Articolo di Saverio Paletta, tratto dalla rivista Antarès.
A un primo impatto, il carteggio tra David Hume e Jean-Jacques Rousseau ricorda una commedia degli equivoci vecchio stile: dietro raccomandazione della contessa di Boufflers, di cui era follemente innamorato, Hume accoglie in Inghilterra Rousseau, fuggiasco dalla Francia per sottrarsi a un ordine di cattura. Questi ricambia l’accoglienza nel suo solito modo, a dir poco bizzarro (e noto, c’è da dire, all’intellighenzia europea della seconda metà del Settecento): dapprima ostenta la più grande, affettuosa riconoscenza; poi, in seguito alla pubblicazione di una lettera canzonatoria firmata Federico II di Prussia, ma in realtà opera dello scrittore Horace Walpole, inizia a sospettare del suo ospite e rompe l’amicizia con una serie di lettere violentissime, cui Hume replica con garbo, con il solo obiettivo di smontare le accuse dell’ex amico. Il filosofo scozzese, infine, dà alle stampe il carteggio, per evitare che il ginevrino renda pubblica la propria versione dei fatti e gli rovini la reputazione.
In Contro Rousseau, fresco di stampa per i tipi di Bietti, viene ripubblicato integralmente questo carteggio, la cui prima – e finora unica nonché, va da sé, introvabile – edizione italiana risale al 1767. Questa riedizione, un vero e proprio scoop editoriale, è stata diretta con gusto filologico da Spartaco Pupo, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università della Calabria.
Non è la prima volta che Pupo si confronta con il pensiero politico di Hume: già in Libertà e moderazione (Rubbettino, 2016), aveva fornito una rilettura originale del pensatore scozzese, secondo la quale il padre dell’empirismo sarebbe stato nientemeno che l’antesignano del conservatorismo, precursore di Edmund Burke. A questa lettura Pupo aggiunge elementi importanti nella prefazione a Contro Rousseau, significativamente intitolata Due pensatori agli antipodi nel secolo dei Lumi: proprio il paragone col teorico del contratto sociale rafforza la tesi del conservatorismo di Hume.
Vediamo come. Critico di quel contrattualismo che proprio in Inghilterra aveva avuto in Thomas Hobbes e John Locke due importanti precursori, Hume aveva un’impostazione fortemente storicista e si era formato sui classici della storia e del pensiero politico antichi, di cui – annota Pupo – era il maggior esperto della sua epoca. Rousseau, al contrario, attingeva ai legisti francesi e ai giuristi dell’età barocca. Non è un caso, allora, che il filosofo ginevrino faccia proprio il contrattualismo e, anzi, lo porti alle estreme conseguenze con un egualitarismo spinto e la nozione di volontà generale. Al contrario, il pensatore scozzese fonda l’autorità politica sul semplice possesso del potere, a prescindere dal modo in cui lo si è ottenuto. È appena il caso di notare come quest’ultima considerazione, con cui Hume si riallaccia alla grande tradizione del realismo politico, inizi un percorso di cui si avranno importanti tappe in giganti come Weber e Schmitt.
Ma la comparazione operata da Pupo ha un merito ulteriore: dilatare il concetto di Illuminismo. Un pensiero il quale, più che movimento culturale in senso stretto, è un metodo. Ed è un’acquisizione scientifica importante: vuol dire che la destra e la sinistra contemporanee sono nate dal brodo di coltura illuminista. Vi pare poco?
David Hume, Contro Rousseau, a cura di Spartaco Pupo, Edizioni Bietti, Milano 2017, pp. 152, € 14.