La sapienza di Eibon – Giano bifronte, il dio degli inizi e dei passaggi

Giano bifronte, il dio degli inizi e dei passaggi

Alessandro Manzato

 

Agonizzai nove giorni e nove notti in questa desolata villa simmetrica; mi prostrava la febbre, l’odioso Giano bifronte che guarda i tramonti e le aurore conferiva orrore ai miei sogni e alle mie veglie. Arrivai a odiare il mio corpo, arrivai a sentire che due occhi, due mani, due polmoni, sono altrettanto mostruosi che due facce.

– J. L. BORGES, La morte e la bussola, in Finzioni.

 

 

La maggior parte delle divinità romane, quantomeno le più conosciute, sono assimilabili a quelle greche. Così Giove è Zeus, Marte è Ares, Giunone è Era… l’elenco potrebbe andare avanti ancora a lungo. Questa assimilazione dipende in massima parte da tre fattori: il primo è la comune appartenenza all’area culturale del bacino mediterraneo. Il secondo discende dall’idea romana per cui le divinità adorate dai diversi popoli siano sempre le stesse, solo sotto nomi diversi. Un esempio di questa mentalità lo ritroviamo in Cesare: descrivendo nel sesto libro del De Bello Gallico la religione dei Galli, identifica le loro divinità con quelle romane, al punto da utilizzare i nomi latini, e non quelli autoctoni, per designarle[1]. Il terzo fattore è la subordinazione culturale dei Romani rispetto ai Greci, tale da far nascere l’affermazione secondo cui «Graecia capta ferum victorem cepit»: la Grecia conquistata [da Roma] conquistò il selvaggio vincitore, ossia riuscì a imporre la sua egemonia culturale sul “barbaro” conquistatore romano.

Eppure rimangono tracce di divinità autoctone romane, non assimilabili a quelle greche. Tra queste una delle più interessanti è il dio dalle due facce che dà il nome al primo mese dell’anno: Giano, da cui gennaio. Non è una casualità, che il primo mese dell’anno sia a lui dedicato; Giano è infatti il dio di ogni inizio, di ogni passaggio. Se Giove è il primo tra gli dei per importanza, Giano lo è in quanto principio primo: ingenerato, senza padre o madre, Giano si colloca all’inizio di ogni cosa. Non è un caso che tra i suoi appellativi figurino Divum Pater (padre degli dei), Ianus Pater (Giano padre), Ianus Cerus (Giano creatore), titoli che indicano una sua funzione di dio creatore. È stato infatti ipotizzato che, prima della diffusione delle divinità greche, egli fosse il dio principale del pantheon romano. Tracce di ciò si possono rintracciare nel mito secondo cui Giano regnava nel Lazio come re, prima dell’arrivo del dio Saturno (il greco Cromo) che si rifugiò nella regione, accolto da Giano, dopo essere stato spodestato dal figlio Giove. Il mito potrebbe rappresentare l’arrivo delle divinità greche – simboleggiate da Saturno/Crono –nelle terre romane e la loro integrazione in un pantheon fino allora dominato da Giano.

In quanto dio dei passaggi, Giano è il protettore e custode di tutti i luoghi che segnano entrate, uscite o attraversamenti. Sue sono le soglie, le porte e le vie. Suoi sono gli incroci, i ponti e gli archi. Proprio dal termine latino per porta, ianua, verrebbe il suo nome. E le porte ricoprono un’importante funzione nel tempio che a lui dedicò, secondo la leggenda, Numa Pompilio: quando erano aperte significava che Roma era in guerra, mentre venivano chiuse in periodi di pace, occasione tuttavia assai più rara[2]. Le sue due facce, contrapposte tra loro, che gli valgono l’attributo di bifronte simboleggiano la doppia natura di ogni passaggio, che è insieme uscita da un certo luogo ed entrata in un altro. Così Giano bifronte fissa assieme l’entrata e l’uscita, l’interno e l’esterno, colui che esce e colui che entra. I due opposti si saldano e si uniscono in Giano, riconoscendosi in quell’unità che è il passaggio

Questa duplicità di ruolo è presente anche nel suo aspetto di dio degli inizi. Ogni passaggio, ogni nuovo inizio, è insieme la fine di ciò che l’ha preceduto. Così l’inizio dell’anno nuovo segna allo stesso tempo la fine di quello passato. Al dio è pertanto attribuito il potere di vedere insieme passato e futuro: una delle sue facce guarda dietro di sé, a ciò che stato, a ciò che è finito, l’altra fissa davanti a sé, vede ciò che avviene e che avverrà. Ma questa doppia e distinta visione converge, fino a ritornare a sé. Bisogna ricordare che il tempo secondo gli antichi è circolare – sarà il cristianesimo a diffondere l’idea di un tempo lineare, mutuato a sua volta dall’ebraismo – dunque chi fissa il passato finisce per vedere il futuro e viceversa. Per questo il grammatico Macrobio sostenne, a proposito del dio bifronte, che «il mondo va sempre, muovendosi in cerchio e partendo da sé stesso a sé stesso ritorna»[3]. Le due facce di Giano, contrapposte tra di loro e apparentemente incomunicabili, finiscono così, attraversati gli eoni che compongono le cicliche ere dei mondi, per fissarsi tra loro: passato che fissa il futuro, futuro che fissa il passato. Perché il passato è il futuro che verrà e il futuro è il passato che è già stato. Così come passato e futuro sono solo momenti dello stesso tempo circolare, così è Giano: un’unica divinità, le cui due facce non sono che aspetti diversi della stessa identità.

 

NOTE:

[1] GIULIO CESARE, De bello Gallico, VI, 17.

[2] TITO LIVIO, Storia di Roma dalla sua fondazione, I, 19. Livio racconta che le porte furono chiuse in tre occasioni: durante il regno di Numa Pompilio, nell’anno di consolato di Tito Manlio, alla fine della prima guerra punica, infine sotto l’imperatore Augusto, con la famosa Pax Augusti. A questa bisogna aggiungere una quarta occasione, durante il regno di Nerone.

[3] MACROBIO, Saturnalia, I, 11

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