Grimdark world: Il Trono è vuoto

Articolo di Lorenzo Pennacchi del 7 settembre 2017, tratto da L’Intellettuale Dissidente.


Anche quest’anno i due mesi de Il trono di Spade (Game of Thrones, alias GoT) sono passati. In un formato nuovo, con meno puntate (7 invece che 10) più lunghe (col picco degli 82 minuti di quella finale), si è conclusa la penultima stagione di una delle serie più acclamate degli ultimi anni, che ha battuto ogni record30, 6 milioni di fan hanno visto The Dragon and the Wolf, mai così tanti prima di adesso; il merchandising, ufficiale e non, continua ad invadere i negozi e le case di tutto il mondo; ovunque si parla del Trono, dalla piazza alla rete. Eppure, l’entusiasmo generale verso le vicende dei Sette Regni è decisamente diminuito. Si può dare la colpa di questo malessere soltanto allo spirito del tempo (7 anni ormai), capace di erodere ogni cosa? Decisamente no. L’insofferenza provata da molti telespettatori durante il corso della settima stagione è dovuta a qualcosa di più profondo, di essenziale, che si può introdurre attraverso le parole di Giorgio Viaro, il quale ha commentato egregiamente ogni puntata, di settimana in settimana, contemporaneamente alla loro messa in onda. Parlando del sesto episodio (Beyond the Wall) Viario ha scritto:

È come se si fosse passati alla fase della raccolta, dopo una semina durata sei anni. I Sette Regni e i loro protagonisti si sono guadagnati una specie di stabilità nell’immaginario dei fan, e nessuno ha più voglia di metterlo in discussione con colpi di testa alla George R Punto Martin, tanto meno i vertici della rete che si tengono ben stretti i loro personaggi in vista dei futuri spin-off, mentre brindano ai ricavi in vasche idromassaggio riempite di champagne. In pratica è come vedere gli Avengers, o i Defenders. Allegria.

Il vecchio George R. R. Martin. Come è noto, tutto ha inizio da lui, nel lontano 1996, con la pubblicazione del primo volume delle Cronache del ghiaccio e del fuoco, da cui la HBO ha poi tratto la serie, ben più di massa, che ha fatto sì scoprire questa saga letteraria a milioni di lettori, ma ha anche enfatizzato il blocco creativo dell’autore. Sei anni sono passati dall’uscita del quarto volume (A feast for crowns, 2005), a quella del quinto (A dance with dragons, 2011). Altri sei anni sono trascorsi, ma del sesto libro (il penultimo in programma), non c’è traccia, e i continui rimandi non fanno che confermare la paradossale situazione di stallo, soprattutto se paragonata alla vena produttiva della HBO, che dal 2011 ha trasmesso 7 stagioni, 67 episodi in totale. Di fatto, dalla terza stagione, la serie televisiva hagradualmente preso le distanze dall’opera di Martin, fino a creare archi narrativi propri e distaccati da quelli dei libri, imponendosi come una creatura autonoma agli occhi dei fan. Questo fattore non è assolutamente un male (anche perché lo scrittore si è cacciato in un vortice, di attori e situazioni, spropositato e difficile da gestire), oltre ad essere naturale, data la degenza su carta. Piuttosto, il problema principale risiede nell’aver tradito lo spirito originario dell’opera, per miscelarlo con elementi francamente indifendibili.

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Andiamo per ordine. Quello di Martin è un esempio perfetto di low fantasy, diametralmente opposto all’high fantasy (stile Signore degli Anelli per intenderci), sotto due punti di vista principali. Innanzitutto, nelle Cronacheil ruolo della magia è ridotto ai minimi termini, sebbene sia destinato ad aumentare nel corso dell’opera (con l’avanzare degli Estranei e la crescita dei draghi). In secondo luogo, i personaggi sono perlopiù grigi: non esistono il bianco il nero, il Bene e il Male, ma soltanto scelte, che portano a conseguenze discutibili. Se il primo elemento è (stato) generalmente rispettato, onorato e valorizzato dalla HBO, altrettanto non si può dire del secondo, soprattutto col trascorrere degli anni. Si è arrivati al punto di poter dividere le fazioni in buoni e cattivi: da una parte il sempre retto Jon Snow (alias Aegon Targaryen) e la salvatrice (seppur palesemente conquistatrice) Daenerys Targaryen, che uniti (più di quanto sanno finora) vogliono salvare il mondo dall’avanzata degli Estranei; dall’altra la diabolica Cersei Lannister, abbandonata anche dall’amato fratello, seduta su un Trono ormai non riconosciuto più da nessuno, ma divenuta paradossalmente incapace di uccidere i suoi nemici, anche quando ne ha l’opportunità. Per non parlare di tutti quei personaggi che hanno fatto appassionare, con i loro errori e vizi, milioni di persone, e che adesso non sono altro che maschere di sé stessi: dallo stoico Tyrion, all’onorevole Sterminatore di Re Jaime, dalla saggia Sansa, all’implacabile Arya.

Tutti i protagonisti sembrano essersi completati, nella maniera più assoluta possibile, non lasciando posto a nessuna sfumatura. Il già citato Viaro, nelle sue validissime recensioni, propone, come esempio positivo, Sandor Clegane, alias il Mastino:

Se il Trono di Spade ha eretto la propria mitologia su personaggi moralmente contraddittori, Clegane è colui che meglio e più chiaramente ne incarna l’arco drammatico: dal buio alla luce, verso un probabile sacrificio.

Non possiamo che essere d’accordo, perché anche qui la redenzione del personaggio è troppo rapida, radicale, semplicemente stereotipata. Non c’è drammaticità, ma la necessità di contrapporre il fratello buono (Sandor) a quello malvagio (Gregor la Montagna), diventato un mostro anche nell’aspetto. Insomma, il Trono è diventato l’Anello: alcuni hanno scelto di seguire Gandalf, altri Sauron, in mezzo il nulla. Anche quando sembra scomparire, la dicotomia si rintraccia all’interno delle singole fazioni, in base a quale sovrano gli attori decidono di seguire. Così, c’è il Greyjoy buono (Asha), quello buono ma codardo (Theon) e quello cattivo (Euron). Plateale, tutto estremamente plateale.

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Presentata la tesi, avanti con gli esempi. Veramente la HBO sta preparando il finale felice e incestuoso tra Daenerys (che di fatto ha invaso un Continente, affiancata da selvaggi, eunuchi e draghi) e Jon/Aegon, ovvero quello che è creduto essere il legittimo erede del Nord, e invece è l’erede del Trono di Spade? Perché, se così fosse, anni di congetture sarebbero stati semplicemente buttati dalla finestra. Martin ha dichiarato che le Cronache si concluderanno (se si concluderanno mai) con un finale agrodolce (qualsiasi cosa voglia dire). Ma un happy-endingper quella che è stata una delle serie più cruente di sempre, con la morte di un numero sproporzionato di personaggi, sarebbe impossibile da accettare. A proposito di morti, riprendendo le parole di Viaro citate precedentemente, come è possibile che nella stagione dagli eventi più eclatanti, improbabili e pericolosi non sia morto nessun protagonista? L’uccisione di Ditocorto non sana affatto questa mancanza, sia perché il suo personaggio non aveva più alcuno spazio di azione, sia nella modalità scontata nella quale è avvenuta. Radicale nel giudizio su questo punto è stata Maria Laura Ramello, sulle pagine di Wired:

Sansa e Arya sono tutte un “mi manchi papi, se ci fosse ancora papi” (quanto è patetica la scena in cui si fanno le trecce a vicenda sulle mura di Grande Inverno?) e poi non rispettano uno degli insegnamenti più puri del padre: chi pronuncia la sentenza deve anche calare la spada. Ma ormai niente importa.

Effettivamente, poco da aggiungere, se non: quanto sono lontani i tempi dei massacri inaspettati in casa Frey? Ancora, chi spiegherà mai perché Cersei non ha ucciso suo fratello Tyrion, assassino di sua madre, di suo padre e traditore di tutta la famiglia, pur ritrovandoselo all’interno delle sue mura? Su questo punto in particolare la HBO ci potrebbe stupire in positivo ma, per ora, la scelta sembra incomprensibile.

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Infine, ci sono incongruenze che non riguardano i singoli personaggi, ma sono di carattere logico e fisico. Quello che molti vorrebbero sapere è cosa ha portato gli sceneggiatori ad architettare un piano così ridicolo, come quello portato a termine da Jon e supportato da (quasi) tutti senza esitazioni, nella sequenza più eclatante di tutta la stagione, che si potrebbe riassumere in: andiamo a prendere il mostro all’inferno per convincere la regina cattiva ad unirsi a noi buoni nella lotta contro il male. Semplicemente ridicolo. Non soltanto l’idea è assurda, ma anche la realizzazione presenta delle falle pazzesche, soprattutto a livello spazio-temporale. È mai possibile razionalmente che nel lasso di tempo in cui Gendry raggiunge il Forte Orientale, il corvo arriva a Roccia del Drago e Daenerys si precipita al di là della Barriera, gli Estranei non travolgano i superstiti? Assolutamente no. Per non parlare del fatto che l’Eroe (perché ormai è chiaramente questo) si salva miracolosamente tre volte in dieci minuti, neanche fosse Aragorn prima di arrivare al fosso di Helm.

L’irreale sequenza appena descritta, però, è soltanto l’estremizzazione della sfasatura che è presente in diversi momenti della serie. Realisticamente (perché ambientare una storia in un mondo fantastico non significa rifiutare le leggi della realtà, soprattutto se si ricercano agganci continui con essa in tutti i campi del vivente, come fa Martin), gli Estranei, per come sono stati presentati (fortissimi e velocissimi) e da quando sono stati introdotti significativamente (quinta stagione), alla luce dell’enorme accozzaglia di eventi e spostamenti che si sono verificati tra i mortali nel mentre, avrebbero già dovuto arare l’intero mondo dei viventi. E se qualcuno rispondesse eh, ma avevano bisogno di un drago zombie per superare la Barriera, chiuderebbe il circolo dell’imbarazzo.

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Arrivati alla fine di questa analisi, è naturale chiedersi il perché dell’enorme successo di questo prodotto. Banalmente, si potrebbe dire che GoT piace perché non esiste nulla di meglio, almeno nel suo campo. Le ambientazioni, le musiche, i costumi, gli eserciti schierati, le battaglie sono fenomenali, e questa stagione non ha fatto altro che confermarlo. Ed è per questo che, nonostante tutto, siamo lieti della sua presenza. Tuttavia, sebbene non siano mancati i pareri positivi, si ha l’impressione di apprezzare il brand, e non tanto il contenuto. Questi sette episodi sono sembrati vuoti: più si è andati avanti, e più sono diminuite le aspettative e sono cresciute le perplessità. Adesso bisognerà aspettare un anno e mezzo (Primavera 2019), per assistere al finale di una serie che, in ogni caso, rimarrà nella storia della televisione (e che forse sarà seguita da diversi spin-off). Spetta agli sceneggiatori fare la loro parte.

2 commenti

  1. Sono fortemente in disaccordo, a partire dalla convinzione granitica dell’autore che i personaggi si stiano polarizzando su una direttrice morale.
    E aggiungerei che la radice del disaccordo sta in un taglio critico che non condivido e che, a mio parere, ignora degli elementi molto più importanti riguardo alle ragioni del successo del Trono di Spade.

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