Per la rubrica de I racconti di Satampra Zeiros, abbiamo il piacere di ospitare nuovamente Fabio Andruccioli, scrittore emergente, membro dell’Associazione Culturale Italian Sword&Sorcery, autore de I racconti della Stua, che ci propone Il negromante di Praga, racconto fantasy di circa 35.000 battute spazi inclusi.
Se avete il piacere di leggere gratuitamente altre storie di heroic fantasy pubblicate da Fabio Andruccioli in questa rubrica, le trovate qui:
- Andruccioli, Fabio – La Valle dell’Ombra
- Andruccioli, Fabio – Eraclomio e il malvagio stregone Giarodonte
Buona lettura.
Il Negromante di Praga
Fabio Andruccioli
1.
L’uomo attendeva impaziente, osservando lontano le luci del Castello. Una notte fredda e umida, senza stelle. Il fiume Moldava scorreva rumoroso davanti a lui.
Per un attimo le acque lo riportarono a qualche ora prima, mentre si immergeva nella mikwe. Lui e i suoi due compagni si bagnarono e rimasero in un silenzioso raccoglimento.
Ata Bra Golem Dewuk Hachomer W’tigzar Zedim Chewel Torfe Jisrael.
Si chiese se realmente avesse compreso appieno quello che l’Altissimo gli aveva rivelato. Un Golem d’argilla per annientare il loro nemico.
Alzò di nuovo gli occhi verso il castello dove Rodolfo II, Imperatore del Sacro Romano Impero, si era circondato di astrologi e occultisti da ogni parte d’Europa. Ma non era di loro che era preoccupato.
Sentì dei passi alle sue spalle. Sussultò. Poi la voce amica di Jizchack lo rassicurò.
“Rabbi Löw, siamo noi.”
“Jizchack, genero mio. Mi hai spaventato. Benvenuto anche a te Jakob. Avete recitato lo Chazot prima di venire qui? È molto importante.”
“Sì, lo abbiamo fatto.”
“Bravi giovani. Così mi è stato ordinato. Ora che i quattro elementi sono riuniti, possiamo iniziare.”
“Scusatemi Rabbi” intervenne Jakob, il Levita discepolo di Jizchack, “ma siamo solo in tre.”
“Ragazzo, io sono l’aria. Jizchack è il fuoco e tu sei l’acqua. Con il quarto elemento, la terra, costruiremo il Golem che metterà al bando Taddeo e allontanerà per sempre da Praga le sue creature della notte.”
“Credete veramente” riprese il giovane Levita, “che funzionerà?”
“Tutto ciò che facciamo è guidato dalla Fede. Su mettiamoci al lavoro, qui il terreno è abbastanza malleabile.”
Mentre lavoravano, i tre uomini recitavano salmi, mentre le fiaccole tremavano e si riflettevano sulle pozzanghere. Modellarono la figura di un uomo, un gigante di terra con il volto rivolto verso la volta celeste oscurata dalle nuvole e dall’iniquità della città. Rabbi Löw incise con precisione la sua fronte.
Emeth.
A turno, uno degli officianti girò intorno alla figura senza vita del Golem, mentre gli altri recitavano lo Zirufim dettato dalla stessa voce di Dio.
Quando Jizchak ebbe compiuto i suoi sette giri, la terra divenne rossa come il fuoco. Poi toccò a Jakob e il corpo si raffreddò con lo scorrere dell’acqua, portando con sé capelli e unghie. Infine Rabbi Löw compì lo stesso rituale. Al termine inserì la pergamenta con lo Schem nella bocca inerme del Golem. Si inchinarono a Oriente e Occidente, Settentrione e Meridione. Poi all’unisono, parlarono.
“E soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.”
Il Golem aprì gli occhi e si guardò intorno, attonito.
2.
“Alzati sulle tue gambe!”
Sono le prima parole che sento. Davanti a me tre uomini mi osservano. Il più anziano, al centro, mi ordina di levarmi da terra. Domande senza risposta rimangono congelate nella mia bocca di pietra.
Mi offrono vestiti e io li indosso, vergognandomi della mia asessuata nudità.
“Seguici. Io sono Rabbi Löw. Ti abbiamo formato dalla terra e quindi dovrai sempre ubbidirmi. Un grande pericolo pende sui capi di noi ebrei. Un mago, un negromante, vuole distruggerci.”
Ascolto le sue parole e annuisco. Può dunque essere considerato mio padre questo piccolo e anziano uomo?
“Ti chiameremo Josef, per tutti sarai uno straniero muto accolto nel Rabbinato e che si è reso disponibile a servirlo. Qualsiasi cosa ti chiederò tu la eseguirai. Gettati nel fuoco, affonda nelle acque del fiume. Mai opporrai resistenza.”
Sono uno schiavo, non un figlio prediletto.
“Non c’è abisso in cui non ti calerai, né mura troppo alte da cui cadere. La tua vita è mia… nostra. Difenderai gli Ebrei dalle persecuzioni, perché questo è lo scopo che l’Altissimo ti ha assegnato.”
Il mio capo si muove in un gesto di assenso. Non riesco a provare paura, né rabbia, verso quest’uomo.
“Il tuo nemico è Taddeo, il negromante servo dell’Imperatore. Dovrai combattere le sue creature, fare la guardia durante la Shabbat. Mi capisci? Dovrai morire per noi, se necessario. Josef, sei un guerriero. Combatterai per la nostra salvezza.”
Continuo ad annuire. Parole scorrono nella mia mente come un grido silenzioso.
Benedetto il Signore, mia roccia, che addestra le mie mani alla guerra, le mie dita alla battaglia, mio alleato e mia fortezza, mio rifugio e mio liberatore, mio scudo in cui confido, colui che sottomette i popoli al mio giogo.
3.
“Maestà, sono costretto a insistere.”
L’uomo, ingobbito sotto il pesante mantello, non nascose un’espressione di stizza. Il Romanorum Imperator lo osservò severo, poi fece segno a tutti di uscire.
“Taddeo, vi state mettendo in imbarazzo da solo. Oltretutto davanti ai vostri stimati colleghi.”
“Astronomi, alchimisti e medium. Non sono miei pari.”
“Ho radunato sotto la mia protezione intellettuali e studiosi del calibro di Von Kepler e di Brahe. Conoscitori dell’occulto come Dee e Kelly. Per non parlare degli studi che Sendivogius ha compiuto negli anni…”
“Grandi nomi, ma tutti di passaggio. Le stanze del castello brulicano di ciarlatani e falsi amici, non sono degni dello sguardo dell’Imperatore.”
“La vostra superbia è degna di quella di Lucifero in persona. Devo ricordarvi che siete mio ospite ma che posso cambiare idea e rispedirvi ad Ancona, il Santo Padre ne sarà lieto. Se non ricordo male siete accusato di stregoneria in patria.”
Per un attimo Taddeo pensò ad una risposta, ma capì di essere sotto scacco.
“Chiedo perdono. Gli ebrei del ghetto stanno architettando qualcosa, dobbiamo intervenire.”
Rodolfo non fece nulla per nascondere il fastidio.
“Non provo una particolare stima o interesse verso gli ebrei. Ma Löw e la sua comunità sono sotto la mia protezione. Inoltre, il Rabbino è un profondo conoscitore della Qabbalah e dei segreti della Torah, argomento che per me è di notevole interesse.”
“Sono pericolosi.”
“Sono ricchi. E pagano più tasse di chiunque altro qui a Praga.”
“Essi mettono a rischio Voi e alla Sacralità dell’Impero. Ne sono sicuro. Questa notte ho avvertito qualcosa.”
“E che cosa? Inizio ad annoiarmi.”
“Magia nera.”
“Puoi provarlo?”
“Non ancora… ma ho le mie spie nel ghetto. Presto sarete informato.”
L’Imperatore si limitò ad annuire e con un gesto della mano lo liquidò. Taddeo uscì a capo chino, ritirandosi per leccarsi le ferite nell’orgoglio.
Non c’è spazio per quei ratti a Praga, continuava a ripetersi. Rabbi Low soffrirà quanto ho sofferto io per causa della sua gente.
4.
La soffitta, la mia casa, è buia. Forse è fredda, ma non posso sentire il brivido del vento sulla pelle, né posso chiudere gli occhi per concedermi il sonno. Rabbi Löw mi parla, mi spiega che le porte del ghetto si chiudono al tramonto e così rimangono fino all’alba. Scendiamo le scale che cigolano sotto i miei pesanti piedi d’argilla.
“L’Angelo della Morte si è presentato alle porte del ghetto. Ma non è venuto a reclamare le vite di noi vecchi e stanchi. Sono i bambini a essere strappati alla loro giovane esistenza. Ogni ora di ogni giorno portiamo i nostri piccoli al bethechajim per la sepoltura. Dietro questo non possono che esserci i malefici di Taddeo, che tra tutti i consiglieri occulti dell’Imperatore è colui che più odia noi ebrei.”
Annuisco e nella mia mente chiedo all’Altissimo risposte. Seguo Rabbi Löw all’interno della Sinagoga dove diversi rappresentanti della comunità stanno pregando per lo Yom Kippur, il giorno della Riconciliazione.
Che le preghiere possano finalmente allontanare da questa comunità l’orrenda pestilenza che li perseguita? Cosa posso io, essere di terra e fuoco e acqua e aria, contro la piaga che li affligge?
Lo vedo accadere davanti a me. Un uomo fa cadere la Torah riportandola nell’Arca Santa. Mentre i partecipanti alla funzione indietreggiano spaventati, io ho una visione.
Vedo intrecci di corpi e sudore, comportamenti lascivi e peccaminosi.
Non commettere adulterio.
Mi muovo, mentre gli altri rimangono come statue di carne al centro della Sinagoga, verso la grande libreria. Prendo il libro di preghiere e lo apro.
“Josef, quello che mi stai mostrando è il capitolo della Torah di oggi.”
Insisto e indico il capitolo.
“Le lettere che mi indichi sono l’abbreviazione del versetto non giacere con la donna del tuo prossimo per non diventare impure a causa sua.”
Annuisco, comprendo. Ma Löw scuote la testa e ripone la pergamena caduta e il libro.
Mi prende per il braccio e mi porta fuori.
“No, non accetto questa tua indisponenza. Cosa significa quel tuo gesto?”
Non posso che gesticolare, senza potermi far comprendere.
“Se quell’uomo è un adultero lo scoprirò. Il tuo compito è di difendere il ghetto dalla stregoneria di Taddeo, non di indagare su peccati che al confronto sono poca cosa.”
Sono un fremito di frustrazione, dietro le mie palpebre d’argilla. Mi sento osservato, una sensazione mai provata.
L’arrivo di corsa di Jizchack interrompe la monodirezionale discussione.
“Rabbi Low, devo parlarti.”
“Genero mio, sono sempre pronto per te.”
“Non sono belle notizie, si tratta del cimitero.”
“Che succede al Betchajim?”
“Le tombe sono scoperchiate, guarda questo Tachrichim.”
Il Rabbino osserva severo il telo funebre.
“Questo è di un bambino.”
Jizchack annuisce. Io scuoto invano il capo. Nessuno può ascoltare le urla dentro di me.
5.
Jizchack e il suo discepolo Jakob attesero a lungo in un angolo oscuro del cimitero. La figura imponente del Golem alle loro spalle non poteva rassicurarli dopo le voci che avevano udito su quello che, la notte, infestava quei luoghi.
Quando l’orologio del Municipio ebraico battè i dodici colpi, iniziò l’oscura danza notturna.
Bambini, avvolti in candidi sudari ma dalla pelle orrendamente sfigurata da piaghe e gonfiori, uscirono dalle loro tombe e volteggiarono in lungo e in largo.
La richiesta di Löw era chiara: dare la pace a quei poveretti e il Golem era lì proprio per quella ragione. Jizchack gli fece un gesto e l’essere creato qualche notte prima, entrò a grandi passi tra le tombe e le lapidi rovesciate.
Jakop guardò il suo maestro.
“Jizchack, secondo voi sa che cosa sta facendo? Ha… un’anima?”
“Non lo so Jakob, spero proprio di no”, pianse.
Davanti a loro il Golem brandiva una lunga spada ed eseguiva alla lettera le indicazioni date dal Rabbino.
Nonostante la stazza, si accostò velocemente ai piccoli esseri fluttuanti e verificò che essi erano realmente fatti di carne e ossa, non erano semplici spiriti evocati da un’illusione. Li decapitò, li fece a pezzi, soffrendo all’interno del suo petto d’argilla.
L’antico cimitero si tramutò in capo di battaglia. Rabbi Löw gli aveva procurato una spada, forgiata da uno dei più talentuosi armaioli di Praga. Essa era leggera e tagliente. Nessuno gli aveva insegnato a combattere, eppure sembrava nato per quel mestiere infame.
Menò fendenti e colpì di tondo sui piccoli nemici. Essi provarono ad afferrarlo e a trascinarlo all’interno delle fosse, ma il Golem resistette a ogni assalto.
Dopo alcuni minuti di violenza, il silenzio.
Quando ebbe completato il suo lavoro, ripose i piccoli corpi nelle loro tombe e tornò verso i due uomini. Gettò le armi a terra e se ne andò fuori dalle mura che delimitavano il cimitero.
“Maestro,” spezzò il silenzio Jakob, “cosa abbiamo fatto?”
Jizchack scosse la testa e diede una pacca sulla spalla del suo discepolo.
“Abbiamo dato pace a quelle povere anime. Ci sono castighi peggiori della morte.”
6.
La notte è tiepida sulla Breite Gasse. Nel silenzio del ghetto, il leone con il grappolo d’uva simbolo della famiglia Löw da generazioni, veglia sull’oscurità.
Mi guardo intorno e la casa è silenziosa. Jizchack e il suo discepolo, il Levita Jakob, sono seduti e tremano nell’attesa. Da poco il Municipio ha suonato la prima ora. Rabbi Löw cammina nervosamente, gettando sovente lo sguardo al Tachrichim riposto sul tavolo. In mano uno strano macchinario.
“L’ho costruito io stesso. Se la Morte si avvicinerà a noi, suonerà come un vecchio orologio. Di solito lo uso per evitarla, oggi spero che mi riveli quando si presenterà.”
Io cerco di ripulirmi dal lerciume e dalla decomposizione, ma più che la sporcizia sul mio corpo d’argilla è l’oscurità della mia anima a infastidirmi. Sempre che io ce l’abbia.
Il macchinario suona piano la sua letale melodia. Lo spettro appare dal nulla, silenzioso e terribile, come la visione di Giobbe.
Nei fantasmi, tra visioni notturne, quando grava sugli uomini il sonno, terrore mi prese e spavento e tutte le ossa mi fece tremare.
“Ridatemi il mio Tachrichim.”
Solo Löw è autorizzato a rispondere.
“Infante, creatura dannata, cosa vuoi da noi?”
“Voglio il mio telo per poter tornare a riposare con i miei compagni di giochi. Il vostro servo ci ha ridato la pace, ma io non posso tornare indietro senza il mio Tachrichim.”
“Tu sai perché siete tornati dalla tomba? E perché l’Angelo della Morte si accanisce contro di voi piccoli?”
“Un grande peccato verte sulla comunità, il vostro Golem non ve l’ha forse indicato? Le nostre danze sono espiazione per esso.”
“L’adultero?”
Rise sguaiatamente. Un verso osceno e terribile, come di una voce non sua.
“Non mi è permesso rivelare altro. Ridammi il mio Tachrichim.”
Confuso, il Rabbino restituisce il telo funebre nelle mani del giovane che, nel nulla, sparisce.
Collerico, riprende.
“Jizchack, Jakob… e anche te Josef. Domani mattina andremo alla casa dell’uomo che oggi ha fatto cadere la Torah per chiedere spiegazioni.”
7.
Quando Rabbi Löw uscì sul vicolo principale del ghetto, la Breite Gasse è uno scorrere costante di persone indaffarate.
Tutti conoscevano Jehuda Löw e lo salutavano calorosamente, allargando il buongiorno anche a suo genero Jizchack e al Levita. Ma nessuno capì chi fosse il grande uomo incappucciato alle loro spalle, silenzioso e dalla carnagione scura.
“Sei sicuro che sia questa la casa Jizchack?”
“Sì, Rabbi.”
“Allora facciamo quello che dobbiamo. Jakob, attendi qui con Josef e tenete lontani i curiosi. Siamo qui per una visita di cortesia, ricorda.”
“Sì, Rabbi Löw, farò ciò che mi avete chiesto.”
Bussarono, ma nessuno venne ad aprire.
“Forse dormono o sono già tutti usciti.”
In quell’istante, sentirono i pesanti passi del Golem alle loro spalle. Con una spinta fece scattare la porta d’ingresso. Löw e Jizchack entrarono, silenziosi.
Lo spettacolo che gli si parò davanti fu inatteso. Nella camera da letto, incrociati in umidi e languidi abbracci vi erano non la coppia di sposi, ma bensì quattro persone.
Il sonno dell’ebbrezza li cullava e non poterono sentire la porta che veniva forzata né i passi sulle scale di Löw e di suo genero.
“Rabbi, tutto questo è immorale.”
“Sono due coppie sposate Jizchack. Ciò rende la loro nefandezza ancora più gravi. Hanno portato, con il loro comportamento, la pestilenza nel ghetto.”
Prese un respiro di rabbia e poi urlò.
“Josef!”
Il Golem salì le scale che scricchiolavano sotto il suo peso. Sconvolti dall’urlo improvviso e dal brusco risveglio, i quattro peccatori si coprirono come poterono, piagnucolando preghiere nei confronti dell’Altissimo e del saggio Rabbi Löw.
“Portali di sotto, in strada, che tutti vedano che stiamo punendo questo scandalo. Che essi siano banditi dal ghetto e dalla Sinagoga. Come vi chiamate, donne?”
Una di esse, piangendo rispose.
“Io sono Ella, mentre lei è Bella.”
“E allora io vi dico che da oggi questo sarà chiamato Vicolo Belele, ad imperituro ricordo e come monito per tutte le generazioni che verranno. La lussuria che in questa casa ha padroneggiato, oggi avrà termine.”
Il Golem si liberò dell’ingombrante mantello e trascinò senza fatica tutti e quattro i partecipanti alle orge notturne che stavano condannando la comunità ebraica.
Li sbattè a terra, esposti al pubblico scherno. Ma prima che Rabbi Löw riuscisse a proclamare la condanna, una carrozza apparve sulla strada principale.
Da essa scese Taddeo d’Ancona, consigliere dell’Imperatore. Al suo seguito alcuni dignitari. Testimoni.
“Bene, bene, bene, Jehuda Löw, che cosa abbiamo qui?”
Il Rabbino capì che qualcosa non andava e si prostrò.
“Consigliere, applichiamo le leggi del nostro Municipio, come è nostro diritto. Le persone che vede hanno…”
“Non mi interessa quali porcherie esse possano aver commesso. Sono più interessato alle vostre, Rabbi.”
“Di cosa parlate?”
Una folla iniziò a radunarsi intorno a loro.
“Stregoneria. Necromanzia.”
“La vostra è una grave accusa, noi non pratichiamo arti oscure.”
“E quel fantoccio animato che cos’è?”
Indicò il Golem.
“Non è come pensate.”
“Oh, è esattamente quello che penso” si scambiò occhiate d’intesa con gli altri dignitari, “e non piacerà all’Imperatore né al Santo Padre che lo ha benedetto.”
“Taddeo, è tutto un equivoco” riprese Löw colmo di rabbia.
“Lo vedremo. Oggi riferirò a Sua Maestà e se tutto va come credo, non ci sarà nessun luogo in tutta la Boemia che desidererà più ospitare voi feccia israelita.”
“Non hai il diritto di entrare in questioni private del ghetto, c’è un fine superiore…”
Il consigliere si voltò e tornò alla carrozza con i suoi dignitari, scortati da un paio di guardie divertite.
“Goditi questa lunga giornata, punisci i tuoi simili come preferisci. Ma domani è Shabbat, chissà che la giustizia dell’Imperatore non vi colga proprio nel riposo.”
“Sarebbe vile.”
“Sarebbe” fissò il suo sguardo arcigno sul Golem dietro Rabbi Löw, “sarebbe giusto.”
8.
L’attesa è infinita. Attendo, mentre il ghetto va a dormire in silenzio, tra le preghiere recitate a bassa voce. Oggi è Shabbat, il giorno di riposo, ma non per me.
Osservo Rabbi Löw, i suoi modi gentili verso sua moglie Perle. Accorgendosi dei miei vuoti e immobili sguardi, inizia a parlarmi.
“Sai, Josef, il mio fidanzamento con Perle non è stato proprio convenzionale. Suo padre era un uomo molto ricco e devoto, si chiamava Reich Schmelke. Eravamo promessi sposi, io e sua figlia. Io a quel tempo studiavo a Lublino, in Polonia, alla scuola di Rabbi Solomon Lurje. Nel frattempo, ero poco più che diciottenne, una grande sfortuna si abbattè sul mio futuro suocero. Mi scrisse una penosa lettera dove mi spiegava che non avrebbe potuto fornire la dote per sua figlia e che, se volevo, potevo considerare nullo il patto stipulato. In quella occasione forse è stata la prima volta che mi sono affidato completamente a forze superiori alla mia. Avevo studiato tanto, ero un esperto di scienza ebraica e di Qabbalah, ma non avevo mai messo alla prova la mia Fede. Comunicai a Shmelke che avrei considerato nullo il fidanzamento solo nel momento in cui la bella Perle si sarebbe sposata.”
Annuisco, cercando di capire il fine di questo lungo racconto.
“A quel punto, la famiglia di Reich Schmelke necessitava di un ulteriore sostentamento, quindi Perle aprì un piccolo negozietto dove vendeva pane, sale e altri generi alimentari, perché il denaro iniziava a scarseggiare. Non voglio esagerare, ma credo siano passati così ben dieci anni. Alla scuola mi chiamavano il bochur perché ero ancora scapolo alla mia età. Un giorno come tanti, un uomo si presentò al negozio di Perle, ma disse di non avere denaro. Doveva essere un soldato o qualcosa del genere. Chiese di poter barattare la sua sella con del pane e Perle accettò. In una tasca interna, poco dopo, trovò una grande quantità di ducati d’oro, abbastanza per riprendersi dalla miseria e per ripristinare la dote. Il buon Schmelke è convinto che l’uomo che quella mattina si era presentato al negozio fosse il profeta Elia in persona. Io non so se questo sia vero, ma ci insegna una grande verità: dobbiamo affidare il nostro destino nelle mani dell’Altissimo, la soluzione arriverà.”
Faccio un gesto eloquente, ho compreso finalmente. La famiglia di Löw se ne va a dormire. Io, nella mia veglia imperitura, mi incammino per le strade del ghetto. Porto con me la spada che mi è stata fornita, ma basterebbero le mie dure mani di pietra per sottomettere ogni uomo.
Entro nella Sinagoga, come guidato dall’abitudine. Le candele sono accese e così rimarranno fino al tramonto prossimo.
Un tonfo rimbomba nelle mie orecchie, uno dei libri è caduto dalla biblioteca.
Forse è stato un topo o è stato mal riposto da qualcuno.
Nel raccoglierlo, sento il fuoco che mi ha dato la vita ardere dentro di me. La mia mente vaga al di sopra della città fino al Castello per rivelarmi la verità.
Adonai investigami e mettimi alla prova. Purifica col fuoco la mia mente e il mio cuore.
La Verità dell’Altissimo mi è chiara e tremenda. Non solo fiamme ma fiume in piena. Vento che scuote le cime degli alberi. Il terremoto che distrugge.
Corro fuori dalla Sinagoga e attraverso nella mia foga tutto il quartiere ebraico. Le porte chiuse del ghetto sono solo un inutile rallentamento, colpisco ed esse crollano.
Una trappola e noi ci siamo cascati. Se stanotte fallisco, domani sarà comunque la fine della comunità.
Non rallento, come le acque del Moldava che mi accompagnano alla mia destra, antiche come il fiato che mi ha dato la vita.
Le guardie sul Ponte Carlo sono addormentate, appoggiate sulle loro stesse picche.
Mi sono risparmiato almeno due vite.
Davanti a me la sagoma del Castello violenta il firmamento, ma esso non è il mio obiettivo, né lo è l’Imperatore.
Rabbi Löw mi aveva spiegato della schiera di piccole abitazioni, dove le ventiquattro guardie di Rodolfo II risiedono con le loro famiglie. Ma quella strada è chiamata, così dice il mio Maestro, anche Vicolo degli Alchimisti.
Lì riposano la masnada di ciarlatani e buffoni che pretendono di dare l’immortalità e la ricchezza all’Imperatore. Tra loro, anche il negromante, Taddeo, l’italiano traditore.
La mia forza e agilità sono superiori a quelli di ogni uomo. Salto le palizzate e i muri di protezione, silenzioso. I miei passi d’argilla non sono passi dumani, non desto sospetti, nessuno mi ferma.
Come se conoscessi da sempre Hradčany, il quartiere che circonda il Castello, riesco a raggiungere il vicolo. Ma non ho bisogno di trovare Taddeo, perché lui trova prima me.
“Ti stavo aspettando, Golem.”
Come è possibile?
“Non sono un ciarlatano come gli altri, ecco come.”
Può udire i miei pensieri.
“Sì. Sei qui per uccidermi.”
Non vorrei.
“Hai paura del Giudizio. Non uccidere. Non è forse uno dei tuoi comandamenti?”
Smettila, fai silenzio. Mi avvicino. Ti esorto a ritirare le tue accuse. Mi hanno creato per difendere il ghetto. Non sono una minaccia né per te né per l’Imperatore.
“So che tu sai, Josef il Golem di Praga, fingi di non conoscere le mie colpe. Questa città è corrotta. Il Castello è abitato da ogni tipo di adoratore dell’occulto. Uomini si perdono ogni notte nei bordelli compiendo le peggiori porcherie. Assenzio, oppio e altre droghe sono la quotidianità. Credi che ci voglia molto a Löw per arrivarci?”
Quello che penso io non conta. I morti sono venuti a parlarci, perché non dovrebbe credere a quelle povere anime?
“I morti. Essi dicono esattamente quello che voglio io. Sono padrone della vita e della morte. Il tuo uomo, quello che ha fatto cadere la Torah, era un porco e avete fatto bene a punirlo, immagino che tu abbia avuto una qualsivoglia ispirazione divina per comprenderlo. Devi aver provato anche gusto a trascinarli nudi come vermi in strada. Ma anche il tuo vendicativo Dio da Antico Testamento non è così crudele da sacrificare bambini per un peccato di adulterio.”
Allora è vero. Hai portato tu, Taddeo, la morte nel ghetto. Aveva ragione Rabbi Löw. E sei stato sempre tu, negromante, a riportarli in vita e a tormentarli.
Stringo forte l’elsa della spada, così tanto che ho paura che si sbricioli tra le mie mani d’argilla. Mi guardo intorno, le guardie stanno dormendo nelle loro piccole abitazioni.
“Nessuno verrà in mio aiuto, Golem. Almeno non le persone che vivono in queste abitazioni. Le ho stregate, così da poter compiere tutto quello che mi aggrada nella notte. Posso venire nel vostro ghetto e maledire il cimitero, posso far parlare gli spiriti con la mia voce. Entrare e uscire dal Castello senza essere notato. E posso fare anche questo.”
Dagli angoli oscuri del vicolo emergono silenziosi esseri che un tempo furono uomini, brandelli di carne e vestiti incrostati di sangue rappreso e liquami.
“Un esercito nato dalle fosse comuni. Ladri e vagabondi, assassini e portatori di Morte Nera, il cuore pulsante del Sacro Romano Impero.”
Uomo, pazzo e dannato. Perché lo stai facendo, perché gli ebrei del ghetto?
“Perché gli ebrei mi hanno portato via tutto. Quando c’è da scegliere tra la pietà e il denaro, tra Gesù e Barabba, tra la Fede e un vitello d’oro, sanno sempre bene verso chi puntare il dito.”
Quello che possono averti fatto, quello che possono averti tolto, non vale la vita di quelle persone.
“Josef, ragioni come il neonato che sei. Io posso sopportarlo, ho corrotto la mia anima, sono chiamato Fratello dall’Angelo Caduto. Vivo per la vendetta, per il nome della mia famiglia uccisa dalla povertà e gli stenti. Brinderò con il sangue degli strozzini e mi nutrirò delle loro carni nel giorno della Shabbat. Vuoi fermarmi? Provaci.”
I non-morti attaccano, mi sorprendono. Sento schegge della mia carne d’argilla saltare nella notte come pezzi un vaso che si rompe sul pavimento. Alzo la spada e colpisco. Posso ferirli ma non si arrestano. Ma neanche loro riescono a fermarmi. Poi capisco.
Non scapperai.
Mi scrollo di dosso gli esseri che mi circondano e punto sul negromante. Quei resuscitati, sono solo un diversivo.
Vi disperderò fra le nazioni e vi inseguirò con la spada sguainata; il vostro paese sarà desolato e le vostre città saranno deserte.
La mia corsa si interrompe a qualche passo dal mio nemico. Ride e si prende gioco di me.
“Puoi recitare il Levitico quanto vuoi per gongolarti di essere prediletto dal tuo Dio. Ma la mia forza è comunque più imponente e terrena della tua.”
Sento i cadaveri rianimati che mi rincorrono.
Quanto poi sono diversi da me?
Taddeo bestemmia il nome dell’Altissimo, insulta i miei creatori e tutto il Popolo d’Israele.
Sento lo Spirito risvegliarsi in me. Può sentire i miei pensieri. Il Metatron si sposta di lato, si inchina dinnanzi a Colui che lo supera, smette di intercedere. Chiudo le orecchie della mente, lascio che la Sua Voce scorra come fuoco e acqua e aria attraverso il mio corpo di terra.
La parola che pronuncia è irripetibile e impronunciabile.
Il tuono quieto del Verbo penetra la mente e le carni di Taddeo d’Ancona, il negromante al servizio dell’Imperatore Cristiano. Muore, il suo capo diventa una pioggia di carne e sangue e cervella. E con lui tornano al riposo i suoi servitori, nuovamente cadaveri.
Lascio cadere la spada, ormai inutile. All’alba si accorgeranno che il consigliere di Rodolfo II è morto e la colpa cadrà, di nuovo, sugli abitanti del ghetto.
Come posso riportare la Giustizia quando io ho stesso ho commesso peccato dando la morte al mio nemico?
Il mio cuore torna alle scritture, che ho appreso nel momento stesso in cui sono stato creato. E capisco.
9.
La Shabbat era conclusa da qualche ora. Per tutto il giorno la città era stata in fibrillazione: Taddeo d’Ancona, uno dei consiglieri dell’Imperatore, era stato ritrovato, o almeno quello che ne rimaneva, vicino agli alloggi delle guardie. Il vicolo colmo di cadaveri in putrefazione.
Per il rispetto che portava per Rabbi Löw, Rodolfo II aveva deciso di rispettare il giorno di riposo e di convocare per la domenica il rappresentante della comunità ebraica, principale indiziata dell’atroce e incomprensibile delitto. Era chiaro che il ghetto sarebbe stato sgombrato e gli abitanti cacciati da Praga.
L’alba non era ancora sorta quando Löw, suo genero e il Levita si radunarono presso la soffitta della Sinagoga.
“Rabbi, siete sicuro di quello che stiamo facendo?” lo interrogò Jizchack.
“L’idea è di Josef stesso. Se uno farà una lesione al suo prossimo, si farà a lui come egli ha fatto all’altro: frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente; gli si farà la stessa lesione che egli ha fatto all’altro. Così faremo noi.”
Rimasero in silenzio e iniziarono a pregare. Il Golem, immobile sulla panca su cui era adagiato, attendeva la sua fine.
Li vide e ascoltò l’opera di distruzione, una macabra riproposizione al contrario della preghiera che lo aveva animato. Al termine del rituale, mentre i tre officianti si trovavano in piedi vicino al suo capo, Rabbi Löw trasformò la parola sulla fronte del Golem da emeth a met. Da Verità a Morte.
“Jakob coprilo con mantelli da cerimonia e con quei vecchi libri, nessuno deve sapere. Jizchack, domani diremo a tutti che la soffitta non deve essere più utilizzata, neanche per riporre i vecchi testi. Sigilleremo l’entrata e rimuoveremo le scale. Nessuno dovrà venire a disturbare il sonno di Josef, unico Golem di Praga.”
“Bene” il genero annuì “speriamo che tutto questo sia almeno servito a qualcosa.”
“Lo scopriremo presto Jizchack.”
Quello che non potevano sapere in quel momento era che l’Imperatore Rodolfo II, nel suo morbido e sontuoso letto, stava sognando. Si era coricato molto tardi, con il gravoso peso dell’esilio del popolo ebraico firmato di suo pugno e del conseguente allontanamento della loro guida Rabbi Löw, da cui aveva sperato di poter comprendere gli antichi segreti della Qabbalah.
Sognò.
Il cielo è vermiglio di sangue e di tragedia. Rodolfo è stanco per il lungo viaggio, la carrozza è scomoda ed è impaziente di arrivare al suo Castello. L’arsura lo attanaglia, il respiro inizia a mancare. Nella desolazione di quel paesaggio sconosciuto, vede un fiume limpido e maestoso.
“Fermati cocchiere. Che il mio seguito rimanga qui ad attendermi, ho bisogno di bagnarmi e rinfrescarmi.”
Si libera dei vestiti e si immerge, assapora la freschezza della corrente. Ma uscendo dal rivo, né i suoi vestiti, né la carrozza, tantomeno il seguito, sono lì ad aspettarlo.
“Ladri, vi farò impiccare davanti alla Chiesa di San Nicola!”
Si rende conto che, ignudo e senza protezione, non poteva tornare. Attende la notte e si incammina protetto dalle tenebre.
Lungo la strada incontra dei taglialegna, chiede loro aiuto ma essi lo pestano e lo scherniscono. Gli gridano pederasta e pazzo, quindi lo lasciano andare tra le risa.
Umiliato, prosegue. In lontananza le luci della città iniziano ad apparire più vivide.
Un mendicante gli si accosta e gli concede alcuni stracci per coprire le nudità, ma anche egli non crede alla sua storia e, con pietà, lo abbandona alla sua follia.
Continua la sua incessante marcia quando, davanti a sé, vede arrivare una carrozza. La blocca.
“Nobiluomo, riconoscete in me il vostro Imperatore. Mi hanno aggredito e abbandonato, vi chiedo solo un passaggio per la città”
“Vattene, perditempo. Sono stato appena a colloquio con Rodolfo II e la sua corte. Avreste dovuto vedere le sue vesti, sicuramente l’Imperatore non se ne va in giro coperto di stracci.”
La carrozza riprende la sua corsa, mentre egli capisce di essere stato ingannato e poi sostituito da un impostore. Unico posto dove nascondersi per quella notte è dietro le pesanti porte del ghetto.
Entra nel quartiere ebraico e si ferma davanti alla Sinagoga, dove ad attenderlo c’è la rassicurante figura di Jehuda Löw. I piedi sanguinano e le forze lo abbandonano.
Il Rabbino lo fa lavare e vestire, lo nutre e lo fa riposare. Poi l’Imperatore lo osserva e si lascia andare in un pianto.
“Cosa devo fare Rabbi Löw?”
“Se vuoi acciuffare un malfattore, torna nel luogo dove egli ti ha ingannato. Attendi la calura e compi il suo stesso peccato. Pareggerai il conto e tornerai ad essere l’Imperatore.”
“Grazie del consiglio, sei saggio come dicono. Ti ricoprirò d’oro per ricompensarti.”
“Non voglio oro né tesori. Solo la libertà di rimanere in questa città. Avete camminato a lungo per tornare a casa, sapete quanto sia duro il cammino, quanto sangue e dolore si debba lasciare per strada. Vorreste condannare tutta la mia gente? Questa è la vostra giustizia?”
L’imperatore abbassa il capo, poi annuisce. Il patto è siglato.
L’indomani fa esattamente quello che il saggio Rabbi Löw gli ha suggerito. Si nasconde nei pressi del fiume e attende il ritorno del suo usurpatore. Si riprende le sue vesti e scappa, facendosi riportare dalla carrozza al suo Castello. Nel tremore della cabina, il paesaggio cambiò.
Si svegliò, madido di sudore e in preda ai tremori.
La sala era gremita di gente. Le sue guardie personali erano armate e nervose per il brusco risveglio.
“Ho deciso di annullare l’espulsione degli ebrei dalla città. Non abbiamo prove, ora che Taddeo è morto, della pericolosità della creatura plasmata nel ghetto.”
Si alzarono timide proteste tra i più fidati consiglieri dell’Imperatore. Rodolfo II mostrò una pergamena.
“Mi è stata recapitata pochi minuti fa, Rabbi Löw ha dichiarato di aver distrutto il Golem e muove pesanti accuse su Taddeo e la sua magia nera. Tutti abbiamo visto gli abomini nel Vicolo degli Alchimisti e mi riferiscono che alcune fosse comuni siano state profanate. Non ho motivo per non credere al Rabbino. Qualcuno ha altro da aggiungere?”
La grande sala si riempì di silenzio.
Rodolfo II, regnante del Sacro Romano Impero, abbandonò la seduta sotto gli sguardi attoniti dei suoi consiglieri. Le sue guardie, che si erano destate quella mattina con i portoni e le finestre imbrattate di cervella e sangue, tirarono un sospiro di sollievo sentendo che quella strana vicenda si stava avviando alla conclusione.
Si ritirò nei suoi alloggi, provato. Si accostò al letto e raccolse gli stracci sul pavimento. Li teneva stretti, al risveglio dall’incubo della notte precedente.
Sto forse impazzendo? Forse mi sono spinto troppo oltre con i miei studi occulti?
Si inginocchiò per pregare, come non faceva da tanto tempo. Si rivolse al Cristo che lo osservava dal crocifisso, ma anche al Padre che gli israeliti chiamavano Yahweh. Invocò su sé stesso lo Spirito Santo. Confuso per i segni ricevuti, per il terribile incubo e per gli stracci che non dovevano essere nella sua stanza, si chiuse nell’ascolto.
Quali ombre ho attirato in questa città?
Non ebbe risposte, solo un vago sentore di qualcosa di profondamente sbagliato. Poi la voce lo destò.
“Il mio corpo è distrutto, ho udito la Voce dell’Altissimo. Sono privilegiato.”
“Non può essere… sei morto.”
“Sono stato salvato.”
“Salvato?”, l’Imperatore indietreggiò.
“Moloch mi ha voluto con sé. Ho visto il volto di Lucifero, Belzebù e Nahenia. Sono stato istruito da Belphegor e Asmodeo e Baal. Ho imparato da Adramelech e giaciuto con Lilith. Ma è Astaroth che mi ha dato un nuovo scopo.”
“Che cosa sei diventato, Taddeo?”
“Puoi chiamarmi spirito, demone, gamchicolh. Ho tanti nomi. Sono tutto e non sono niente.”
“Cosa vuoi da me?”
“Vederti sprofondare nei dubbi e nella vanità.”
Rodolfo si coprì gli occhi con gli stracci che stringeva ancora in mano. Quando li riaprì, il demone era sparito.
Riprese a pregare, terrorizzato.
10.
Il messaggero si presentò presto sulla Breite Gasse, alla porta di Rabbi Löw?
“L’Imperatore ha annullato il decreto di espulsione e desidera rinnovare il rispetto verso di voi e la vostra gente. Confida nel potersi confrontare con voi su certi argomenti di cui non è bene parlare qui in mezzo alla strada.”
Rabbi Löw ringraziò, con la promessa di inviare una lettera a Rodolfo II a nome della comunità. Tornò in casa e comunicò la notizia a Perle. Piansero insieme per il pericolo scampato e per la salvezza della loro gente.
Fece chiamare Jizchack che, come d’abitudine, arrivò accompagnato dal suo discepolo.
“Dobbiamo avvisare tutti che la grande minaccia è passata. Non vi saranno più né morti né punizioni. Il ghetto è salvo”, si entusiasmò il genero.
“Le persecuzioni per il nostro popolo non hanno mai fine, questa volta ce l’abbiamo fatta grazie al sacrificio di Josef, un giorno potremmo non essere così fortunati.”
“Se è per questo Rabbi”, si intromise il Levita, “noi abbiamo sempre una speranza in più, nascosta in bella vista all’interno della Sinagoga”.
Per un attimo il Rabbino pensò alla soffitta oscura dove un gigante d’argilla riposa per l’eternità, protetto dalle preghiere e dalla gratitudine del ghetto ebraico di Praga e di chi lo abita.
FINE
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