Per la rubrica de I racconti di Satampra Zeiros, abbiamo il piacere di ospitare per la prima volta Baldassarre Minopoli, il quale ci propone La tempesta, racconto sword and sorcery di circa 25.000 battute spazi inclusi.
Buona lettura.
La tempesta
Baldassarre Minopoli
Oltre la linea degli alberi il vento ululava, trasportando la neve che copriva la fredda tundra. Il ragazzo era riuscito a trovare in tempo la piccola macchia di betulle che avrebbe offerto riparo per la notte. Mentre il suo signore era in perlustrazione il ragazzo aveva acceso il fuoco e preparato un ricovero.
Da buon cacciatore era riuscito a catturare una lepre. L’animale era scarno ma avrebbe fornito un’alternativa alle razioni da viaggio. La pelliccia dell’animale poi poteva sempre tornare utile, ecco perché la stava ripulendo con un raschietto di selce.
All’improvviso il teschio della lepre, posto al centro del campo, si ruppe sonoramente, mentre da ovest proveniva un verso stridulo. Impugnando l’ascia il giovane guardò in quella direzione. Una donna era ferma al limitare del campo, avvolta in una soffice pelliccia d’orso. I capelli erano corvini e così erano gli occhi, profondi come due pozzi.
Il ragazzo sospirò: <Dama Notte… Perché questa visita? Padron Harlo è in giro.> La voce era calma ma il Finn non accennava a posare l’arma.
<Non sono qui per lui ma per te, Enke.> La voce della donna era calda, invitante ed era noto che quella era una delle cose che la rendevano così pericolosa.
Senza avvicinarsi, Notte, continuò a parlare: <Anche se non sei uno sciamano conosci la magia degli spiriti. Notevole…>
<Mia signora, provengo da terre infide e ogni cacciatore del mio popolo sa come realizzare allarmi spirituali. La fortuna è stata quella di trovare una lepre. Hanno spiriti timorosi, ottimi per questi compiti.>
<Vero ma più che altro mi riferivo alla barriera mistica.>
Enke sorrise. Sapeva benissimo che volendo quella strega avrebbe cancellato con un gesto la debole difesa che aveva creato.
<Mia signora, diceva di essere venuta qui per me. Di cosa si tratta? Il padrone non credo apprezzerebbe trovarla qui…>
<Hai ragione.> Un’ombra fugace oscurò l’espressione della donna. <Cerca di dissuadere il tuo padrone dai suoi propositi.>
<Sa perfettamente che non ci riuscirei. È il desiderio di vendetta quello che lo fa andare avanti. Finché non sarà soddisfatto non si fermerà.>
<L’ossessione lo sta consumando. Quando avrà superato il limite la mia magia non potrà più proteggerlo. Nemmeno le ombre che lo seguono potranno fare nulla per lui.>
<Credo ne sia consapevole.>
La donna sospirò, quella storia le stava sfuggendo di mano. Non aveva molto tempo e c’era altro da dire: <Enke, a poco meno di una giornata da qui c’è un piccolo borgo. Statene alla larga! Dall’oscurità strisciano fuori… cose… e hanno fatto di quel luogo la loro tana. C’è puzza della Cabala! Evitate di immischiarvi. Chiaro?>
<Lo siete stata, Dama Notte. Ma se il padrone vorrà recarsi in quel borgo non c’è nulla che possa dire o fare per impedirglielo.> Scrollando le spalle aggiunse: <La Megera Ragno tesse i destini e se il nostro è quello di andare laggiù è quello che accadrà.>
Dama Notte odiava il fatalismo Finn. Maledetti loro e i loro Spiriti-Dei!
<Trova un modo. Meglio ancora se convinci Harlo a stare da questa parte del confine…>
Entrambi sapevano come sarebbero andate le cose.
<Il padrone non ti ha dimenticato. Quando ti strapperà il cuore verserà calde lacrime per il vostro amore maledetto.>
<Morirà nel farlo.> La voce della donna era un sussurro.
<Sa anche questo.> Rispose il Finn.
Poche ore dopo aver attraversato il confine del regno di Gothia, Enke e il suo padrone avvistarono un piccolo borgo su una collinetta.
Le case, costruite di solidi tronchi di pino silvestre, erano abbarbicate l’una sulle altre, creando dei vicoli stretti. Solo più in alto, verso la cima, si allargavano lasciando spazio ad una piccola casa-torre. Probabilmente era la dimora del borgomastro e della sua guardia.
Harlo fermò il cavallo e si toccò il braccio sinistro. Gesto che non era sfuggito al suo compagno.
<Enke…> Disse il guerriero brizzolato: <…c’è qualcosa di strano in quel villaggio. Non ti pare?>
Il ragazzo non poté che annuire.
Il veterano guardò le fredde nuvole, cariche di neve e continuò: <Nonostante tu mi abbia suggerito di non fermarci non abbiamo scelta che cercare riparo laggiù per la notte. I cavalli sono state troppo al freddo. Ma occhi aperti.>
<Sì, Padron Harlo.> Il tono di voce del Finn era molto serio.
I due spronarono i cavalli al piccolo trotto, nella speranza di raggiungere il villaggio prima che iniziasse a nevicare forte. Appena arrivati ai confini del villaggio notarono che la porta d’accesso della palizzata era aperta e nessuno di guardia. Le abitazioni che si intravedevano avevano imposte e porte bloccate da travi. Un odore dolciastro pervadeva l’aria, misto a quello della cenere bagnata.
Harlo e Enke scesero da cavallo, decidendo di proseguire conducendo le bestie per le redini.
Il giovane Finn era guardingo e prese una delle sue asce di pietra. In caso di bisogno, sapeva farla volare perfettamente contro un avversario a diversi passi da lui. Anche Harlo decise di tenere pronta la spada.
Prima di addentrarsi per i vicoli, il guerriero fissò il freddo disco bronzeo del sole che stava andando a inabissarsi dietro le montagne occidentali. Aveva un pessimo presentimento.
Osservò con attenzione il guanto d’arme che gli copriva la mano e l’avambraccio sinistro. Il metallo nero era caldo, leggermente luminescente. Significava che stava reagendo a qualche forma di magia. I simboli di protezione incisi sull’oggetto erano visibili, per cui era qualcosa di oscuro.
<Tutto bene, Padrone?> Chiese il ragazzo.
Sospirando Harlo guardò il compagno: <Sai, forse dovevo darti ascolto. Non credo sia stata una buona idea raggiungere questo posto. La stregoneria lo infesta…>
Enke scrollò le spalle e un sorriso gli comparve sul viso: <Già. C’è puzza di magia nera nell’aria, Padrone. Ma ormai siamo qui, quindi non possiamo fare altro che capire cosa succede.>
Annuendo il guerriero prese le briglie del suo cavallo ed entrò nel villaggio, seguito dal suo compagno.
I due capirono subito che quello non era un semplice borgo abitato da gente di frontiera. L’acciottolato della via principale suggeriva che, almeno un tempo, doveva esserci stato un certo via vai per quella strada. Man mano che si inoltravano lungo la salita Harlo notò che le case avevano un aspetto più curato, anche se erano ancora in legno.
Non conosceva quella zona ma era certo che poco distante dal villaggio dovesse esserci una vecchia strada imperiale che conduceva al confine o a qualche vecchio forte. Durante la dominazione Lenarii di strade del genere ne erano state costruite molte e molti territori avevano beneficiato del miglioramento del movimento di persone e merci. Almeno fino all’inizio di quest’epoca fatta di oscurità e stregoneria.
Enke interruppe il corso dei pensieri del guerriero, gli stava indicando un piccolo spiazzo. Al centro i resti di una catasta di legna carbonizzata dominavano la scena. Teschi e altre ossa umane erano visibili. Le dimensioni erano le più disparate. In quella pira erano stati bruciati sia adulti che bambini.
I cavalli sbuffarono.
<Questo posto non gli piace…> Sussurrò il Finn.
<Come dargli torto. L’odore della morte indugia tra queste strade.> La tono di Harlo era freddo, come quello di chi si stava preparando a combattere: <Il sole sta tramontando e per allora voglio essere dentro alla casa-torre. Quello è il luogo più difendibile.>
Enke annuì: <Se ci sono sopravvissuti saranno lì, giusto? Ho visto tracce nella neve, anche se strane. Ci deve essere ancora qualcuno in questa tomba a cielo aperto.>
Il guerriero annuì: <Confido nella tua esperienza di cacciatore. Il Lupo d’Argento ti sorride sempre, non è vero, Enke?>
Il ragazzo sorrise enigmaticamente e fece segno che si poteva proseguire.
Stando all’erta i due viaggiatori cercarono di raggiungere in fretta la cima della collina, dove si trovava il fortilizio. Le tracce di scontri erano ovunque. Porte sfondate, segni di roghi e macchie di sangue sulle pareti esterne delle abitazioni.
La cappella cittadina versava in condizioni disastrose. Era un piccolo tempio di campagna ma era stata costruita con una certa attenzione per i dettagli. Ora per giaceva in rovina, in parte arsa dalle fiamme.
A quella vista Harlo si incupì. Non era devoto ma sapeva quanto il Culto della Luce fosse importante in Gothia. I sacerdoti del Culto godevano di rispetto, soprattutto in zone rurali come quella. Qualcosa era andato orrendamente storto laggiù. Un ricordo gli si affacciò alla mente. Anni prima… una vita fa… Chlodovech, la sua Prima Lama, gli disse che ovunque andassero le Sentinelle Grigie qualcosa andava sempre “orrendamente storto”. Accarezzandosi il guanto d’arme sinistro non poté fare altro che sorridere amaramente. Chlodovech aveva avuto fin troppo ragione…
Giunti alla casa-torre il sole era quasi tramontato, le due lune erano ormai visibili e sfrecciavano veloci nel cielo. Le ombre si erano allungate fino a fondersi in un’unica, minacciosa, massa scura. Avvicinandosi i due notarono tracce di scontri recenti. Davanti all’edificio c’erano frecce spezzati, pezzi d’armatura e armi. Nessun resto umano visibile, anche se i resti di alcune pire faceva intuire cosa potesse essere successo ai caduti.
La casa-torre era costruito per la maggior parte di pietra. Il pian terreno c’erano solidi muri di grezza roccia mentre quello rialzato era fatto di tronchi di pino. La torre occupava l’area orientale della costruzione e si ergeva, tozza, a controllare l’area antistante. Tetti spioventi di ardesia completavano la costruzione.
<Odore di fumo.> Disse a bassa voce Enke: <C’è qualcuno lì dentro, forse ci osservano.>
Annuendo lentamente Harlo si voltò, accarezzando il collo del suo cavallo da guerra. Il mantello falbo della bestia era segnato da diverse cicatrici, la bestia era abituata a combattere.
<Cosa ne pensi?> Chiese il guerriero.
<Sono asserragliati lì da qualche giorno. Le pire sono recenti, non hanno più di una settimana.> Rispose il cacciatore.
Harlo si voltò verso la costruzione e urlò: <Ehi! So che c’è qualcuno lì dentro. Sono Harlo Guantonero e questo è il mio scudiero, Enke Larsson. chiediamo ospitalità per la notte. Ce ne andremo all’alba.>
<Scordatelo!> Una voce femminile da dietro gli scuri: <Lasciate le armi e anche i cavalli. Forse siete ancora in tempo ad andarvene. Se non lo farete giuro che vi faremo diventare dei puntasp…>
Una scarica di crepitante energia nera la interruppe. Partita dal guanto d’arme di Harlo aveva colpito con violenza la finestra da cui proveniva la voce. Il legno degli scuri era esploso e pezzi carbonizzati erano sparsi ovunque.
Una donna vestita con un’armatura di cuoio raffazzonata stava guardando gli stranieri con un espressione esterrefatta, mentre da piccole ferite sul viso sgorgava sangue.
<Arrivano!> Un urlo proveniente dalla torre.
Girandosi Harlo e Enke videro che si stavano avvicinando, arrancando, quelli che sembravano cadaveri ambulanti. Corpi chiaramente morti si muovevano come oscene marionette, artigliando l’aria davanti a loro. Un’oscura magia circondava quei corpi, come un sudario demoniaco. Occhi di brace, affamati, fissavano i due stranieri.
<Negromanzia.> Sibilò Harlo, senza scomporsi più di tanto, impugnando la sua spada.
Enke annuì: <Sono troppi, o entriamo o ci massacrano.> Preso l’arco e scoccò una freccia. La punta di selce si conficcò in uno dei corpi, liberando l’energia spirituale contenuta e facendo esplodere la carne della creatura rivelando una figura umanoide, composta d’ombra, che fuggì rapidamente.
Il Finn sputò a terra e fece un gesto di protezione.
Harlo si girò verso la donna, urlando: <Facci entrare e vi aiuteremo con queste… cose! Avanti!>
Togliendosi il sangue dal volto la donna annuì e sparì mentre un tavolaccio veniva issato per rimpiazzare le imposte distrutte. Si aprì la porta e la magra figura di un giovane sacerdote fece segno ai due di affrettarsi a entrare.
I rianimati erano lenti nei movimenti e i viaggiatori riuscirono a mettersi al sicuro prima di essere raggiunti. Enke si diresse verso la finestra danneggiata per dare una mano a due ragazzini che stavano cercando di chiuderla alla bell’e meglio.
Harlo prese la balestra e la faretra attaccate alla sella del suo cavallo e salì velocemente le scale della torre. Le feritoie erano state posizionate molto bene, pochi arcieri avrebbero potuto coprire senza problemi tutti i lati mentre una finestra permetteva di stare di vedetta. Distese a terra una manciata di quadrelli e, con molta attenzione, liberò una stilla dell’energia magica dal suo guanto d’arme. Caricò l’arma e iniziò a sparare.
Ogni cadavere colpito veniva arso da crepitanti fiamme nere, rivelando una creatura d’ombra al suo interno che fuggiva rapida. Capì che la notte sarebbe stata lunga.
Dopo alcuni, interminabili, minuti la battaglia finì e i cadaveri smisero di muoversi. Di fronte alla casa-torre diverse dozzine di figure semi putrefatte stavano ferme, insensibili al vento e alla neve che sferzava i loro corpi, o quello che ne rimaneva.
Harlo scese nella sala comune, dove erano riuniti tutti gli occupanti della costruzione. Una dozzina di mocciosi, di entrambi i sessi, la giovane donna che li aveva minacciati, il ragazzo che sembrava un accolito del Culto e, sotto una pila di coperte luride, si sentiva rantolare qualcuno.
Il guerriero si voltò verso Enke, che gli fece un rapido gesto per indicare che tutto era calmo. Almeno per il momento. Poi, girandosi verso la donna, chiese: <Cos’è successo qui?>
<Non so di preciso… mercanti di passaggio… ben vestiti. Poi la malattia. La febbre e le persone diventavano mostri assetati di carne. Li ammazzavamo, ma tornavano. Abbiamo dovuto bruciare i corpi… alcuni mentre respiravano ancora…> La sua voce era stanca, come quella di chi non dorme da giorni.
L’accolito le si avvicinò e le mise una coperta sulle spalle: <Andrà tutto bene, Aslaug… andrà tutto bene…>
Harlo era scettico.
<Vado a tenere sott’occhio la situazione.> Disse il Finn andando verso le scale. Harlo annuì e iniziò a interrogare l’accolito.
A quanto pareva Rocca di Brandr, così si chiamava quel borgo, si trovava era davvero lungo una vecchia via imperiale. Era stata una stazione commerciale discreta ma le turbolenze dovute alle guerre di successione per il trono di Gothia avevano cambiato le cose. Ora ci vivevano cacciatori, taglialegna e qualche mercante che commerciava coi Finn, più a oriente.
L’accolito, Faramund, era del posto ed era entrato da poco nel Culto, come aiuto di Fratello Lexius, il sacerdote del villaggio e una delle ultime vittime dell’epidemia. Era stato ammazzanto mentre cercava di esorcizzare i demoni-ombra che possedevano i corpi ma aveva fallito ed era stato divorato da una torma di bambini contagiati. Faramund, disse sussurrando, sapeva che il loro destino era segnato ma aveva pregato affinché avvenisse un miracolo.
Guardò speranzoso negli occhi di Harlo, ma vi trovò solo freddezza.
Il guerriero indicò le coperte chiedendo chi c’era sotto.
<Halli, era il capitano della piccola guarnigione cittadina. Per un mio errore, due giorni fa, è stato ferito…> La voce dell’accolito era costernata.
Harlo si alzò e, sollevate le coperte, guardò la ferita dell’uomo, infetta: <Incredibile che respiri ancora…>
<È il padre di Thone…> Sussurò Faramund, indicando una ragazzina dai folti ricci: <…la piccola ha già… perso la madre… io…>
Per un attimo il veterano pensò di sistemare la faccenda, portando istintivamente la mano al pugnale che teneva al fianco. Nello stesso momento Aslaug si alzò, ridestandosi dal suo torpore: <Provaci e ti taglio la gola.> La sua voce era fredda, come il vento che soffiava all’esterno.
<Non ci riusciresti.> Replicò il veterano che però allontanò la mano dall’arma. In quella situazione non avrebbe avuto senso iniziare una lotta. A tempo debito lui o Enke avrebbero saputo cosa fare.
La tempesta sembrava eterna. All’esterno il vento soffiava violento, portando suoni innaturali.
Mentre Faramund si occupava dei ragazzini, Aslaug aveva preparato una zuppa e stava aiutando Halli a mangiare. Ma il risultato era davvero misero.
Harlo aveva un’espressione scura, sembrava trattenere a malapena la rabbia. Da diverso tempo apriva e chiudeva il pugno del guanto d’arme come se ne stesse saggiando la forza. Enke lo osservava. Sapeva poco di quell’artefatto, se non che Dama Notte era invischiata nella sua creazione e che c’era qualcosa di tragico nelle sue origini. Ma era un oggetto potente. Diverse volte aveva percepito gli spiriti della taiga allontanarsi da loro per via di quell’oggetto. Il suo padrone sicuramente pensava di usarlo di qualche maniera. Ma quale sarebbe stato il prezzo da pagare?
<Padrone…>
Il guerriero fece un gesto per zittire il Finn e si alzò: <Accolito, bisogna agire. Non potremo rimanere qui a lungo.>
Faramund fissò a lungo il guerriero e scosse la testa: <Io… proprio non so cosa fare…>
Enke aveva inquadrato quel sacerdote, era un debole. Una religione molle non poteva che generare sacerdoti del genere, gli spiriti Finn volevano gente fatta di un’altra pasta.
<Una volta uno dei tuoi venne nel mio villaggio.> Disse il cacciatore: <Voleva impressionare lo sciamano con la potenza della tua religione e andò ad esorcizzare uno spirito folle che infestava i boschi. Lo sforzo lo uccise ma ci riuscì. Non puoi fare altrettanto?>
Faramund tremava come una foglia, biascicando qualche parola. Enke guardò in direzione di Harlo che scosse la testa.
Il guerriero quindi si alzò e si mosse diresse verso Aslaug: <Devo capire che cosa è successo quaggiù.>
La ragazza si scostò una ciocca di capelli rossi dal viso: <Sono figlia di mandriani, conosco le renne non la stregoneria. Tutto quello che so è che dei mercanti erano arrivati al villaggio poco prima che questa follia iniziasse.>
<Parlami di questi mercanti>
<Avevano tre carri, uno era coperto e aveva un simbolo sulla fiancata. Due falci incrociate. Significa qualcosa?>
Harlo annuì: <Mercenari, come lo ero io. Ma questi usano le arti magiche. Pensavo fossero stati tutti ammazzati nella Guerra d’Inverno. Chissà perché sono ricomparsi proprio qui…>
La ragazza rimase silenziosa qualche secondo: <Moriremo, non è così?>
<Se non troviamo una soluzione.>
<Accolito!> La voce di Harlo sembrò scuotere Faramund che si alzò dal suo giaciglio e si diresse verso i due.
<So cosa vuoi da me…> Disse il sacerdote: <… ma non ho la forza per farlo. Sono inesperto e… debole…>
<Non abbiamo scelta.>
<Allora… concedimi almeno il tempo per pregare un po’…>
Il veterano annuì.
Enke si avvicinò: <Fuori ce ne sono parecchie di quelle creature… Uno sciamano esperto avrebbe difficoltà con tutte quegli spiriti d’ombra e, padrone, quel ragazzo è un novizio della tua fede. >
<Bisognerebbe alleggerire il carico…> Mormorò Harlo.
<Trovate un modo…> Faramund mise una mano sulla spalla del guerriero: <Indeboliteli un po’, al resto penserò io.>
<Morendo.> Replicò seccamente il Finn.
<Vorrà dire che tornerò alla Luce.> L’accolito sorrise debolmente.
Enke si zittì. Era chiaro che la loro salvezza dipendeva dal sacrificio di qualcuno.
La tempesta non accennava a diminuire. Le raffiche di vento colpivano con forza la casa-torre. Immobili, nella fredda oscurità, le creature che una volta erano stati gli abitanti del villaggio attendevano.
Enke diede un calcio agli scuri della finestra della torre e lanciò verso la piazza la corda, senza indugi Harlo iniziò a calarsi. Una parte del piano si basava sulla torpidità dei non morti e il guerriero tirò un sospiro di sollievo quando riuscì a toccare terra prima che la creature iniziassero a reagire.
Le ombre, più attente, invece attaccarono. L’ottima mira del Finn fece si che due di loro venissero centrate dalle sue frecce di selce, venendo distrutte. Una raggiunse Harlo che, però, la toccò col guanto d’arme.
L’energia proruppe verso l’esterno e l’ombra si trovò bloccata da catene magiche che, lentamente e inesorabilmente, la consumarono del tutto.
Tutto era accaduto in pochi minuti, sufficienti affinché i non morti iniziassero ad agire. Il veterano estrasse la spada e arretrò, allontanando quante più creature dall’edificio.
Raggiunta una distanza sufficiente alzò il pugno sinistro in alto e sussurrò: <Compagnia, ho ancora bisogno di voi!>
Una tempesta magica si scatenò dal guanto d’arme nero. Catene magiche comparvero, colpendo e bloccando le creature, consumandone le carni e rivelando il demone all’interno. Urla infernali si levarono da quelle gole morte e per un istante la follia regnò.
Harlo aveva usato altre volte quel potere, ma mai così. Sentiva la mente sgusciare via e scivolare in un gorgogliante, nero abisso. La maledizione che lo affliggeva non gli lasciava speranze e ora stava facendo qualcosa che l’avrebbe fatto morire, o peggio. Stava ormai per cedere quando sentì una mano appoggiarsi sull’avambraccio, poi un’altra e un’altra ancora. Aprì gli occhi e vide di fronte a sé i suoi uomini, l’intera compagnia delle Sentinelle Grigie schierata. Ancora una volta stavano aiutando il loro capitano.
Ormai le creature erano abbastanza lontane ed Enke, sceso dalla torre, aprì la porta della casa-torre. Faramund uscì. Un’espressione decisa e consapevole aveva preso il posto di quella gentile e timida che c’era sempre sul suo volto. L’accolito sapeva quello che doveva essere fatto e, dopotutto, forse era proprio quello lo scopo per cui aveva deciso di prendere i voti. Era nelle mani della Luce e, soprattutto, la Luce era nelle sue, di mani.
Il giovane fece qualche passo avanti ed alzò le mani al cielo. Iniziò a recitare una preghiera, prima timidamente e poi via via più forte fino a che, con sorpresa di Enke, la voce del sacerdote non arrivò a sovrastare il ruggito della tempesta. Un globo di luce, sempre più splendente andò a formarsi a tra le sue mani. Le ombre che si annidavano all’interno di quello che rimaneva degli abitanti del villaggio iniziarono ad essere risucchiate e annullate dal potere divino. Ma erano troppe per Faramund. Ben presto rivoli di sangue iniziarono a colargli dagli occhi, dal naso e dalle orecchie. L’esorcismo lo stava uccidendo.
Poco distante dall’accolito anche Harlo era allo stremo. Sentiva che a maledizione lo stava consumando, decise quindi di interrompere, con un grande sforzo di volontà, il flusso di potere. Le catene magiche che intrappolavano i non morti sparirono. Tirando fuori la sua spada il guerriero iniziò a menare fendenti selvaggi, distruggendo i corpi avvizziti che lo circondavano.
Le frecce dalla punta di selce che Enke aveva a disposizione erano poche, ma cercò di farne buon uso. Ognuna distruggeva il guscio di carne rivelando un’ombra, che veniva risucchiata dalla sfera di luce di Faramund.
Il giovane accolito però era condannato. Un fiotto di sangue proruppe dalla sua bocca e le gambe vacillarono.
Aslaug corse fuori e lo sorresse: <Usa la mia forza…>
Oltre alla ragazza anche i giovani rifugiati abbracciarono il sacerdote dicendogli la stessa cosa.
Piangendo lacrime di sangue il sacerdote annuì e compiendo un ultimo, disperato, sforzo. La sfera di luce si ingrandì e divenne più luminosa del sole d’estate. Enke cercò di non chiudere gli occhi, qualcuno doveva essere testimone di quella storia.
Il Finn annuì osservando i corvi che, come sentinelle, avevano assistito alla cerimonia funebre per Faramund, Aslaug e tutti i ragazzini. Solo la piccola Thone era sopravvissuta. Il padre era morto stringendole la mano poco prima della battaglia.
Mentre Harlo si occupava dei cavalli Enke aveva deciso di dar loro una sepoltura degna. Con del legno di recupero aveva creato una postazione sopraelevata e vi aveva adagiato sopra i corpi. Il tempo, gli agenti atmosferici e i corvi avrebbero fatto il resto, liberando gli spiriti dalle catene della carne. L’ultima selce sacra che possedeva l’aveva lasciata tra le salme, in modo da tener lontane creature indesiderate.
Anche la piccola Thone gli aveva dato una mano. Aveva pianto tutto il tempo ma in silenzio. C’era della forza in lei, ne era certo.
Harlo, tenendo le briglie dei cavalli, si avvicinò: <Abbiamo perso più di mezza giornata, non andremo molto lontani.>
Il Finn annuì: <In qualche modo faremo, non avremo grossi pericoli da affrontare.> Indicò la bambina e continuò: <Cosa pensate di fare?>
<Per ora verrà con noi. Quando troveremo un luogo adatto la lasceremo lì.> Harlo guardò Thone negli occhi. Erano verdi… ed esprimevano una durezza inusuale per quell’età. L’infanzia, per quella bambina, era finita.
<Penso…> Continuò il veterano issandosi in sella: <…che la prossima volta che mi consiglierai di evitare un posto ti darò ascolto. Anche se non sai dirmi perché.>
Enke annuì mentre faceva accomodare la bambina sulla sella del suo cavallo.
“Il più è capire cosa volesse veramente Dama Notte da noi…” Pensò il ragazzo mentre si allontanavano al trotto dalle silenziose vie di quel villaggio ormai morto.
Lontano, avvolto da incantesimi protettivi, una figura scheletrica sorrise. Il futuro, pensò lo Stregone Cremisi, sarebbe stato interessante.
FINE
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