I grandi autori del fantastico – Mappe, disegni, lingue e miti… E Tolkien creò la Terra di Mezzo

Articolo di Gianfranco de Turris, tratto da Il Giornale del 16 ottobre 2018

Accade spesso che un autore schivo in vita si trovi dopo la morte al centro di un interesse e di una popolarità che non avrebbe mai immaginato, e di cui forse si sarebbe vergognato.

Uno fu di certo H.P. Lovecraft, un altro J.R.R. Tolkien («il mio deplorevole culto» scrisse una volta a un amico). Chi oggi nell’universo mondo non li conosce, anche se inizialmente vennero snobbati dalla critica togata?

Nel 2018 cadono i 45 anni dalla scomparsa dell’autore britannico (2 settembre 1973) e l’anniversario ha dato lo spunto all’Università di Oxford – di cui fu prima allievo e poi docente – di dedicargli una significativa mostra che chiuderà il prossimo 28 ottobre. È stata allestita in un settore (la Weston Library) della immensa Bodleian Library che riunisce nel suo gotico edificio almeno 11 milioni di opere ed una imponente digitalizzazione di giornali. Il titolo è tutto un programma: Tolkien, Maker of Middle-earth. In effetti è proprio la cifra caratteristica del Professore, l’aver appunto creato, se non fabbricato, la Terra di Mezzo, portandola da pura personale fantasia a mondo concreto in cui si sono identificati, addirittura ritrovati a vivere milioni di lettori di tutto il mondo a partire dal 1954-55 quando apparvero i tre tomi del Signore degli Anelli. In tempi moderni non si era mai visto nulla di simile.

Sicché la mostra alla Biblioteca Bodleian è centrata sull’aspetto concreto (iconografico e visivo) di questa fantasia. Come essa divenne realtà attraverso successive approssimazioni grazie all’esposizione di manoscritti, di testi, di lettere, di schizzi, di disegni, di mappe. Tolkien infatti non si limitava a descrivere a parole i suoi mondi e i suoi personaggi immaginari, ma li faceva rivivere tramite innumerevoli illustrazioni, che purtroppo sono ancora poco note in Italia. E nelle sale della biblioteca oxoniense sono esposte anche le molteplici varianti di questa sua creazione: non tutti e non sempre luoghi e personaggi sono nati con i nomi che alla fine sono giunti fino a noi.

Come ben si sa, Tolkien capovolse il noto detto nomina sunt consequentia rerum. Per lui invece res sunt consequentia nominarum. Si era inventato sin da bambino delle lingue inesistenti come quelle degli elfi (il suo «vizio segreto» lo definì), si era inventato buffi noni come quello degli hobbit, ma poi alla fine chi parlava quelle lingue? Che aspetto avevano coloro che ne facevano uso? E dove vivevano? Nacque allora la Terra di Mezzo anche con l’intento pure questo si dovrebbe sapere di creare una mitologia di riferimento ideale per l’Inghilterra moderna che, in un mondo secolarizzato, ne era prova.

Tutta questa evoluzione si può osservare con emozione nelle carte e nelle illustrazioni, specie nelle mappe, esposte alla Biblioteca Bodleian, quasi entrando nella inesausta «officina» mentale e concreta di JRRT. Che era un work-in-progress: i suoi «lavori in corso» erano ininterrotti, le sue versioni di uno stesso testo di cui non era mai soddisfatto innumerevoli, il lascito immenso. Si pensi solo al Silmarillon e alle dozzine di volumi di varianti e inediti pubblicati dal figlio, ormai ultranovantenne, Christopher. E ogni tanto dal Fondo Tolkien della Bodleian escono sorprese inaspettate, come ami fa in una scatola da scarpe venne rintracciata la sua traduzione del Beowulf, il poema che aveva difeso in un famoso saggio, I mostri e i critici, dagli strali dei suoi colleghi medievisti.

Tolkien fu un illustre studioso e linguista, ma non fu molto amato dai suoi collegi e dalla intellettualità dominante. In occasione di questa mostra a Oxford è infatti stato ricordata una notizia di alcuni anni fa quando vennero resi noti i verbali della giuria svedese del Nobel per la letteratura. Era il 1961 e venne assegnato a Ivo Andric, ma tra i noni che furono presi in considerazione c’era – presentato da C.S. Lewis anche quello di Tolkien che aveva pubblicato il suo capolavoro sei anni prima. Il motivo della bocciatura è che alla fin fine la sua opera non aveva un grande valore letterario. Si sa come la pensano gli intellettuali snob: se hai successo, se sei «popolare» al punto di vincere nel 1957 l’International Fantasy Award, non puoi avere «un grande valore letterario».

Meglio così, si potrebbe dire. Se J.R.R. Tolkien fosse stato insignito del Nobel forse i suoi libri non avrebbero avuto quella edizione tascabile americana che a partire dal 1965 avrebbe dato il via al suon successo planetario. Alla faccia dei radical chic.

L’esposizione di Oxford dimostra quanto la sua fantasia fosse immensa e i risultati di essa un mondo vero in cui si riconoscono in molti giovani e adulti, Nobel o non Nobel.

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