Articolo di Gabriele C. Zweilawyer, tratto dal sito Zhistorica.
Qualsiasi studente di Giurisprudenza (ma anche di Lettere, Storia, ecc…) avrà familiarità con la fondazione dell’Università di Bologna nel 1088. Fu in quell’anno che Irnerio, fine giurista, iniziò ad insegnare il diritto romano contenuto del Corpus Iuris Civilis. La prima università europea fu fondata quindi alle soglie del XII secolo, più di seicento anni dopo un grande complesso universitario che sorgeva a migliaia di chilometri di distanza, nei pressi del confine meridionale del Nepal: Nalanda. Se il nome vi suona sconosciuto non dovete preoccuparvi, visto che ha ottenuto pochissima visibilità nell’ambito della storiografia made in Italy.
La prima volta che lessi di Nalanda mi venne subito in mente il paragone con la Biblioteca di Alessandria, ma in realtà il centro indiano aveva qualcosa in più. Infatti, come ho già accennato, si trattava di una vera e propria città universitaria che occupava decine di ettari (al momento ne sono stati scavati solo 14).
Sebbene ci siano alcune fonti che la datano a un periodo più risalente, attorno al II secolo, sembra che Nalanda venne fondata durante il regno di Kamaragupta I, nel 427 d.C., divenendo subito un importante centro culturale. Bisogna ricordare che in India le università avevano un nucleo comune, di solito un monastero, che piano piano si allargava grazie agli insegnamenti offerti dai monaci e alle librerie curate gli stessi. Iniziavano ad arrivare sempre più allievi, assieme a dei generosi finanziamenti, e quindi si costruivano nuovi edifici, dormitori, biblioteche per poter ampliare l’offerta didattica e continuare ad attirare nuovi studenti e professori rinomati.
Per essere ammessi era necessario passare un difficile esame di ammissione e, in caso di esito positivo, si poteva accedere alla didattica dell’Università, che contava più di cento lezioni al giorno. Il fatto che ci fosse un esame orale di ammissione e un’alta percentuale di non ammessi dimostra la modernità e il prestigio dell’Università.
A duecento anni dalla sua fondazione, Nalanda aveva già raggiunto delle cifre impressionanti. Stando alla testimonianza del cinese Xuanzang, un monaco buddista che aveva viaggiato fino all’India in cerca di maestri migliori, l’Università contava già 8.500 studenti e 1.500 professori, alloggiati in 108 strutture indipendenti.
Oltre a Nalanda, nel corso dei secoli sorsero altre importanti università (o monasteri-università), tanto che attorno all’anno 1000 si era formato un vero e proprio network. Le istituzioni di Vikramaśīla, Nalanda, Somapura, Odantapurā e Jaggadala permettevano agli studenti e ai professori di spostarsi da una all’altra a secondo delle esigenze, e tutto era controllato e coordinato dall’autorità statale.

Non amo ammettere l’inferiorità europea, in nessun campo, ma in questo caso sembra evidente una connessione fra scienza, fede e insegnamento che non ha mai trovato eguali nella storia dell’umanità.
Nalanda era divisa in otto distretti e al suo interno sorgevano dieci templi, classi per le lezioni, sale per la meditazione, laghi e parchi. Aveva dormitori capaci di ospitare 10.000 studenti e 2.000 professori e una libreria a nove ordini (!) dove veniva custodito tutto il sapere buddista, oltre a testi fondamentali di matematica, astronomia, medicina e scienze.
Tanto per darvi un’idea, una biblioteca del genere poteva ospitare centinaia di migliaia di volumi, forse anche più di un milione. Era conosciuta con il nome di Dharma Gunj “Montagna della Verità” ed era suddivisa in tre edifici: Ratnasagara (Mare dei Gioielli), Ratnodadhi (Oceano dei Gioielli), and Ratnarañjaka (Delizia dei Gioielli).
“At its peak it offered an enormous number of subjects in the Buddhist tradition, in a similar way that Oxford [offered] in the Christian tradition — Sanskrit, medicine, public health and economics”
Amartya Sen, premio Nobel per l’Economia.
Riguardo allo stato di avanzamento delle scienze in India, bisogna sottolineare come i c.d. “numeri arabi” furono copiati in modo pedissequo da quelli indiani, che avevano già qualche secolo di vita. Iniziare a chiamarli “numeri indiani” anche sui giornali e nelle riviste sarebbe un buon passo avanti per riconsegnarne la paternità ai veri inventori.
Ad ogni modo, la vita di professori e studenti scorreva fra meditazioni, passeggiate, lezioni, approfondimenti in biblioteca e momenti di socializzazione. Attratti da questo magnete culturale, arrivavano giovani da ogni parte dell’Asia.
Attorno all’XI-XII secolo Nalanda era già in declino, complice la perdita di terreno del buddismo a vantaggio dell’induismo, ma di certo rimaneva un centro importante, non fosse altro per l’impressionante mole di volumi contenuta al suo interno.

Purtroppo, nel 1193 penetrò nel territorio l’esercito di Muhammad Khilji, generale del Sultano Qutb-ud-din Aibak, che diventerà il primo Imperatore musulmano d’India. Nalanda fu presa e data alle fiamme, mentre professori e scolari venivano decapitati e bruciati vivi. Alcune fonti narrano che il generale musulmano fosse adirato perché la biblioteca non conteneva una sola copia del Corano, ma in realtà l’azione militare era solo un tassello del piano generale del sultano, volto all’annientamento completo di buddismo ed induismo. Uno storico musulmano narra che le biblioteche bruciarono per sei mesi, creando una cappa nera sulle colline circostanti. In questa sorta di inverno atomico ante-litteram, alcuni monaci sopravvissuti continuarono ad insegnare, trovando rifugio negli edifici meno danneggiati. Ancora nel 1235, un viaggiatore tibetano trovò ad insegnare un monaco novantenne, Rahula Shribhadra, che aveva radunato una settantina di studenti. Proprio in quel periodo, una nuova sortita di truppe musulmane costrinse a fuggire gli ultimi studenti.

La penetrazione delle armate islamiche in India fu assolutamente devastante, oltre a quelli di Nalanda, andarono in fumo altri milioni di volumi, per non parlare degli insegnanti e studenti massacrati.
Un grande storico e filosofo, Will Durant (premio Pulitzer e autore, con la moglie, de “La Storia della Civiltà” in 11 volumi), ha detto:
“The Mohammedan Conquest of India is probably the bloodiest story in history. It is a discouraging tale, for its evident moral is that civilization is a precarious thing, whose delicate complex of order and liberty, culture and peace may at any time be overthrown by barbarians invading from without or multiplying within.”
[ITA]”La Conquista Maomettana dell’India è probabilmente la più sanguinosa della storia. E’ un racconto scoraggiante, la cui evidente morale è che la civiltà è una cosa precaria, quel delicato complesso di ordine e libertà, cultura e pace può essere in ogni secondo rovesciato da barbari che la invadono o si moltiplicano all’interno di essa.”
Come ultimo appunto, vorrei sottolineare che il buddismo scomparve completamente da quei luoghi assieme alla cultura, tanto che la regione cadde in rovina. Come sottolineava un articolo in inglese che lessi qualche tempo fa, per ironia della sorte, a 900 anni dalla distruzione di Nalanda, la zona ha oggi un tasso di analfabetismo altissimo.