I racconti di Satrampa Zeiros – “Il tempo che torna: Giano bifronte” di Alessandro Manzato

Per “I racconti di Satampra Zeiros” , abbiamo il piacere di ospitare per la prima volta Alessandro Manzato, scrittore e saggista che ci propone “Il tempo che torna: Giano bifronte”, racconto di sword and sorcery di circa 7.000 battute spazi inclusi.

Buona lettura.

Autore

Alessandro Manzato: È un lettore appassionato da quando ha imparato a leggere, privilegiando libri fantasy che divora a velocità spaventosa. A lungo appagato dalla sola lettura di libri, non sente il bisogno di scrivere fino alle superiori quando, la mattina di una noiosa lezione a scuola, per far passare il tempo si mette a scribacchiare su un foglietto di carta il suo prima, breve racconto. Da allora continua a scrivere racconti e, giunto alla ragguardevole età di un quarto di secolo, non ha ancora smesso. Ha conseguito una laurea in storia e un paio di suoi racconti sono stati pubblicati in delle antologie.

Il tempo che torna: Giano bifronte

di Alessandro Manzato

 

Era una capanna di rami e tronchi d’albero intrecciati. Bassa, tanto che un uomo alto avrebbe dovuto chinare il capo per starci, più lunga che larga. L’entrata era un varco aperto tra le pareti, coperto solo da un telo. L’unico soprammobile era un piccolo tavolo e la sedia vicina; non c’era letto, ma solo un pagliericcio. La parete opposta all’entrata ospitava un crocifisso, di fronte a esso una stuoia. Sopra la stuoia stava, inginocchiato, un uomo. Pregava.

Non lo riscosse da quell’attività né la tela scostata da mano umana, né i passi sul pavimento. Eppure dovette avvertire la presenza dell’uomo che era entrato e che, silenzioso se non per il suono del suo respiro, attendeva di fronte a lui.

L’anacoreta – poiché questo era – non si riscosse se non quando ebbe finito la sua segreta preghiera. Si fece il segno della croce, alzò il capo chino, raddrizzò le gambe e si alzò, prese la stuoia e la ripose in un angolo della stanza. Solo allora si girò verso il suo ospite.

L’anacoreta aveva una barba marrone arruffata, pochi capelli ai lati del cranio, ma vividi occhi verdi. Il suo corpo era secco come carne lasciata ad essiccare e lento nelle movenze, eppure vi era solennità in lui. Era vestito solo con una tonaca lunga di tessuto grossolano, più adatto per i sacchi di grano che per una veste: doveva prudere e graffiare la pelle, ma egli non pareva curarsene. O forse era quello, quel dolore, che desiderava.

«Sei un uomo che cerca verità e consiglio, un fedele che vuole seguire l’esempio della mia vita e farsi eremita, oppure un demonio venuto per tentarmi?» La voce dell’eremita era lenta e secca come il suo corpo, ma ugualmente priva di indecisione.

L’uomo non rispose. Stava immobile al centro della povera capanna, di cui sfiorava il tetto. Se l’anacoreta nella sua magrezza e lentezza era ieratico e solenne, l’uomo nella sua possenza e immobilità era grave e maestoso. All’eremita riportò alla mente le statue di antichi dei pagani ed eroi che aveva visto nelle grandi città. Sculture possenti nella loro fissità e autocontrollo. Come quelli delle statue, gli occhi dell’uomo, marroni, quasi neri, erano punti fissi che non conoscevano cedimento né riposo. I tratti del viso erano marcati, eppure stranamente sfuggenti, difficili da ricordare. Più che di un uomo singolo, un individuo, si sarebbero detti i tratti di un tipo di uomo, un archetipo eterno. L’anacoreta pensò che forse era davvero un demonio e quell’aspetto non fosse altro che il calco di una statua, presa ad esempio per imitare un’apparenza umana.

Poi l’uomo si mosse. Con il braccio andò a cercare qualcosa che teneva al petto, sotto le vesti. Quando la sua mano ricomparve, stringeva il ciondolo di una collana. Il monile ricadde nel suo petto e l’anacoreta vide l’icona blasfema di un uomo dalle due teste, poste a lati opposti. Con gesto automatico l’anacoreta portò la mano al suo ciondolo, la croce che portava appesa al collo.

«Sei l’adoratore di un dio pagano?»

«Sono l’ultimo sacerdote di Giano bifronte, colui che guarda insieme al passato e al futuro. Colui che custodisce gli inizi e le fini, le entrate e le uscite e tutti i passaggi. Giano è presente quando qualcosa ha inizio e assiste quando ha termine. Vede chi entra e vede chi esce. Perché entrare e uscire sono entrambi parti del passaggio, così come passato e futuro sono momenti dello stesso tempo.» La voce dell’uomo era profonda, era possente, le sue parole terribili.  L’anacoreta però non si fece intimidire.

«Chi adori non è altro che Satana, l’Avversario. Solo a Dio, il Signore onnipotente, competono gli inizi e le fini secondo il Suo volere. Egli è l’unico Dio, creatore di tutto l’universo.»

«Non c’è inizio che non sia fine di qualcos’altro. E non c’è un tempo in cui ci sarà. Ogni fine è un inizio, ogni inizio è una fine. Pertanto non può esserci una fine assoluta, né un inizio assoluto. Il tempo si ripete e Giano l’osserva nel suo scorrere e ripercorrere. Non c’è creazione né distruzione, ma solo un infinito tempo che torna su di sé, con infiniti inizi e infinite fini.»

«Assurdi balbettii pagani. Il mondo fu creato da Dio secondo la Sua volontà, all’alba dei tempi. E avrà fine secondo la Sua medesima volontà, quando Egli lo vorrà.»

L’uomo non replicò a quella affermazione, anche se il diniego era evidente nei suoi occhi. Le sue successive parole parevano al contrario sconnesse dal discorso precedente.

«Io giungo ad annunciare una nuova fine e con essa un nuovo inizio.»

«L’unica fine che giunge è l’adorazione del tuo dio malefico e falso.»

«Sì! Essa giunge al termine e inizia una nuova era. Ma anche quest’era terminerà e in lunghi anni tornerà a ripetersi. Oggi la verità di Giano viene a morire, ma domani tornerà a risorgere. E domani è ieri, poiché tutto torna a ripetersi. Le due teste di Giano vedono il passato e il futuro e in ciò Giano vede sé stesso, poiché il futuro è il passato che tornerà a essere e il passato è il futuro che è già stato!»

«Eresie e stupidaggini! Lascia queste idee diaboliche, invoca Dio e chiedi il Suo perdono. Che ti mostri la via, la verità, la salvezza! Altrimenti la tua fine sarà solo l’eternità delle pene infernali!»

«No. La mia fine è già stata scritta. Conosco il mio passato, conosco il mio futuro.»

«Solo Dio conosce ciò.»

«Giano osserva, Giano vede. Giano ricorda ciò che è stato e ciò che sarà: questi due momenti non sono che la medesima cosa.»

«Giano non è altro che un inganno di Satana!»

«Il mio passato è morire come ultimo sacerdote di Giano bifronte in quest’era, prima che essa ritorni. Il mio futuro è rinascere tra molti eoni e ridiventare suo sacerdote.»

«Non ammetto altre bestemmie!»

E con forza che non ci si sarebbe aspettato da un corpo così magro, così secco, l’anacoreta afferrò con dita che parevano artigli l’amuleto dalle due facce, lo strappò all’uomo e lo gettò al suolo, calpestandolo con forza.

L’uomo osservò immobile, ma una silente fiamma ardeva nei suoi occhi. Quando parlò la sua voce era bassa, soffocata, le sue parole piene d’odio, di rivalsa e di terribile verità.

«Il tuo futuro è ritornare a nascere, ritornare a calcare queste terre, ritornare a uccidere la moglie che credevi infedele, il figlio che credevi nato da adulterio. Ritornare a cercare un impossibile perdono in un eremo. Il tuo passato è…»

Ma le restanti parole furono coperte dall’urlo dell’anacoreta e dall’affondo del coltello che l’eremita aveva afferrato dal tavolo e conficcato, in profondità, nel collo del sacerdote di Giano.

L’uomo cadde a terra, tenendosi il collo e contorcendosi per qualche secondo, prima di spirare. Non gridò neppure una volta. L’anacoreta restò a fissarlo, lo sguardo incollato, il respiro affannoso. Le parole dell’uomo, del sacerdote di Giano, gli risuonavano in testa. Sia quelle dette, sia quelle non dette, che pure comprendeva.

“Il tuo passato è uccidere l’ultimo sacerdote di Giano. È il sangue nelle tue mani che versi oggi, che hai versato ieri e che verserai domani.”

Sul suolo della capanna i due volti di Giano osservavano impassibili ciò che vedevano da sempre e che per sempre vedranno: il passato e il futuro, connessi in un tempo eterno e circolare senza fine e senza inizio.

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