Cronache nemediane – Assedi e Bocche Inutili

Articolo di Gabriele C. Zweilawyer, tratto dal sito Zhistorica.


La gestione delle Bocche Inutili durante gli assedi trova pochissimo spazio nei libri di storia. Nel mio libro (ora diventato una serie di articoli gratuiti), Storia della Presa di Salamina e del Comandante Marcantonio Bragadin, ho inserito diversi box informativi per approfondire la trattazione della presa di Salamina (Famagosta), e in uno di questi ho trattato proprio le “Bocche Inutili”.

Non era raro che, durante un assedio, la preoccupazione maggiore delle autorità civili e militari fosse quella di mantenere un adeguato sostentamento per i combattenti. Per questo era necessario prendere provvedimenti nei confronti delle cosiddette «bocche inutili», ovvero coloro che consumavano le provviste senza dare alcun apporto alla difesa della città. Uno degli esempi più conosciuti riguarda, forse, la presa di Alesia da parte di Giulio Cesare, ma nel corso della storia ci sono stati centinaia di eventi simili.

Individuare chi dovesse rientrare in questa sfortunata categoria non era facile. Antonio Cornazzano, nel suo De re militari del 1476, inserì una simpatica rima per aiutare nella scelta: «Quando el raccolto pur non gli bastasse/ tutta l’età disutile a far facti/ per lo consiglio mio fora si casse/ femine, putti, vecchi, i ciechi, i matti
Di simile avviso era, un secolo e mezzo dopo, il cardinale Richelieu, che cosigliava una rapida espulsione degli inabili alla difesa per resistere più a lungo durante un assedio.

In ALFANI G.; RIZZO M., Nella morsa della guerra. Assedi, occupazioni militari e saccheggi in età preindustriale, Milano 2013, si trovano citati molti esempi di espulsione degli «inutili»: a Pavia nel 1359, a Novara nel 1495, a Siena nel 1554, a Malta nel 1565, e tanti altri. Per capire quale potesse essere l’entità numerica di questi soggetti, bisogna ricordare che la lista delle bocche superflue fatta redigere nel 1554 nella Siena assediata dall’esercito ispano-mediceo, contava circa 4.400 persone, ovvero il 15-20% della popolazione cittadina prima dell’assedio. Quanto a Famagosta, che nel 1570 contava 10.000 civili, secondo le stime del Riccoboni (probabilmente esagerate) il numero di espulsi raggiunse il 53% del totale.

Non sempre l’espulsione degli inutili aveva un esito positivo. Sappiamo infatti che durante l’assedio di Pavia, nel 1655, si misero alla porta 6.000 poveri disgraziati (contadini) che si erano rifugiati in città. La pena per chi non avesse ottemperato all’ordinanza era la morte, ma i contadini però non riuscirono a superare le linee nemiche e tornarono in città. Pavia li accolse di nuovo e le autorità municipali riuscirono, fra mille difficoltà, ad utilizzarli come guastatori dopo averli suddivisi in squadre e sottoposti all’autorità di un capitano.

mappa dell'assedio di Pavia del 1655
mappa dell’assedio di Pavia del 1655 (fonte: Università Goethe di Francoforte)
 Un Documento Interessante
Sull’Assedio di Pavia del 1655 è disponibile un ottimo approfondimento di Mario Rizzo, finanziato dall’Università di Pavia e disponibile gratuitamente in formato PDF, intitolato “Un’economia in guerra: Pavia nel 1655“. Sono solo venti pagine, ma trattano in modo veloce ed accurato una serie di problematiche relative alla gestione di una città sotto assedio.

A conclusione di questo breve articolo, vorrei riportare la testimonianza di Blaise de Monluc, governatore francese di Siena durante l’assedio del 1554. La traduzione è contenuta nel volume Il Grand Tour dei Cavalieri dell’Apocalisse: L’Italia del «lungo Cinquecento» (1494-1629)di Lorenzo Ioan (di cui consiglio caldamente l’acquisto):

Dopo la mia richiesta […] non si poterono facilmente accordare sulle bocche inutili, poiché l’uno voleva favorire l’altro, e votarono di nominarmi loro dittatore generale per la durata d’un mese […]. E nominai sei commissari per fare la descrizione delle bocche inutili, e in seguito affidai questa lista a una cavaliere di San Giovanni di Malta, accompagnato da venticinque o trenta soldati, per metterli fuori [dalle mura]: cosa che venne fatto entro tre giorni da quando gli avevo affidato la lista […]

Vi dico che la lista delle bocche inutili ammontava a quattromila e quattrocento o più; che di tutte le miserie e desolazioni cui ho assistito, non ne ho mai visto una simile, né spero vederla più: perché il padrone doveva abbandonare il suo servitore che era con lui da lungo tempo, la padrona la sua cameriera, e un mondo di gente che non viveva che del lavoro delle sue braccia; e per tre giorni furono desolazioni e pianti. Questa povera gente se ne andò incontro ai nemici, i quali li respinsero verso la città; e tutto il campo [nemico] rimase in armi notte e giorno […] li respinsero fino ai piedi delle mura, al fine che noi li riammettessimo dentro, per mangiare più rapidamente quel poco di pane che ci restava, e per vedere se la città si rivoltava per la pietà dei loro servitori e cameriere: ma [la città] non fece nulla, e questo durò otto giorni. [Gli espulsi] non mangiarono che erbe, e ne perirono più della metà; poiché i nemici li uccisero, e pochi se ne salvarono. Vi era un gran numero di ragazze e di belle donne; a queste era consentito il passaggio: poiché la notte gli spagnoli ne prelevavano qualcuna per i propri comodi, ma senza che lo sapesse il marchese, poiché ne andava della loro vita, e [si salvò] qualche uomo forte e vigoroso, che attraversò le linee e fuggì di notte; ma tutti costoro non furono neppure la quarta parte degli espulsi: tutti gli altri morirono. Sono le leggi della guerra: bisogna essere spesso crudeli, per avere la meglio sul proprio nemico. Voi, governatori e capitani […] non temete di sbarazzarvi delle bocche inutili; tappate le orecchie ai loro pianti: se fossi stato certo del mio coraggio, l’avrei fatto tre mesi prima: può darsi che avrei salvato la città […]; cento volte me ne sono pentito.

Anche Girolamo Frachetta,  ne Il Seminario de’ gouerni di Stato, et di guerra (1613), apre il capitoletto sull’Assedio Passivo (ossia “come resistere a un assedio) proprio con la prescrizione sulle Bocche Inutili “Quando in una città si crede di dover patire un lungo assedio, si deono mandar fuora le bocche inutili“.

Pietro Paolo Florani, grande ingegnere militare maceratese (1585-1638) e progettista della Linea Floriana a Malta, tratta l’argomento nell’eccellente opera Difesa et offesa delle piazze (1630). Nell’ottavo capitolo del Primo Libro, intitolato ” Se sia secondo la ragion di Guerra mandare fuori della città le bocche, o per l’età, o per il sesso inhabili.” Anche lui concorda che, per quando orribile possa essere cacciare via l’anziano padre, la moglie, il figlioletto o il servo, se questo è indispensabile a salvare la piazza, bisogna farlo senza dubbio. D’altronde, parliamo di una pratica sostenuta anche dall’enorme autorità di Vegezio e da numerosi esempi storici come quelli verificatisi a Platea prima dell’assedio spartano, a Roma, quando Belisario mandò a Napoli le bocche inutili prima dell’assedio goto, ecc.

bocche inutili assesio

Il Floriani da anche un’altra considerazione, questa volta relativa alle tempistica della cacciata. Le bocche inutili infatti devono lasciare la città, se possibile, prima che il nemico possa accorgersene, al fine di evitare che questi possa valutare lo stato delle scorte degli assediati. Proprio in ragione di ciò, il fratello di Marco Antonio, Lucio Antonio, rinchiusosi a Perugia nel 41 a.C. e con la popolazione ormai ridotta alla fame, ordinò che agli schiavi non fosse dato più nulla da mangiare. Ma ai poveri disgraziati fu impedito anche di uscire, perché non si voleva far sapere a nessuno dello stato in cui versava la città. Gli schiavi si ridussero a mangiare l’erba e molti morirono per strada. Il rimedio, fra l’altro, non servì a salvare la città (anche se resistette per diversi mesi).

 Insomma, la decisione sulle bocche inutili era una delle più spinose che potessero capitare al comandante militare di una città in procinto di essere assediata. Per fare la scelta giusta era necessario venire a patti con la propria morale in ragione dell’interesse militare.

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