Il Palazzo dei morti
Con Il Palazzo dei Morti tocchiamo la seconda tappa della saga di Conan il Cimmero e, per la prima volta, ci ritroviamo per le mani uno di quei racconti che alcuni puristi espungono dal canone delle opere howardiane, in quanto ritenuti “manipolati”.
Questo perchè Il Palazzo dei Morti, come altri testi che incontreremo più avanti, è un racconto la cui versione definitiva ci è pervenuta solo tramite la rifinitura operata da Sprague De Camp negli anni successivi alla morte di Howard, quando lo scrittore statunitense cominciò l’impegnativo lavoro di risistemazione delle carte del Bardo di Cross Plains.
Ha poco senso, in questa sede, riepilogare le diatribe riguardo questa operazione, e ciò per un semplice motivo: al netto delle interpolazioni e delle scelte non sempre felici compiute da De Camp su alcuni testi howardiani, Il Palazzo dei Morti può a mio parere considerarsi un racconto con tutte le caratteristiche e la dignità necessarie a far parte del ciclo dedicato a Conan. Lo spirito e gli stilemi che pervadono le avventure del Cimmero sono presenti in misura più che congrua per far risultare il tutto accettabile anche ai puristi, e la differenza qualitativa con quanto sappiamo invece essere farina esclusiva del sacco di De Camp è evidente anche senza dover ricorrere alle pur sensate distinzioni della filologia.
La trama su cui è imbastita la narrazione è genuinamente avventurosa, segnata da una semplicità e tuttavia da un gustoso sviluppo tipico delle storie della giovinezza di Conan.
In fuga dal cappio che certamente lo attende per essersi reso colpevole di una lunga sequela di furti, Conan, assieme all’occasionale compare Nistor – nientemeno che una delle guardie sulle sue tracce – si introduce fra le rovine infestate dell’antica città di Larsha “La maledetta”, da sempre ritenute ricettacolo tanto di tesori favolosi quanto di orrori spettrali.
Come è facile attendersi, prima di poter mettere le mani sui mucchi di gemme tanto desiderati, i due compagni avranno a che fare con entrambe le categorie di incontri, dovendo affrontare nell’ordine minacce terribili come una silenziosa e letale lumaca gigante – sgusciata fuori da chissà quale antro – nonchè scricchiolanti guerrieri scheletrici, da secoli a guardia delle ricchezze ambite dai ladri.
Tutto è bene quel che finisce bene? Non proprio. Lasciate infatti le aule dirute e i colonnati infranti di Larsha, gli audaci razziatori non riescono a godere della loro preda.
E se pure a Nistor è risparmiata la fine infausta del povero ladro Taurus incontrato ne “La torre dell’Elefante“, tuttavia la conclusione dell’avventura non è molto piacevole per lui, che si ritrova gabbato e nei guai; parimenti, anche Conan finisce beffato dalla medesima antica magia che ha trasformato – come avviene spesso per i bottini fatati citati nelle fiabe – oro e preziosi in un mucchio di inutili foglie secche.
Per molti aspetti, Il Palazzo dei Morti mostra caratteristiche che è facile ritrovare nei racconti in cui Conan è ancora poco più di brigante appena giunto dalla Cimmeria.
Incapace di inserirsi nell’ambito civile in un ruolo che non sia alieno dalle leggi e dalle regole, il nostro ripiega con gioiosa attitudine sul ruolo lui meglio confacente del ladro o del grassatore. La furbizia e l’istinto di barbarica repulsione verso consessi umani più ampi di una tribù sono ancora integri nel Cimmero, appena smussati dal carattere ancora giovane e quindi più tendente alle “incontenibili risate” che all’ “abissale malinconia”. La sua prestanza fisica, realmente simile a quella di una belva, ce lo mostra in tutto il vigore con cui, poco prima di varcare i confini delle terre hyboriane, affrontava i furiosi tori selvaggi della Cimmeria. Il Conan saggio, riflessivo e a tratti pensoso dell’Ora del Dragone, e assai di là da venire.
In tutto ciò lo scenario in cui veniamo introdotti pare brillare di un esotismo e di una magia ancor più vividi, proprio come se fosse un giovane bramoso di esperienze a mostrarceli. Shadizar, nella sua corruzione, è più uno scrigno di lussurie da godere e di ricchezze da cogliere che la decadente Sodoma cui si accenna in altre storie. La stessa Larsha, una città di ombre e di morte, è solo una versione più pericolosa e oscura delle dimore dei viventi che il ladro Cimmero non si fa scrupoli a saccheggiare.
Con simili presupposti, la beffa finale di cui sono vittime Conan e Nistor, viene accolta dal lettore e dallo stesso barbaro con scanzonata ironia. Come in una partita a dadi finita male, il perdente può tanto dolersi fino alle lacrime, oppure ridere della sua stessa malasorte, pronto ad alzare la posta la partita successiva. E Conan ha già ben imparato che brindare alla salute dèa Fortuna è quasi sempre il modo migliore per propiziarsene il favore, piuttosto che piagnucolare per i suoi occasionali fulmini.
In conclusione, quindi, Il Palazzo dei Morti è un pulp che sarebbe un peccato disprezzare: tesori nascosti, pendagli da forca che si alleano, guerrieri non morti che impugnano antiche spade…. Se non vi piacciono questi ingredienti, la domanda che forse dovreste farvi è una sola: cosa diavolo leggete a fare le storie di Conan?!
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