Colosso nero parla francese: arriva in Italia, grazie a Star comics, il secondo adattamento di Robert E. Howard targato Glenat.
Colosso nero, il racconto pubblicato nel 1933 da Weird tales, ha avuto la fortuna di essere ridotto a fumetti ben due volte. La prima per la Marvel, con le matite di John Buscema, Alfredo Alcala e la penna di Roy Thomas; la seconda per la Dark Horse, grazie a Tim Truman e Tomas Giorello. Le due versioni costituiscono, per forza di cose, parametro di riferimento per chiunque voglia cimentarsi nell’adattamento della storia in questione. Che si desideri prendere le distanze da esse o semplicemente superarle, è necessario offrire qualcosa di unico, con una forte identità e in grado di lasciare il segno.
C’è riuscita la Glenat? Prima di rispondere alla domanda è bene capire qual era la direzione che Patrice Louinet, il direttore della collana, voleva dare ai nuovi albi francesi dedicati a Conan. L’ambizione dichiarata nelle ultime pagine di Conan il cimmero– La regina della costa nera era quella di “tornare alle origini del mito, all’essenza stessa del cimmero, prima che fosse filtrata dal prisma delle varie deformazioni”. Il prisma deformante cui si riferisce Louinet è rappresentato dai film, dai giochi, dai cartoni animati, dai racconti e, non ultimi, dai fumetti, rei di aver diluito Conan, “a volte sfiorando la caricatura”.
Anche se un tale giudizio può apparire forse troppo severo, non si può negare che spesso abbia trovato conferma in opere approssimative o dimenticabili. Quando si parla di fumetti, però, il discorso è più complicato, perché entrano in ballo questioni legate alle restrizioni del tempo (non dimentichiamoci la mannaia del Comic code authority), le politiche editoriali, il fatto di avere termini di paragone o al contrario una piena e totale libertà d’iniziativa. Dunque, dietro alcune deviazioni rispetto all’originale c’erano ragioni comprensibili, spesso non condivisibili, ma che sfociavano in storie scritte comunque con mestiere e passione, non così biasimevoli e certo non così lontane dal modello di riferimento.
Altro aspetto su cui Luoinet pone l’accento, è l’assoluta indipendenza dei racconti howardiani. In altre parole l’autore texano non aveva mai voluto creare una grande saga, come molti suoi epigoni avevano erroneamente inteso, e dunque anche i volumi della Glenat sarebbero stati leggibili autonomamente e senza un ordine preciso.
Insomma, rispetto al passato la Glenat aspirava a creare il Conan più fedele possibile alla controparte cartacea.
Ad adattare Colosso nero sono lo sceneggiatore Vincent Brugeas e il disegnatore e colorista Ronan Toulhuoat che donano al barbaro un aspetto inedito: le labbra sono sottili, le sopracciglia cespugliose come sempre, il naso leggermente adunco, il mento prominente. I capelli sono, sul davanti, legati in treccine e cadono, dietro, liberi sulle spalle. A rafforzare la durezza del suo volto c’è un filo di barba incolta. Il tratto non è schizzato e grottesco come quello di Alary in La regina della costa nera ma più vicino a quello della Clonnan nell’omonima storia, con la differenza che il barbaro di Toulhuoat è più vissuto.
La costruzione delle tavole è piuttosto libera e in alcuni casi davvero ispirata, come quando il ladro Shevatas entra nella città di Kuthchemes e le leggende del passato rivivono attraverso l’uso di linee prive di colore. Anche sul lettering è stato fatto un ottimo lavoro con cornici davvero suggestive.
Pur avendo indubbi meriti, la grafica di questa versione di Colosso neroperde, a parere di chi scrive, il confronto con le precedenti incarnazioni, perché non ha il dettaglio e la bellezza sbalorditivi del Conan di Buscema, né la potenza e la sensualità di quello di Giorello.
Per quanto riguarda la storia, invece, Vincent Burgeas ha mantenuto le aspettative?Colosso neroha davvero i requisiti per definirsi il miglior adattamento del racconto di Howard? Probabilmente no. Il problema di fondo sta nel volersi attenere pedissequamente al lavoro di Howard senza, però, riuscirci pienamente. È vero, si evitano sviste piuttosto grossolane che affliggevano la versione Marvel. Un esempio su tutti è la rappresentazione di Natohk come un uomo dal volto scarnificato e putrescente, cosa che contraddiceva totalmente la storia (come ha fatto il ladro a riconoscere nell’effige della moneta il volto di Tungra Khotan se questi era irriconoscibile?).
Eppure sebbene non incappi in questi errori, anche il Conan Glenat ne commette alcuni. Dov’è la sorpresa nel raffigurare Natohk, “il profeta velato”, senza velo? Viene meno molta della tensione narrativa che Howard era stato abilissimo a creare, attraverso la rivelazione della sua identità alla fine del racconto: “Natohk fronteggiava il cimmero: disumanamente alto e magro, era abbigliato con una scintillante tunica di seta verde. Quando gettò all’indietro il velo”.
Nell’avvicinarsi a questa trasposizione di Colosso nero, dopo aver letto il racconto di Howard, si ha la sensazione di trovarsi tra le mani una versione meno attenta e riuscita; nel farlo dopo la lettura delle versioni Marvel e Dark horse, invece, si ha la medesima impressione che si nutre quando si guarda l’adattamento di una serie tv a film: tutto risulta troppo veloce e a tratti sbrigativo.
Il fatto, che ogni futuro volume Glenat sarà gestito da un team di autori differenti, offre buone speranze che questi rendano davvero giustizia al Conan howardiano, ma un dubbio rimane sul formato, o meglio, sulla paginazione: finora ci si è concentrati sull’adattamento di racconti, con albi di circa 60 pagine, dunque un formato abbastanza standard. Ma cosa si farà quando a dover essere adattato sarà L’ora del dragone? Si concederà il giusto spazio alla storia? Solo il tempo potrà dircelo.
Al di là di queste considerazioni consiglio comunque la lettura di Colosso nero, sia perché dietro c’è sempre Robert Howard, sia perché l’edizione cartonata della Star comics merita, sia per trarre da voi le vostre conclusioni. In fondo Conan è come 007, ognuno ha il proprio interprete preferito.