Conversazione su Tiresia di Andrea Camilleri

Ciò che ho visto la sera dell’11 Giugno è racchiuso in un libricino di appena 69 pagine [1]. Eppure, stranamente, ho l’impressione che manchi di qualcosa; qualcosa che non può essere fissato sulla carta. Sono un amante dei libri, del profumo polveroso di quelli vecchi e dell’odore simile a un mobile nuovo di quelli appena usciti dalla libreria: ciò che Andrea Camilleri ha portato sulla scena del teatro greco di Siracusa va aldilà di un semplice libro.

È il secondo appuntamento a teatro, a brevissima distanza dall’Edipo a Colono di cui potete leggere in un articolo dedicato. Confesso che non ho mai letto un libro di Camilleri. Ciò che mi ha portato a vedere Conversazione su Tiresia è la curiosità che nutro nei confronti di questo personaggio mitico e, soprattutto, di viverne l’interpretazione che ne darà il maestro Camilleri. C’è una bizzarra affinità, fra i due. Come Tiresia, Andrea Camilleri è cieco – deficit che, comunque, non ha intralciato la carriera dello scrittore ma, al contrario, ne ha acuito la sensibilità. Capirete, allora, l’enorme attesa dei 5 mila spettatori nei confronti di un profeta dei nostri tempi, un moderno Tiresia che ha portato in scena se stesso.

IMG_2564Per l’occasione il teatro greco ha cambiato abito, la scenografia è dominata sullo sfondo da un muro di blocchi, lisci e disposti irregolarmente. Mi ricorda tanto la Scala dei Turchi, per un attimo mi chiedo se sia un omaggio alle origini agrigentine dell’autore. Disseminati tutt’intorno sulla scena del teatro, scorgo pile di libri dalla copertina sbiadita, vecchie valigie, un tavolino basso con una macchina da scrivere e una poltrona posta a fianco di una lampada. Cala la notte, si fa buio. Si accendono le luci, sulla parete viene proiettata l’immagine di una coppia di cavalli di pietra. Lo scenario diventa un palco magico, un perfetto equilibrio fra vintage e antico.

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Entra Camilleri, viene accompagnato alla poltrona. È la prima volta che lo scrittore diventa attore di un suo testo. Sono sgomento: mi metto nei suoi panni, quel palco è troppo grande per una persona soltanto. In realtà c’è un bambino ai suoi piedi e un musicista che accompagna dal vivo con un sottofondo d’effetto e per nulla invasivo. Camilleri ha una voce profonda, roca, che parla lentamente. Di fatto riempie la scena solamente parlando, non credevo fosse possibile. «Chiamatemi Tiresia» esordisce, con riferimento all’incipit di Moby Dick (Chiamatemi Ismaele). «Oppure Tiresia sono» continua, parodiando il commissario Montalbano, personaggio che lo ha reso famoso in tutto il mondo.

Il suo monologo riprende la narrazione mitica di Tiresia che, sul monte Citerone, incontra una coppia di serpenti avvinti e ne uccide l’esemplare femmina, trasformandosi egli stesso in una donna. Sette anni dopo, su consiglio della Pizia, Tiresia risale sul Citerone per ritrovare il serpente superstite, il maschio, e ucciderlo riprendendo le proprie sembianze originali. Camilleri parla come se fosse egli stesso Tiresia, riportando avvenimenti fantastici che sulle sue labbra suonano come se fossero realmente accaduti. Con molta arguzia lo scrittore ironizza sulla donna, sul suo cervello affollatissimo in cui «piccole esigenze quotidiane convivono accanto a grandi quesiti universali, un flusso continuo di cose da fare e altre da pensare»; cita un verso in greco e racconta di non essere stato capito dalla Pizia a causa del suo accento «terrone». Continua la leggenda. Tiresia si ritrova nel bel mezzo di un diverbio fra Zeus ed Era su chi fra l’uomo e la donna, durante un amplesso, provi maggiormente piacere. Tiresia è interpellato in quanto ha fatto esperienza di entrambi i sessi. Si guarda bene dal dar torto a Era: su dieci parti di piacere, risponde, la donna ne prova nove. Il responso non è gradito alla Dea che acceca l’uomo. Allora Zeus ricompensa Tiresia donandogli sette vite e la capacità di preveggenza. Camilleri riporta anche una seconda versione della leggenda, quella narrata nel V canto degli inni del poeta Callimaco. Tiresia scorge Atena fare il bagno sul Monte Citerone e per questo viene punito.

Camilleri parla degli episodi più noti della letteratura greca in cui fa la comparsa l’indovino Tiresia, noi stiamo ad ascoltarlo con la sensazione di trovarci di fronte a un cantastorie. Nell’Edipo Re di Sofocle Tiresia, sebbene recalcitrante, è costretto a rivelare i terribili crimini che il re tebano ha compiuto uccidendo il padre e sposando la madre. Il racconto dello scrittore s’invola con solennità sulla materia mitica poi ridiscende, si fa divertente. Tiresia, per Camilleri è recalcitrante perché voleva salvarci da Sigmund Freud: «lui sì, con la sua teoria del complesso di Edipo, avrebbe rovinato la vostra esistenza, raccontandovi che tutte le vostre turbe nascono dal fatto che da piccoli avete desiderato vostra madre e tramato contro vostro padre.» E poi ancora, nell’Odissea di Omero, Ulisse incontra l’ombra di Tiresia nell’Ade. Il profeta gli suggerisce la via più breve per tornare a casa.

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Camilleri fa girare la ruota del tempo, portandoci ai Romani. Il suo tono si fa seccato, pretende una rivalsa contro Giovenale, per cui Tiresia oltre che cieco era sordo, e Stazio che invece gli fa interpretare i segni dal canto degli uccelli. «Ma se ero sordo come facevo?» È il turno di Seneca che nella sua rivisitazione dell’Edipo Re ridimensiona l’importanza di Tiresia affidando la cruciale rivelazione al fantasma del Re Laio.

Le immagini proiettate su Camilleri, sul suo sfondo di pietra virano a seconda ciò che sta narrando. Il musico è un mimo che passa da uno strumento all’altro e il bambino ai suoi piedi di tanto in tanto gli porge un bicchiere d’acqua. Camilleri cita Luciano di Samosata, che per primo scrisse di Tiresia come di un ermafrodito, poi abbandona il mito e si addentra per i sentieri multiformi della letteratura.

La sua è una lezione di mitologia, di letteratura, di vita. Cita autori, noti e meno noti, che hanno raccontato ciascuno a suo modo di Tiresia: Jacopo della Lana, Guido da Pisa, l’anonimo autore francese dell’Ovide moralisé. Dante, che nella Divina Commedia pone Tiresia all’Inferno, tra i fraudolenti, perché ha ingannato il mondo con le sue false profezie (pagane) e ha stravolto le leggi divine mutando sesso. Milton, Borges, Eliot ed Ezra Pound di cui riporta versi particolarmente evocativi.

[…]

Ho visto Tebe in fiamme

Atteone sbranato dai suoi cani

Ho visto Cesare morire sotto il pugnale di Bruto

Ho visto Napoleone a Sant’Elena

Ho visto penzolare dalla tettoia del benzinaio Ben e Claretta.

Tutto questo i miei occhi ciechi hanno veduto e patito.

 

Camilleri racconta aneddoti interessanti come le Mammelle di Tiresia di Guillaume Apollinaire, commedia novecentesca che riporta come sottotitolo Dramma Surrealista. È la prima volta che viene usata la parola surrealista e André Breton, che assistette allo spettacolo, portò con sé il vocabolo impiegandolo per la definizione del surrealismo.

Lo spettacolo di Camilleri può considerarsi scrittura, teatro e lectio magistralis. Il maestro conclude spiegando che è in cerca dell’eternità, lì in quel teatro, fra quelle pietre antiche. A sentirlo parlare capiamo che non è Tiresia stavolta, ma Andrea Camilleri, l’uomo – una delle sette vite di Tiresia – a cui Zeus ha deciso di sottrarre la vista all’età di novant’anni.

Un lungo applauso, di oltre cinque minuti, per il Vate.

Un brivido lungo la schiena.

Un brivido che mi è impossibile ritrovare fra le pagine di un libricino di appena 69 pagine.

 

[1] Andrea Camilleri, Conversazione su Tiresia. Sellerio Editore (2018)

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2 comments

  1. Buongiorno. Complimenti per la recensione. Ho una curiosità cui non riesco a trovare risposta (compulsando i Cantos poundiani): da quale dei Cantos è tratta l’evocativa citazione di Camilleri?

    DF

    1. Caro Davide, grazie per i complimenti. Purtroppo, Camilleri non cita puntualmente il passo estratto ma si limita a scrivere: “Io [Tiresia] sono presente fin dal primo Canto e sono presente anche nell’ultimo, scritto 40 anni dopo e che fa parte dei Canti Pisani, perché io, e lo dico con orgoglio, rappresento l’anima stessa della poesia.” Ti cito anche i riferimenti bibliografici presenti in appendice: Ezra Pound, XXX Cantos, a cura di Massimo Bacigalupo, Guanda (2017); Canti Pisani, traduzione di Alfredo Rizzardi, Garzanti (2015). Purtroppo non ho una risposta più esauriente da darti.
      Giuseppe

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