Sinossi
Kane ha giurato di salvare una fanciulla inglese, rapita da crudeli mercanti schiavi e trascinata oltre il mare. Pur pronto a correre ogni rischio, nemmeno il puritano errante può immaginare che la mèta di questo ennesimo viaggio nel cuore dell’Africa saranno gli orrori di una città malvagia e perduta…
Commento
Man mano che le pagine delle avventure di Solomon Kane scorrono sotto i nostri occhi,
non è impossibile che qualcuno senta approssimarsi il rischio di una incipiente ripetizione.
Orrore, ignoto, avventura…ormai conosciamo bene la miscela di questi racconti, e gli elementi cui Howard è ricorso finora sembrano infine trasformarsi in ingredienti sì gustosi, ma ormai troppo familiari. Del resto, pur mettendocela tutta, l’eventualità che anche la ricetta migliore annoi il lettore è sempre dietro l’angolo anche per gli autori più prolifici e fantasiosi, e la serialità ha fatto pesare il suo fardello su non pochi personaggi.
“La luna dei teschi” è l’occasione per mischiare un po’ le carte. Certi spunti, c’è poco da fare, li abbiamo già incontrati; e tuttavia la penna sapiente di Howard li tira nuovamente a lucido, combinandoli in un’avventura da brivido che non solo riscatta Solomon Kane dalla ripetitività, ma ne aumenta la caratura di viandante dell’ignoto, mostrandocelo alle prese con uno dei topoi con cui il suo autore si trova più a suo agio, quello della città perduta.
Inutile, in questo caso, soffermarci più di tanto sui dettagli della trama: mosso da uno di quei giuramenti che dovrebbero essere rarità, eppure sorgono non di rado nel suo animo fiammeggiante, Kane si avventura nei recessi inesplorati dell’Africa; una fanciulla, nipote di un nobile inglese sconfitto in duello, è stata trascinata dai venditori di schiavi fin dove nessun europeo – o uomo con un minimo di senno in capo – è mai giunto: la città perduta di Negari.
E’ questo uno degli esempi “classici” di metropoli dimenticata, in rovina nelle giungle nere del continente africano: da Haggard in avanti – con le celebri Miniere di Re Salomone e le meraviglie di “She” – infinite sono le vicende che hanno per ambientazione tali città favolose, che costellano di solito quei luoghi al confine delle carte geografiche denominati “Terra Incognita”.
Il nostro puritano è però giunto in una variante di queste località di tipo piuttosto tenebroso; se talvolta simili cittadelle sono il rifugio segreto di stirpi elette quanto nascoste, Negari è invece il brandello lacerato di un impero scomparso, abitato dai discendenti degli schiavi che un tempo servivano (ecco il primo esempio che ritorna) gli eredi della perduta Atlantide. Ancora segnati dall’odio per gli antichi padroni, il popolo di Negari è crudele e dedito a riti sanguinari, e le sue azioni lo rendono lo spauracchio anche delle tribù nere circostanti.
Di tutto ciò, ovviamente, Kane è ignaro. Il suo desiderio è solo ricondurre in patria la giovane Marylin, tenero virgulto d’Inghilterra, e non sa che il suo arrivo coinciderà con la cerimonia della “Luna dei teschi”, con cui la feroce regina Nakari intende suggellare il suo dominio. Il prosieguo della storia, tutto azione, è facilmente immaginabile: superati sotterranei senza nome, sconfitti guerrieri tribali dalla forza erculea, Solomon Kane riesce sul filo del rasoio a salvare Marylin dall’essere sacrificata agli intrighi di Nakari, e in un’ultima notte di follia, scatenata dalle stolide fazioni di schiavi assetati di sangue, l’antica Negari crolla, e con essa l’ultimo ricordo dell’antica stirpe atlantidea.
Nella sua linearità, “La luna dei teschi” è una storia godibile: di ostacolo in ostacolo, la missione di Kane punta dritta al bersaglio senza cali di tensione, e lo stile è quello elettrizzante dei pulp migliori. Se dietro a questa impostazione vi sembra di vedere un trucco per mascherare la ripetitività di cui si accennava più sopra…beh, non sbagliate. Non del tutto, almeno.
E’ evidente infatti che le classiche situazioni del ciclo in oggetto siano quasi tutte presenti, ma a nobilitarle e a salvare la “Luna dei teschi” non è tanto il ritmo incalzante, quanto l’aggancio della vicenda al filone delle città perdute, un cliché che Howard conosceva e maneggiava bene, non tanto per averlo desunto dalle storie di molti suoi contemporanei, quanto per averne attinto gli schemi da quella nebulosa di spunti eterogenei che costituiva la base della sua formazione: i cascami dell’esotismo colonialista, e il permanere di residui tardo ottocenteschi nella cultura popolare americana degli anni ’20 e ’30, come i miti teosofici dei continenti perduti e di misteriosi relitti, sparsi per il mondo, di antiche civiltà una volta evolute. Vivificati dalla potenza narrativa dello scrittore texano, tutti questi luoghi comuni che pure infestavano le pubblicazioni con stantie riproposizioni di esploratori che incappano in dorate città dalle mura dirute, risultano vividi e per nulla posticci.
Negari non è uno sfondo di cartone, ma il tenebroso regno di una razza di selvaggi che della civiltà ha conosciuto l’aspetto più deteriore. Gli atlantidei fondatori, che altrove sarebbero stati dipinti come illuminati civilizzatori sfuggiti alla catastrofe, sono qui descritti come dei superstiti che non esitano a mantenere le usanze più crudeli della patria sommersa. E Kane non è un eroe europeo assetato di conoscenza, un esploratore: la sua scoperta lo ripugna, e il suo intento non è altro che salvare Marylin, spinto dalla consueta determinazione maniacale; che tutto crolli, di quelle rovine infauste e di Negari e della sua regina si perda il nome.
In ogni caso, senza che forse ne abbia consapevolezza, l’artiglio predatore dell’Africa ha di nuovo afferrato il manto dell’avventuriero del Devon. Un mero scherzo del destino, dopo la vicenda dannata di “Ombre Rosse”? Così parrebbe, a prima vista. Ma come Kane scoprirà, di certe coincidenze ridono i grandi Dèi Neri del continente selvaggio, e il sentiero verso la giungla e i suoi misteri non rimarrà a lungo solitario…