Nello scrivere questo commento a Il primo Re, ho la consapevolezza che buona parte, se non tutti, di coloro che erano interessati alla visione del film di Matteo Rovere hanno quasi sicuramente avuto modo non solo di andare al cinema ad assistere alla proiezione, ma anche di leggere qualcuno dei numerosi commenti relativi al film. E non per niente, anche qui su Hyperborea è stata pubblicata una esauriente recensione ad opera del nostro Riccardo Maggi.
Per questo motivo, le mie considerazioni daranno per scontato non solo che il lettore non tema eventuali spoiler, ma anche che conosca almeno in parte l’accoglienza riservata alla pellicola che ripercorre i passi dei due gemelli chiamati a dare l’avvio, ciascuno a suo modo, alla storia dell’Urbe Eterna.
Almeno per il secondo aspetto, possiamo dire di trovarci di fronte ad un pressochè completo accordo riguardo le caratteristiche positive de Il primo Re.
Se si escludono i deliri senili di giornalisti un tempo famosi che non vale neanche la pena citare in questa sede, è evidente come la confezione formale del film, la cura tecnica e la prova attoriale dei protagonisti abbiano soddisfatto la maggior parte del pubblico, stupendo per qualità anche coloro che coltivavano pur leciti dubbi su un progetto tanto impegnativo.
Persino il temuto uso di un latino arcaico ricostruito per l’occasione, e l’inevitabile necessità di possedere un minimo di cultura classica per apprezzare completamente la vicenda, non sono stati ostacoli sufficienti a sminuire l’impatto di un lavoro che – obiettivamente – è ben fatto, avvincente e culturalmente propositivo.
Come rilevato dai più, finalmente abbiamo un film italiano di livello che tratta – in positivo! – un tema cardine della storia e dell’immaginario nostrani. Una rarità che solo per questo intento merita interesse e diffusione.
In più, aldilà della recitazione suggestiva dei due attori protagonisti, tra cui spicca ovviamente il main caracter di Remo interpretato da Alessandro Borghi, è la vividezza nella ricostruzione dello scenario arcaico e tribale dell’Italia preromana a colpire la mente dello spettatore, catapultato in un’età del ferro sporca e sanguinosa, eppure non priva di afflato mistico.
Nondimeno, esistono lati critici che gli appassionati di storia romana e nello specifico dei suoi aspetti antropologico religiosi non hanno potuto far passare sotto silenzio, e che personalmente ritengo vadano anche in questa sede enumerati.
Primo fra tutti, la riduzione della religione romana arcaica ad una congerie di credenze quasi totemiche, fumose e indistinte. Dispiace dirlo, ma riguardo questo aspetto, la decantata opera di assistenza degli “esperti “ alla produzione non ha centrato il bersaglio.
Se nel film ha un ruolo fondamentale la cattura e la conservazione del fuoco sacro (non a caso affidato a una Vestale), la mancanza anche solo di accenni all’origine di questa fiamma e al perchè essa sia fondamentale, diventa un vuoto non solo di realismo “culturale”, ma anche di sceneggiatura, andando a illanguidire le motivazioni che spingono all’azione i protagonisti.
Non si poteva pretendere certo una impostazione à la Dumezil della religione romana, ma non citare mai i nomi degli dèi, rendere la vestale una sorta di strega, mostrare invocazioni di sapore Wicca a una triplice Dèa senza mai accennare a Marte… Ebbene, si poteva fare di più e meglio, e di occasioni ve ne erano.
Tornando ai protagonisti, essi soffrono, ahinoi, di un medesimo trattamento.
Le origini mitiche di Romolo e Remo, che certo non avevano bisogno di una riproposizione pedisequamente aderente alle narrazioni antiche, avrebbero dovuto essere in qualche modo mostrate, cosa che non avviene se non in un breve e poco significativo flashback.
Rimarcare questa assenza non è mero puntiglio.
Rievocare la nascita dei gemelli e le loro traversie avrebbe dato infatti modo di spiegare i perchè di una avventura sanguinosa che, in assenza dello spunto iniziale, pare scaturire quasi dal caso e talvolta motivarsi per inerzia. Avventura che in più si conclude sì sul ciglio del pomerium di Roma, ma senza che purtroppo se ne veda il fatidico solco di fondazione, per cui tanto si è combattuto. Ahia…
Mi sono fatto l’idea, su questi punti, che diverse di queste magagne – che pure, ricordiamolo, non inficiano il giudizio postivo sul film – siano da attribuirsi forse alla fase di montaggio, dove sono probabilmente state tagliate sequenze che magari potevano sopperire a tali difetti, eliminate tuttavia per questioni di minutaggio; chissà che una futura versione dvd non ristabilisca il giusto equilibrio alla storia con i dovuti contenuti speciali.
Non è bene comunque concludere queste considerazioni ponendo l’accento sui difetti de Il primo Re.
Il lavoro firmato da Matteo Rovere è e resta un esempio di cinema in grado di imporsi sulla scena ad alti livelli, giocandosela alla pari con produzioni estere che da troppo tempo lucrano su blasoni e titoli tutti da dimostrare. La via giusta – è proprio il caso di dirlo – è tracciata.