Botte al sole di Riccione. La Riviera Napalm di Mazza e Sensolini

Pubblichiamo la recensione di Riviera Napalm di Luca Mazza e Jack Sensolini, curata da Francesco Corigliano.


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Negli ultimissimi anni l’editoria italiana di genere sta assistendo ad una ribollente ed esplosiva primavera. Fantasy, fantascienza, horror e tutto ciò che usualmente si fa rientrare nell’etichetta di “fantastico” stanno traboccando fuori dalle tipografie del Bel Paese, lastricando una strada di pagine e inchiostro che corre dritta verso un modo tutto “italiano” di scrivere di mutanti, maghi e astronavi. Eppure, in questo florido e vario panorama ci sono delle idee che si distinguono per un carattere particolare, per un’intuizione irripetibile. Ad esempio, cosa succederebbe se si mischiasse l’atmosfera da Riviera Romagnola con il post-apocalittico più sfrenato, aggiungendo una buona dose di techno-thriller e una bella spolverata – ma forse più una colata – di cultura pop italica? Esattamente quello che ci si potrebbe aspettare: una deflagrazione spumeggiante di delirio, spari, tacchi a spillo vertiginosi e informità con troppe zampe.
Riviera Napalm è tutto questo: un romanzo che poteva nascere solo in Italia, profondamente radicato nelle ossa dello Stivale, in grado di prenderne le carni più deboli e i calli più duri per costruirci sopra un’impalcatura esagerata, spinta all’inverosimile ma in grado di raggiungere picchi sfavillanti.

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Le fondamenta sono costituite da un classico setting post-apocalittico: il mondo è sopravvissuto a un non meglio precisato Crollo, che lo ha lasciato boccheggiante, asfissiato dal caldo e piagato da mille tormenti – principalmente la diffusione del Mutagene, una sostanza in grado di alterare la natura degli esseri viventi. Nonostante il clima di stenti, brutalità e lotta per la sopravvivenza, però, nella Riviera di Mazza e Sensolini c’è tanta voglia di continuare a svagarsi, di andare sul bagnasciuga ad ammirare i canadair mentre irrorano l’Adriatico di Napalm (che non è vero Napalm, ma non ci sono parole migliori per descriverlo), di andare a vedere le corse di motociclette, di andare in discoteca atteggiandosi nel più ricercato stile tamarro. È nelle declinazioni, però, che sta tutta l’anima di Riviera Napalm: in spiaggia troviamo uno dei cloni del Cavaliere nazionale, tutto risistemato a protesi e pillole; le corse sono di mortociclismo, e si combattono a suon di sgasate, NOS e pistolettate, in un Mario-Kart revisionato e preceduto da obbligatorie preghiere al Sic e a tutto il pantheon di piloti divinizzati; e la discoteca è un “Cororicò” non-morto, locale sopravvissuto per decenni sotto le macerie dell’apocalisse, in una festa eterna e mutata che è stata riscoperta sotto la polvere e subito riadattata a tappa obbligatoria e di stile.

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Ma seguire lungo le pagine di Riviera i due protagonisti, il Cinno e il  Gasato, non è soltanto un tour attraverso la Romagna bestiale e platinata emersa dal pandemonio del Crollo; è anche l’azione degli inseguimenti in moto, le sparatorie in una Comacchio devastata, gli inquietanti scorci sui quadri interni della Koop, catena di supermercati e malvagità che vessa le terre bruciate dall’afa e che ti ferma ai posti di blocco per controllarti la tessera punti. E ancora il disturbante Vaticano di papa Bonificato I, un impero oscuro fatto di Inquisitori cyborg, robo-suore e mutanti alabardieri (forse l’elemento dai caratteri più grimdark di tutto il romanzo), una potenza che minaccia la linea Gotica e cui si oppone un esercito di sbandati – poco professionali ma decisamente avvezzi a menare le mani – che tra la lettura di un “hardmony” e un giro in palestra tentano di contenere gli attacchi dell’Antiuomo.
Il Cinno e il Gasato corrono attraverso questi paesaggi afosi, piagati dal sole e dal puzzo chimico, e in perfetta sintonia vivono avventure analoghe, ma dalle sfumature diverse: il Gasato ostenta un totale controllo della situazione, una padronanza della terra sporca di sangue e Tassoni della Riviera che si esplica in conoscenze, agganci, e letalità brutale – qualcosa di perfettamente sintetizzato dalla cerniera zip che ha sul collo, e che se aperta riversa una marea di acido (questo non metaforico) sui malcapitati. Il Cinno è altrettanto versatile, spesso spaesato dalle atrocità in cui lo trascinano i fatti ma del tutto in grado di risolverle a colpi di calibro 12, coltellate e un giusto movimento di tricipiti. Proprio attorno all’idea di palestra e di allenamento si sviluppa uno degli episodi più deliranti con protagonista il Cinno, incentrato su un culturista troppo pompato che dà adito a violenze mutanti e incontrollate, tra bilancieri e boccette di acqua quasi santa.

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Entrambi i personaggi sono accomunati dal sogno delle proprie ex, ragazze con cui hanno condiviso tutto (ma proprio tutto) e che, nonostante la mole inconcepibile di donne di cui i due protagonisti vengono investiti, restano come ossessioni nella loro mente. Una riedizione della donna angelicata stilnovista? Della principessa da romanzo cortese? Au contraire, giovani perfettamente consce di sé e a proprio agio tra le insidie turbolente del romanzo, muovono la narrazione – specie l’ “amata” del Gasato, Monica Pacciani –  non solo come oggetto desiderato, ma come vere registe o autrici.
A questo proposito, il romanzo ostenta una precisa consapevolezza dei propri modi (naturalmente poco galanti), addirittura mettendo in scena come personaggi il duo Mazza-Sensolini, figure oscure e tenebrose che appaiono saltuariamente a ricordare ai protagonisti cosa devono fare, assegnandogli missioni, oppure salvandoli da situazioni disperate. The show must go on, sempre, e i due scrittori intervengono di persona nella narrazione per dare un calcio al motore e far andare tutto verso la direzione giusta; nulla di cui stupirsi perciò se si sfocia persino nella citazione di titoli e nominativi relativi ad altre loro fatiche scrittorie fuori dal romanzo, in echi e rimandi sotto il segno della rissa spensierata.
Ma chi ritenesse queste intrusioni meta-letterarie (ma diremmo meglio ultra-letterarie) forzate o fuori luogo si sbaglierebbe di grosso. Riviera Napalm è, infatti, una grande spiaggia atta a contenere eccessi di ogni tipo riuscendo nella miracolosa impresa di non farli debordare. Tutto è estremo, tirato, e gli stessi stereotipi ne escono amplificati all’impazzata e stravolti: eppure non c’è alcun senso di attrito nel leggere di paninari mutanti alla disperata ricerca di Peroni, fatti a fette o impallinati appena dopo poche righe di scrittura, né a vedere i nostri eroi fare la fila per entrare in discoteche di lusso, del tutto indifferenti al tizio appena prima di loro che viene brutalmente mutilato. La Riviera è piena di piombo, inseguimenti in autostrada e prostitute mutate, mentre ogni pagina straripa di particolari acidi e scrostati, segni parodici dell’epoca contemporanea, accenni alla politica, alla televisione, alla pazzia di ieri, di oggi e del futuro; e tutto ciò regge, non trabocca fuori dalla rete, consentendo di calcare ancora di più la mano sulle idee più forti e sui passaggi migliori. Le svolte, i cambi improvvisi, le stesse intrusioni degli autori servono a mantenere ferma la macchina in carreggiata, poiché la pulsione principale del romanzo resta proprio quest’esercizio di stile perpetuo, questa carrellata continua di quadri al vetriolo pieni di grugni, spari, cazzotti e chincaglierie; la trama è una leggerezza attorno a cui far ruotare il sistema, un palo cui s’aggrappa una cubista con troppe membra, mentre continua a volteggiare sfolgorante. Tutto si presta ad una serie di episodi, un’intelaiatura solida nella quale incastrare pannelli di celluloide squagliata, brillante e caotica – tanto che c’è proprio da augurarsi un seguito del romanzo, la cui stessa natura permette un’espansione in ogni direzione. Chi, dopo aver letto il libro, non vorrebbe vedere una Venezia Napalm, una Milano al Mutagene o magari un Salento Cyborg?

Cyborg_0001.jpgPiù che un post-apocalittico, dunque, siamo davanti ad un punk­-apocalittico, una rivisitazione scanzonata di un genere che può dare ben di più delle solite distopie su tremendi stati opprimenti e delle classiche scampagnate tra gli zombie. In Riviera Napalm c’è l’Italia di oggi, quella più becera e squallida, che però è proprio quella che sopravvive al Crollo; e Mazza e Sensolini vogliono raccontarla tutta, peraltro utilizzando un linguaggio forse non punk ma quantomeno “gasato” esso stesso: un italiano aguzzo lanciato in staffilate brevi ed efficaci, ammortizzato da cuscinetti di dialetto romagnolo e da un mantra di marche, brand, nomi di città e di personaggi famosi che sfiora il rituale raggiungendo, talvolta, il rimbombo del mistico; a ciò s’aggiunga un’invenzione continua di mezzi neologismi, combinazioni quali il già citato “mortociclismo”, o le “motovendette” o la terribile città di “Crimini” che aggiungono un ulteriore dinamismo allo stile. La scrittura a quattro mani funziona alla perfezione, e i due autori sembrano davvero un uomo solo (come un mutante) nella stesura delle pagine – sebbene a ben guardare si possano riconoscere i tocchi personali, le sfumature dell’uno o dell’altro, tutte convergenti in questo pandemonio bollente che puzza di combustibile.
Riviera Napalm è, insomma, un caleidoscopio di fucili, corpi sudati, roghi di pneumatici e mostri con troppe bocche? Sì. Funziona, creando un’atmosfera che trattiene, intrattiene e addirittura affascina? Sì. È pieno, nonostante tutto ciò, di grandi scazzottate, di personaggi poco raccomandabili e di una notevolissima dose di divertimento? Assolutamente, totalmente sì. L’unico consiglio che si può dare è immergersi in questo bagno ribollente di Napalm e storie, attendendo la musica sparata per il prossimo ballo – ma senza scordare che, in Riviera, di liscio c’è solo il tuo teschio.

Francesco Corigliano

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