I racconti di Satrampa Zeiros – “I DAĒVA DI GAUGAMELA” di Fabio Andruccioli

Per “I racconti di Satampra Zeiros” , abbiamo il piacere di ospitare Fabio Andruccioli, vincitore del Concorso Thoth-Amon, scrittore e membro dell’Associazione Culturale ItalianSword&Sorcery, che ci propone “I Daeva di Gaugamela”, racconto di sword and sorcery ambientato durante la campagna persiana di Alessandro Magno, di circa 16.000 battute spazi inclusi.

Se volete leggere anche gli altri episodi di questa serie, li trovate qui:

«La bataille d’Issus ou d’Arbelles», huile sur bois (Hauteur. 86,5 cm ; largeur. 135,5 cm) de Jan Brueghel l’Ancien (1610), appartenant au Louvre. – Inv. 1094, photographiée lors de l’exposition temporaire « Rubens et son Temps » au musée du Louvre-Lens.

I DAĒVA DI GAUGAMELA

di Fabio Andruccioli

 

Skapos, nascosto dalle tenebre, rimase in ascolto.

Due uomini si erano appartati e discutevano animatamente, forse due fanti.

“Te lo dico io, domani moriremo tutti. Hai visto i fuochi? L’esercito persiano ci supera di almeno cinque volte.”

“Hai visto anche tu. Il sole si è oscurato sopra le terre di Dario. Questo è un buon presagio.”

“Perché lo dice quello stregone?”

Aristandro. Il suo maestro.

“Il Macedone ci crede.”

“Io credo invece che questa volta sia diverso. Hai visto che piana? Non è come a Granico o a Isso. Qui siamo in campo aperto.”

“Non vorrai disertare!”

Non udì altro.

Si diresse a passi svelti alla tenda di Aristandro. La luna illuminava il campo, l’ordine era di non accendere fuochi.

Ne avevano invece appiccati migliaia, nella valle, i loro nemici. Gli uomini si erano talmente spaventati che Alessandro era stato costretto a dare l’ordine di fermarsi e deporre le armi per calmarsi.

Skapos accelerò il passo giunto davanti alla tenda, anche se forse era più corretto chiamarla prigione, dove erano sistemate la madre di Dario e con essa le sue nipoti, figlie del Re. Aveva più volte indugiato su di loro nei suoi sogni e nelle sue notti solitarie, in particolare sulla più grande delle due, Dripetide.

Si diceva che quest’ultima sarebbe andata in sposa a Efestione al termine della campagna e che Alessandro stesso avrebbe preso come seconda moglie l’altra discendente di Dario, Statira.

Quella non era una serata da certi pensieri e proseguì. All’ingresso della sua tenda, lo aspettava Aristandro.

“Vai davanti all’alloggio di Alessandro. Accendi il fuoco rituale e prepara gli incensi.”

Il ragazzo obbedì, come aveva già fatto in passato. Si fece aiutare da alcuni schiavi e si portò davanti al padiglione. Non poté fare a meno di ascoltare le voci degli uomini che si trovavano all’interno. Alcune le riconobbe, altre no.

“Notizie dalle spie?”

“La stima è di trecentomila, forse qualcosa in meno.”

“Noi, in quanti siamo rimasti? Cinquantamila?”

“Nemmeno.”

“Questa volta Dario si è organizzato. I corazzati di Battria e Sogdiana affiancano la cavalleria pesante persiana. Dicono di arcieri a cavallo massageti e fanti indiani e greci.”

“Mercenari?”

“Sì, esiliati e oppositori politici.”

“Bastardi.”

“C’è di più. Almeno cinquanta carri falcati. E poi, elefanti da guerra.”

“Siamo nettamente inferiori.”

“Siamo addestrati.”

Poi, a un tratto, il silenzio. Skapos immaginò Alessandro alzarsi e prendere la parola ma non riuscì a udire nulla. Vide Aristandro uscire dalla tenda.

“Skapos, è il momento. Hai un compito importante questa sera, non fallire.”

 

Il rituale era iniziato. Solo pochi potevano assistere. I sette soldati scelti della scorta di Alessandro, a cui si era aggiunto il suo chiliarca. Aristandro officiava, offrendo litanie, incensi e spezie a Phobos.

Il ragazzo si guardò intorno. Efestione era furioso e continuava a lanciare occhiate sulla ragazza nuda e incappucciata. Non gli era mai sembrato così interessato a lei, ma forse era soltanto una questione d’orgoglio.

Alessandro era davanti a lui, a pochi passi. Prima d’incontrarlo lo aveva immaginato molto diverso, come le statue che rappresentavano gli antichi eroi.  Invece quell’ometto seminudo, tozzo e robusto, non era affatto simile a esse. Il suo occhio azzurro sembrava completamente trasparente nella luce soffusa, mentre quello scuro pareva ardere davanti al piccolo falò.

Anche da quella distanza, poteva sentirne il profumo. Fiori di zafferano e mirra. Il volto rasato lo faceva sembrare ancora più giovane di quello che era.

Tornò a pensare al suo compito e tremò.

Se avessi decretato la fine della nostra impresa?

Scacciò quel pensiero. Nessuno se ne sarebbe accorto e avrebbe trovato il modo per far fuggire la donna che amava.

Le oscure preghiere di Aristandro echeggiavano nel notturno silenzio del campo. Skapos sapeva che terrorizzavano i soldati e avevano lo stesso effetto su lui stesso.

Non comprendeva l’antica lingua, così diversa dai dialetti incontrati durante la campagna orientale. Al contempo, appariva alle sue orecchie come qualcosa di già sentito, ancestrale come gli Dei.

Tra le incomprensibili parole che schioccavano dalla bocca di Aristandro, capì i nomi di Phobos, in particolare, e di suo fratello Deimos.

Era il momento del sangue.

Si offrivano continuamente sacrifici a Phobos prima di ogni battaglia. Ma quella volta l’esercito del Grande Re Dario superava di numero quello macedone. E Alessandro, nonostante i buoni presagi, lo sapeva.

Per questo Aristandro gli aveva dato un compito, semplice ma crudele: portami la principessa Dripetide.

Per il giovane apprendista il colpo fu tremendo. Prima si spaventò, poi se la prese con il suo maestro. Lo fa volutamente, sa del mio amore per lei e ne è geloso, si ritrovò a pensare, irrazionale. Era la promessa di Efestione, ma Alessandro era pronto a sacrificarla per salvarsi da una terribile disfatta.

Così Skapos, accompagnato da due dei sette, si fece condurre alla tenda dove le donne della famiglia di Re Dario erano tenute in ostaggio. Dopo averle catturate a Isso, il condottiero macedone aveva avuto un particolare occhio di riguardo per tutte loro, specialmente per la regina Sisigambi. Le due guardie del corpo rimasero fuori.

Statira, la madre, era cupa in volto. Le due figlie, la sua omonima e Dripetide le stavano accanto. Fu infatti Sisigambi a parlare.

“Che vuoi ragazzo?”

“Sono qui per ordine del Conquistatore. Devo portare via una delle sue nipoti.”

“E per quale motivo?”

L’ apprendista abbassò la voce.

“Credo, un sacrificio.”

Temette una reazione violenta. Rimase in piedi, tremante.

“Non è da Alessandro”, riprese Sisigambi. “Questi sono gli oscuri pensieri che quel ciarlatano e indovino gli ha messo in testa.”

Stava parlando del suo maestro. Avrebbe dovuto rispondere, ma la donna emanava sacralità e potenza. Inoltre sapeva che Alessandro stesso la trattava con i massimi onori, quindi rimase in silenzio.

“Senti quello che ho da dire, giovane. Se tu oggi porti Dripetide dinnanzi alla tenda di Alessandro, se la uccidi, Alessandro non se lo perdonerà mai. Perderà la fiducia del suo uomo migliore, colui al quale mia nipote è promessa. La voce del sacrificio arriverà a mio figlio, che ci ha abbandonate al nostro destino. Re Dario sarà ancora più risoluto sul campo di battaglia.”

“Non posso disobbedire.”

“E allora voltati dall’altra parte.”

Sisigambi abbassò la voce.

“Mi farò inviare una schiava, una di quelle streghe che abbiamo preso al nostro seguito. La farò uscire con la tonaca di Dripetide e con il cappuccio già calato nel volto. Quando sarà il momento del sacrificio, tu chiederai al tuo maestro di intercedere con Alessandro, dicendo che è mia volontà non mostrare il volto contratto di mia nipote nel momento del suo sacrificio.”

Skapos si limitò ad annuire.

“Poi, ragazzo, tu che sai quello che sta succedendo, la aiuterai a fuggire. Le troverai qualcuno disposto a nasconderla. Finita la guerra, la andremo a prendere.”

Era in trappola. Fece un gesto eloquente, preoccupato che le guardie fuori potessero sentire. Forse, se l’avesse salvata, Dripetide lo avrebbe notato. Da fuggitivi, avrebbero potuto consumare delle notti di passione.

Skapos non era un illuso: una donna del suo rango non lo avrebbe mai sposato. Si sarebbe accontentato di possederla, come premio per il suo coraggio, lui che non aveva mai conosciuto altro che il caldo ventre delle prostitute.

Lasciò scorrere via i pensieri e si concentrò di nuovo sul rituale.

Poi successe.

La donna, che non a caso Sisigambi aveva definito strega, aveva iniziato a cantare. Una voce profonda. Maschile. Il suo corpo nudo si contorceva e da sotto il cappuccio la sua voce iniziava a superare quella di Aristandro.

Efestione si mosse a passo svelto e strappò il cappuccio dal volto della donna.

“Non è lei!”

Aristandro guardò con rabbia il suo assistente.

Il volto della donna, trasfigurato in smorfie raccapriccianti, osservava ghignando quello di Alessandro, che rimase impassibile. Lo stava sfidando.

Dalla sua bocca contorta un filo di nero fumo appena percettibile nella notte. Skapos, a pochi passi da lei, lo vide.

Dapprima un’ombra, poi delle forme che, illuminate dal fuoco rituale, si fecero sempre più vere. Tangibili.

Aristandro si era fermato. Skapos corse alle sue spalle. Alessandro era in piedi, fiero. I sette brandirono le armi, lo stesso fece Efestione, sollevato nel sapere che la sua promessa sposa era salva.

Come in una macabra e ordinata presentazione, la strega iniziò a scandire delle singole parole.

“Akoman. Indar, Swar, Nanghait, Zarizi, Taurizi.”

Uno a uno, gli spettri oscuri presero forma.

“Sono dei guerrieri?” chiese Alessandro al suo indovino.

“No, sono daēva.”

A guardarli, sembravano dei soldati. Agghindati come gli Immortali persiani, indossavano la tiara di feltro dei fanti e la lunga tunica a coprire la cotta di metallo. Ma i loro volti non erano altrettanto umani.

Neri come la notte. Occhi ferini nell’ombra. Nessuna traccia di lineamenti. Li sentirono ringhiare, ma non videro bocca e denti.

Erano fermi, in attesa.

Poi l’incantatrice si alzò, strappò le catene con forza e gridò il suo nome.

“Angra Mainyu.”

Sette demoni, sette guerrieri.

Efestione trascinò via Alessandro e l’indovino. Skapos si rese conto di essere rimasto solo. Se la fece sotto e si nascose dietro a una roccia. Si trovò a chiedersi perché nessuno intervenisse. Avevano intorno a loro decine di migliaia di soldati ma nessuno accorreva.

Le creature erano in ordine sparso, mentre i sette soldati scelti della guardia di Alessandro erano l’opposto. Si strinsero velocemente tra loro, scudo su scudo. Le lance corte puntate verso il nemico.

I daēva si scagliarono contro la piccola falange. Vennero trafitti dalle lance, inondando di sangue scuro gli scudi e gli elmi.

Le grida degli armigeri accompagnavano lo scontro.

“Il sangue brucia!”

“Tenere la posizione.”

“Se sanguinano possono morire.”

“Avanzare!”

La foga delle cariche infernali diminuì, gli scudi adesso erano un muro. Spinta contro spinta. Pelle e vimini persiane contro gli aspis macedoni.

Skapos si accorse di non poter vedere al di là di pochi passi, erano imprigionati in un’arena di oscurità. L’enorme esercito di Alessandro il Conquistatore fuori dai giochi.

Intanto, quella che un tempo era stata la strega, gridava ordini ai suoi sottoposti. La falange stava crollando. All’ennesima carica, stremati, i sette soldati si aprirono, lasciando passare nella foga i demoni, trafiggendoli con le loro armi in pugno. Il capo dei daēva si decise a imbracciare l’arma. Riprese le sue litanie, sembrò crescere in statura e potenza, l’armatura di maglia sembrava sul punto di cedere. Le guardie del corpo del Conquistatore erano bloccate dalla paura e dalla stanchezza, non avrebbero retto un ulteriore scontro.

In quel momento, però, Skapos lo vide.

Brandendo una lancia, Alessandro apparve al fianco dell’incarnazione di Angra Mainyu. Colpì, sfondando la cotta e le vesti e le carni dell’abominio, in uno spruzzo maleodorante di sangue.

Un grido terrificante fece esplodere l’oscura cappa protettiva, liberando la luna e le stelle sopra la loro testa.

A terra solo il corpo di una donna, una strega, trafitta a morte. Dei sei demoni evocati, non rimase che un piccolo vortice di fumo nero, che presto si dissolse nell’aria pungente della notte.

Skapos tornò alla realtà quando sentì il colpo alla testa. Lo schiaffo di Aristandro era meritato, sapeva che sarebbe stato punito.

Subì a capo chino gli impropri e le offese del suo maestro, quando Alessandro si palesò davanti a lui.

“Sei tu ad aver portato la strega invece della figlia di Re Dario?”

S’inginocchiò, gli occhi bassi al terreno. Si limitò a annuire.

“Hai disobbedito al tuo maestro e quindi lui ti punirà come preferisce. Ma hai salvato la principessa Dripetide e di questo il fido Efestione ti sarà per sempre grato. Ma, forse, hai liberato anche l’intero nostro esercito dalla disfatta. Domattina vedremo se ho ragione.”

Skapos non capì. Aristandro lo cacciò in malo modo verso la loro tenda. Forse, ancora una volta, se la sarebbe cavata. L’indovino abbassò il capo e si rivolse al Conquistatore trasudando umiltà.

“Scusatemi, ma non sono certo un esperto di tattica militare. Cosa intendevate poco fa con salvare il nostro esercito dalla disfatta?

Alessandro sorrise, volgendo uno sguardo furbo ai suoi commilitoni.

“Come abbiamo sconfitto quei demoni, lo stesso faremo con l’esercito di Re Dario che, apparentemente, è imbattibile. Nel momento in cui crederà di averci in pugno, quando la loro supremazia numerica sarà più evidente, noi lo colpiremo al fianco e sarà la fine di Dario e del suo regno.”

“Un piano rischioso, anche per colui che viene chiamato il Conquistatore”, esclamò Efestione avvicinandosi a Alessandro, “ma se così avete deciso, raduno i generali per discutere dei dettagli.”

Solo il far del giorno avrebbe rivelato la verità, poche ore più tardi.

 

L’alba di sangue illumina il volto del Grande Re Dario al centro dell’armata persiana, al suo fianco la cavalleria di nobili e dallo squadrone degli Immortali. Ai lati la cavalleria di Besso e di Mazeo, pronti.

Si sentono sicuri, superano il nemico di numero, questa volta la vittoria è certa.

Alessandro guida l’ala destra montando Bucefalo, insieme ai Compagni, mentre a sinistra la cavalleria tessala è pronta insieme alla falange a assorbire l’urto degli avversari

Il condottiero pensa alla notte precedente, al colpo a sorpresa che ha distrutto il demone e i suoi seguaci.

Sangue tra gli scudi, lance e spade.

Alessandro sa di avere una sola occasione, si fa inseguire lontano dal centro dello scontro.

I carri falciati persiani che fanno breccia, incuranti dei giavellotti tra le grida degli aurighi feriti. I persiani penetrano fino all’accampamento di Alessandro. Vorrebbero liberare Sisigambi, la moglie e le figlie di Dario ma il rifiuto della donna tuona sopra il frastuono della battaglia.

La fanteria e i cavalieri tessali dell’esercito macedone mantengono la posizione, implacabili.

Alessandro sa che è il momento. Cambia direzione e punta all’ala destra nemica, aperta per l’inseguimento e occupata a incalzare la falange macedone.

Ci siete cascati, pensa Alessandro.

La cavalleria avanza, Bucefalo sbuffa pesante in testa.

Dario li vede arrivare, terribili e implacabili, attraverso la breccia. Fa l’unica cosa che gli riesce bene: scappa, scortato da Besso e le sue guardie.

L’inizio della fine. L’esercito persiano è schiacciato su più fronti, i primi disertori se la danno a gambe. Alessandro sa che la battaglia è vinta.

 

Skapos sentiva in lontananza il fragore della battaglia. Quando i carri persiani erano arrivati al campo, si rese conto che non poteva più attendere. Raccolse le sue poche cose, qualche veste e dei viveri per il lungo viaggio. Denaro, molto, dal piccolo baule di Aristandro.

Per un attimo la tentazione di andare a prenderla lo colse: mantenere la promessa fatta a Sisigambi e realizzare il suo più grande sogno. Ma non lo convinse né l’onore né l’ardore: voleva solo tornare a casa.

Intorno a lui i soldati rimasti a difendere l’accampamento esultarono, la battaglia stava volgendo al termine. L’apprendista non alzò lo sguardo, continuò a camminare invisibile tra le tende. Anche davanti a quella della famiglia di Re Dario.

Nella sua mente sentiva ancora la voce infernale della donna, del demone. Urlava nella sua testa più forte delle lance e degli scudi, dei carri e delle grida della battaglia che si avviava alla conclusione.

Non riusciva a scrollarsi di dosso tutta quella oscurità. La sentiva sulla pelle e sui vestiti, come una maleodorante umidità.

Addio maestro, addio dolce Dripetide.

Skapos era un disertore in terra straniera. Ma ciò che lo terrorizzava maggiormente non era il lungo e pericoloso viaggio verso la Macedonia. Ciò che gli avrebbe tolto il sonno negli anni a venire era la consapevolezza degli orrori antichi che strisciano nella notte e sussurrano nelle tenebre e che, quella sera a Gaugamela, aveva visto con i suoi giovani occhi.

Rispondi

Scopri di più da

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading