a morte; poi sarà la mano di tutto il popolo. Lapidalo e muoia, perché ha cercato di trascinarti lontano dal Signore, tuo Dio.”
È quindi ormai innegabile che sia utile un metodo di lettura unico per tutto l’insieme di testi che gli antichi ci hanno tramandato: cioè leggere semplicemente quello che c’è scritto, senza prendersi licenze ingiustificate di interpretare, perché la possibilità più probabile è proprio che gli antenati non volevano altro che narrarci fatti concreti vissuti da loro in prima persona. La Bibbia, infatti, lo specifica in modo esplicito nel libro dei Numeri, capitolo 12, dove è scritto che Dio NON parla per metafore: “7- Con il mio servo Mosè, che è l’uomo di fiducia in tutta la mia casa. 8- Bocca a bocca parlo con lui, faccia a faccia e non con enigmi.”
Quindi i testi da me letti non sono stati in nessun modo interpretati da me o da altri, ma mi limito a leggerli così come sono, in maniera letterale, perchè il pericolo dell’interpretazione diventa soggettivo per ognuno di noi.
Il percorso di ricerca deve iniziare dal fiorire di una civiltà caduta nell’oblio, una cultura che lasciò ai posteri memorie trasmesse in forma orale, fino a che l’uomo non trovò il bisogno di trascriverle e, nel 3500 a.C. nacque la scrittura.
Il giornalista David William Davenport, sulle pagine del Giornale dei Misteri, nel 1979, scrisse, riguardo l’incredibile meraviglia dei segreti dell’antichità:
“Bisogna recuperare manoscritti, confrontarli, datarli, capire le interpolazioni successive, togliere le mitologie dalle cronache dei fatti. Una procedura non facile, che richiede in genere, la formazione di un team scientifico. Come è successo con la città indiana di Mohenjo Daro. Sono partito da una tradizione popolare di un’esplosione antica, ho analizzato il testo antico del Ramayana, ho confrontato la mia ipotesi con quella di alcuni studiosi indiani, sono andato sul posto, ho fatto condurre le analisi sulle pietre fuse, 2000 anni prima di Cristo, da un équipe di geologi dell’Università di Roma. Dopo queste operazioni, si può dire con quasi matematica certezza: quell’esplosone non fu naturale.
E questo lo considero solo un primo passo per analisi successive che devono scartare anche quel residuo margine di dubbio che qualcuno potrebbe avanzare.
Io credo che nel passato sia sepolta la soluzione per il nostro futuro.”
Gli studiosi derisero Heinrich Schlieman, il commerciante tedesco che si mise alla ricerca della leggendaria città di Troia raccontata ne l’Iliade, e fu proprio la sua presunta “follia” a riportarla alla luce.
Perché, se Platone ci parla di Atlantide, l’ipotesi più probabile è che Atlantide sia esistita?
Non è la più probabile. Semplicemente, se dobbiamo considerare attentibile (per libera scelta, non per costrizione) le varie interpretazioni e le teorie di tutti, perché non prendere in considerazione quella più semplice, cioè che Platone e gli antichi volessero raccontarci proprio di fatti accaduti a loro in prima persona?
Scrive il traduttore Mauro Biglino nel suo best seller “La Bibbia non parla di Dio”:
“Popoli di ogni continente ci hanno lasciato scritti o tradizioni orali contenenti il ricordo di esseri tecnologicamente avanzati e culturalmente superiori che hanno “creato” l’uomo e hanno instaurato con lui rapporti personali, concreti, quotidiani, riportati con gli strumenti culturali e linguistici di cui disponevano gli antichi. Ciò consente di formulare ipotesi credibili che, sottoposte ad analisi scientifica, potrebbero rivelarsi utili per il progresso della conoscenza circa le nostre origini e la nostra storia.”
“Atlantide non è più un’invenzione di filosofi greci, di sacerdoti egizi e di tribù indio americane” scrive invece Paul Brunton, pseudonimo di Raphael Hurst nel suo libro ‘Egitto segreto’, “sono gli scienziati che hanno raccolto cento e più prove della sua esistenza. Mi accorsi pure che quando la sfinge fu scolpita nella roccia, i bassopiani circostanti non avrebbero potuto essere coperti dalla sabbia poichè allora la rocciosa scarpata che si eleva ai piedi di una collina, la cui sommità è coronata dalle piramidi, sarebbe anche stata sotto la sabbia, una posizione piena di ostacoli che avrebbero reso il lavoro difficilmente attuabile.
No; era più probabile che la statua fosse stata scolpita prima che le sabbie facessero la loro apparizione, quando il Sahara era un mare gigantesco, al di là del quale giaceva la grande e tragica isola di Atlantide…”
Dopo la distruzione dovuta al cataclisma, di cui si parlerà nei prossimi capitoli, gli Atlantidi fondarono l’Egitto e costruirono la sfinge, un solido, visibile anello di congiunzione fra i popoli di oggi e quelli di un mondo perduto. Che cosa significò per gli atlantidi?
Brunton ci dà la risposta: “dopo che Platone andò in Egitto e si fermò per qualche tempo nell’antica scuola di Eliopoli, dove visse e studiò per tredici anni, i sacerdoti maestri, di solito molto guardinghi con gli stranieri, favorirono il giovane greco, fornendogli informazioni ricavate dagli annali segreti. Fra le altre cose, essi gli dissero che un grande tronco piramidale sorgeva nel centro dell’isola di Atlantide e sulla sommità vi era stato costruito un tempio al Sole.
Gli emigranti che salparono diretti in Egitto conservarono questa religione e costruirono templi simili: sull’obliquo piedistallo del gigante e sulle tombe piramidali d’Egitto possiamo oggi leggere i caratteri di questa eredità dell’Atlantide; e sempre il Sole ebbe il primo posto fra gli dei egizi, proprio come nei massicci e diroccati templi del Messico, del Perù e dello Yucatan si può distinguere lo stile fratello dell’architettura egizia.”
Anche la saggezza posseduta da Mosè era stata da lui acquisita nella famosa scuola del tempio nella città di On, nominata Eliopoli dai Greci dopo la loro conquista dell’Egitto.
Questo mio metodo di ripercorrere e riassumere in questo saggio le fonti in modo letterale non porterà in alcun modo alla verità, che ad oggi è un concetto troppo lontano, per la scarsità di reperti archeologici pervenuti, e i pochi documenti giunti ai giorni nostri, ma quanto meno ci permetterà di mettere un mattone in più nella costruzione del disegno più affidabile possibile riguardo alla nostra civiltà di homo sapiens, la cui nascita è databile a circa duecentomila anni fa, grazie al ritrovamento dei crani.
I testi più antichi, purtroppo, che possono raccontarci di noi, risalgono a poche migliaia di anni fa, nel periodo in cui nacque, ovviamente, la scrittura.
Ci sono quindi più di centomila anni di buio, che hanno concesso le teorie più assurde e disparate senza alcun tipo di fonte certificata, che purtroppo, da molti sono state accettate come verità.
Quindi la ricerca dei miti non può essere altro che un altro piccolo, semplice, passo avanti per la conquista più preziosa della nostra storia: andare indietro fino a un tempo di spade -conquista e colonizzazione- e magia –poteri sovrannaturali come quelli sprigionati a Mohenjo Daro, così da scoprire chi siamo davvero.
Andrea Oliva