CONCEPT DELL’EROE – SCRITTURA E PROGETTAZIONE DEL PERSONAGGIO FANTASY DI FRANCESCA ROMANI – PARTE 3

Di seguito, la terza parte della tesi di laurea di Francesca Romani, discussa con il prof. Alessandro Forlani all’Accademia Belle Arti Macerata, recante il titolo “Concept dell’Eroe – scrittura e progettazione del Personaggio fantasy”.

PRIMA PARTE

SECONDA PARTE

 

INTRODUZIONE

tesi di laurea di Francesca Romani

relatore prof. Alessandro Forlani

 

Questa tesi vuole essere un’analisi approfondita della creazione teorica e pratica del Personaggio fantasy. Si tratterà di tutta la fase che riguarda il punto di vista narrativo: come si crea un buon personaggio, quali sono le caratteristiche psicologiche da tenere in mente, quale è lo scopo della sua esistenza, quale è il suo fatal flow, ecc.; come si realizza un habitat fantastico e quali sono le regole da rispettare per rimanere coerenti nelle informazioni. La struttura in tre atti e il viaggio dell’Eroe.

Successivamente si parlerà della concept art: della sua natura, di dove e come viene messa in pratica. Dove vi sono lacune e dove invece non vi è possibile commettere errori. La concept artcome traduzione dalle parole all’immagine; dall’idea al concreto. Quali sono gli elementi fondamentali per il concept artist e quali strumenti utilizza.

Si comprenderanno meglio le informazioni precedentemente date grazie a tre interviste a professionisti: Andrzej Sapkowski, scrittore della collana di romanzi che vede protagonista Geralt di Rivia; Joe Dembinski, creatore della serie ”Bob the Builder” ”Pingu”; Stephen Cunningham, concept artist e modellatore 3D.

Inoltre verrà presentato un progetto personale che vede la realizzazione di un concept che ha come protagonista Geralt di Rivia, utilizzando proprio la trasposizione da opera letteraria a opera artistica di cui si è parlato precedentemente, creando però una nuova versione di esso, ambientandolo nell’America degli anni ’50, come un “detective-ammazza mostri” professionista.

Concept dell’Eroe – scrittura e progettazione del Personaggio fantasy parte 3

tesi di laurea di Francesca Romani

relatore prof. Alessandro Forlani

 

3.   Intervista ai professionisti

Per contestualizzare sia dal punto di vista teorico che pratico la concept art, sono state intervistate tre diverse figure professionali che possano far capire meglio i meccanismi all’interno dell’industria progettuale: un romanziere fantasy di grande successo, un animatore di serie tv stop motion per bambini e un giovane concept artist e modellatore 3D.

 

3.1.   Andrzej Sapkowski

Andrzej Sapkowski, scrittore polacco di romanzi fantasy, è proprio il creatore del personaggio che andrò a analizzare e ricreare nel mio progetto pratico personale. I suoi romanzi sono stati tradotti in molte lingue, ispirando anche la creazione di un videogioco molto quotato, che ha divertito e diverte milioni di persone: “The Witcher”. Uno, due e tre sono le versioni del videogioco, ma non è stata l’unica versione della storia sviluppata: sono state girate anche due serie tv, di poco successo, ma comunque relativamente attinenti alla storia originale e ai suoi personaggi.

Ho scelto di analizzare il caso di Sapkowski proprio per le numerose riproduzioni visive esistenti del personaggio principale, Geralt, strigo e cacciatore di mostri, mezzo uomo e mezzo mutante che ha catturato milioni di lettori e successivamente gamers, con la sua travagliata e contorta storia e con la sua misteriosa personalità.

Contattando la casa editrice italiana che ha pubblicato i suoi lavori, la Nord, si è riuscita a ottenere la possibilità di fare un’intervista via mail a Sapkowski, il quale, disponibilissimo, ha risposto dopo qualche settimana alle mie domande.

Ho voluto approfondire la questione della personalità di Geralt, capire se secondo lui le riproduzioni visive dei videogiochi e delle serie tv corrispondano alla sua idea di Geralt. Lo scrittore ha risposto che i suoi personaggi non sono visivi, bensì composti di parole:

“I create the storyline by writing letters, not by describing pictures. I see letters only. I am not a visualist. Hence my difficulties in accepting other people’s graphics. Some graphics I like, some I don’t. But I rarely can say: “This picture corresponds with my vision”. Because I have no vision at all.”

Inoltre si era curiosi di sapere che cosa o chi lo avesse ispirato a narrare una storia su di uno strigo. Sapkowski ha parlato più di stimolo che d’ispirazione: la storia infatti è stata scritta per una competizione letteraria promossa da ”Fantastyka”, il più grande magazine SF polacco, nel 1985.

Egli non voleva scrivere la solita storia fantasy, dove il classico eroe è l’unico che può sconfiggere l’orrendo mostro, per poi aggiudicarsi l’amore di una principessa. Lui voleva creare qualcosa di originale e meno stupido della canonica “favola”:

“In fantasy – or in fantasy universes – shoemakers make shoes, the eliminating of monsters is a job for professionals. For very special professionals. Working for money, not for princesses. And that’s how I invented Geralt the Witcher, the professional eliminator of monsters.”

 e infatti ci è riuscito.

La parte emozionale di Geralt è molto complessa: infatti egli essendo un mutante non dovrebbe provare alcun sentimento, ma in realtà vive una contorta storia d’amore con la strega Yennifer.

Sapkowski spiega che uno strigo senza sentimenti sarebbe stato uno strigo noioso, non interessante. La scelta di renderlo anche metà uomo ha reso possibile l’inserimento della parte emozionale, utile a catturare il lettore: problemi, inganni, tribolazioni e relazioni sentimentali con l’altro sesso sono tutti elementi fondamentali per rendere un personaggio interessante.

Infatti:

“At one moment Geralt says to Yennefer: – Yes, I was stripped of feelings. But not utterly. Whoever did it make a botch of it. –

And who really made the botch? I did.”

Si è poi discusso delle figure mostruose presenti nel libro: sono descritte solo in parte e da dove traggono origine?

Sapkowski decide di proposito di non dare dettagli visivi al lettore delle creature incontrate da Geralt lasciando totale libertà d’immaginazione a chi legge, sia per motivi di appeal alla lettura, sia per motivi pratici:

“I am giving the reader very scarce (if any) information about how the monster looks like and what it does. When it is of no importance to the plot, why bother?”

Egli divide le sue creature e mostri in tre tipologie: classici mostri presenti nella mitologia e nelle favole folkloristiche (figure canoniche con nomi classici come draghi, elfi, lupi mannari, vampiri, grifoni, ecc.), tutti sanno come sono fatti e che cosa fanno; mostri prodotti dalla sua immaginazione, inventati ma con nomi di creature esistenti, come insetti dal nome latino; creature prodotte completamente dalla sua immaginazione, nomi inclusi.

Si è chiesto poi a proposito della figura della driade, molto accattivante. Infatti la parola “driade” nella mitologia greca, si riferisce a creature pacifiche e indifese, ma Sapkowski ha deciso di renderle l’esatto opposto: coraggiose, formidabili, spaventose…

“…and unyielding in defence of their forest, their home and shelter. And their whole world, their universe, which is on its way to annihilation. Classic dryads in ancient Greece would probably yield, allow themselves to be exterminated without resistance. My dryads fight back.”  

Per gli archetipi, lo scrittore utilizza classici di Jung[1] e a volte alcuni di Joseph Campbell: talvolta distorce i classici, talvolta ne inventa di nuovi.

Lo stile narrativo è davvero particolare, perché non ha filtri: brutale, erotico e a volte anche romantico. Ogni cosa viene detta. La ricetta?

Rispecchia il nostro mondo crudo, creando un…

“Intresting, gripping fantasy, not just another clichee arcadian Never Never Land.”

 

3.2.         Joe Dembinski

Joe Dembinski è uno dei fondatori, insieme a Jackie Cockle e Brian Little, di “Hot Animation”, uno studio di animazione stop motion con sede a Los Angeles. Il loro più grande successo a livello mondiale è sicuramente “Bob the Builder”, serie animata per bambini che racconta le simpatiche storie di Bob il costruttore e delle sue macchine parlanti.

Seguì “Rubbadubbers” e successivamente, nel 2003, ricrearono con grande successo “Pingu”, la famosissima serie in stop motion sulle avventure di Pingu, un pinguino pasticcione che vive insieme alla sua famiglia in un igloo.

Ho avuto l’onore di conoscere Joe durante il mio study-placement a Manchester, all’ ”University of Salford”, dove lui svolge anche il ruolo di insegnante del corso di Animazione.

Si è colta l’occasione per capire meglio quali siano i passaggi che un bravo animatore deve compiere per portare a termine un buon lavoro, e riuscire nell’intento di creare il personaggio giusto con le giuste caratteristiche e attinente al progetto originale. Secondo Joe:

“I think the most fundamental things in the concept phase for me are story and making sure that the style fits well with the method of production.

[…] each creation has its own set of problems, but I would say that the story has to be strong as this is what will make the program a success or a failure. “A good story will carry a poorly animated program, but a well animated program will fail if the story is weak”.”

Nella fase progettuale di “Pingu”, serie già esistente dal 1986, ma rinnovata e rimessa poi in onda da Hot Animation, il team ha cercato di non cambiare il design originale, facendo un’estensiva ricerca per rimanere il più fedele possibile alla serie precedente.

Anche “Bob the Builder” è stato ideato precedentemente da altri, ma differentemente da “Pingu”, di esso era già stata fatta una puntata pilota, che però non aveva avuto molto successo e non funzionava così com’era. Il loro designer Curtis Jobling ha ridisegnato i personaggi, rendendoli più appetibili per il giovanissimo pubblico a cui era rivolto, così…

“The Bob characters were re-designed so that they would be more child friendly. So, younger looking, childlike proportions and a brighter colour scheme.”

Si è poi chiesto a Joe di illustrare in ordine di messa in atto le sue fasi esecutive, dal progetto all’episodio finito.

Si inizia con la scrittura della storia, seguita dal design dei personaggi, entrambi utili a stabilire lo stile che la produzione dovrà prendere.

Poi la storia viene trasformata in sceneggiatura e vengono registrate le voci dei personaggi, mentre nello stesso momento si lavora al set e alla creazione dei personaggi in carne e ossa, o meglio dire, in plastilina e fil di ferro.

Dalla registrazione vocale dei dialoghi si ricava poi lo storyboard, che servirà alle prove di scena con burattini e ambientazioni. Questo per essere sicuri che lo stile adottato sia attinente per lo show. E ora il programma è pronto per essere prodotto.

Mentre si gira, ogni scatto approvato viene inviato alla redazione che si trova nella parte dedicata all’animatic[2]; questi formano un gruppo di scatti che verranno montati grezzamente. Poi l’editor rifinirà lo spettacolo, aggiungendo brani, dialoghi, effetti sonori, ecc. Il programma è ora pronto per essere controllato, in modo che sia conforme a tutte le verifiche di qualità prima di essere trasmesso.

Mestiere duro quello dell’animatore stop motion: ogni micro spostamento deve essere fotografato per risultare poi un movimento continuo come in un video. Tanti scatti, movimento lento; pochi scatti, movimento veloce. Riuscire a ottenere la giusta velocità e movimento è davvero complicato.

 

3.3.         Stephen Cunningham

Parlando invece del giovane Stephen Cunningham, si introduce quello che è la vera e propria Concept Art. Artista CG (Computer Graphic), Stephen è specializzato nell’arte visiva per i videogiochi, per l’industria del cinema e dei media. Lui è un vero e proprio modellatore freelance: infatti ha lavorato nel dipartimento di grafica multimedia come specialista 3D e capo del settore modellazione nella pubblicità per l’azienda “a.o.”, nel settore elettrico dal 2001.

Anche Stephen è un docente all’University of Salford e con lui si è imparato a creare personaggi in 3D con l’utilizzo del programma Autodesk 3D Studio Max, software che, insieme a Maya, viene utilizzato per l’animazione da grandi nomi quali Pixar e Dreamworks.

Essendo specializzato nella modellazione 3D, Stephen ha realizzato una serie di progetti che concorrono a creare il suo vasto portfolio, dal mostriciattolo, alla creazione di un vero e proprio videogioco, ancora in fase di elaborazione.

Secondo Stephen la cosa fondamentale per riuscire a ottenere un ottimo risultato è creare un rapporto con il cliente: bisogna avere una buona visione e comprendere a pieno ciò che il cliente vuole, ma se questo non si ritenesse necessario, bisogna comunque avere una forte e chiara idea di quello che si vuole ottenere.

“Take for example this speed art I created for myself, I took inspiration from the geopolitical expansion of the European union and its encroachment into the old soviet bloc, which generated news hand-lines and coverage of the conflict within Ukraine. So inspiration can be taken from any were, weather another artist or current trend in fashion, or political movements or social culture.”

Il grande problema che si può incontrare durante la fase progettuale, Stephen lo individua ne “l’incapacità di avere una visione abbastanza forte del risultato finale e il non essere flessibile e aperto alle idee che si presentano in un secondo momento”. Questa complicazione la sente parte di sé, ma la riconosce anche nella maggior parte delle persone, come anche nei suoi colleghi.

Generalmente egli inizia a lavorare immaginando quello che sta per sviluppare, prima ancora di iniziare a fare qualsiasi cosa: si parte dallo studio approfondito di ogni punto del brief (consegna), cercando di capire i desideri e la visione del cliente. Una volta compresi i punti fondamentali, intraprende la stesura delle idee attraverso schizzi e bozzetti:

“…these early concepts are the building blocks I used to develop a completed piece of work.”

Gli approcci al lavoro ovviamente sono differenti in base al tipo di progetto che si sta andando a affrontare. A esempio:

“…when I create characters, I general like to start out by digitally sculpting my concepts as appose to sketching them as it works faster for me to do it in this way.”

Ovviamente da professionista, Stephen può permettersi di saltare la fase progettuale del concept quando si tratta di progetti personali, ma si sa che se ci si deve interfacciare con un cliente, la fase del concept è quella fondamentale, perché permette di capire a entrambe le parti quali siano le scelte migliori da prendere e come si andrà a sviluppare il lavoro.

Infatti, durante le sue lezioni, una delle cose fondamentali e per cui si è impiegato più tempo è stata proprio la fase progettuale del personaggio: partire dalla “Mind Map”[3] per delineare le caratteristiche psicologiche del personaggio, facendone poi caratteristiche fisiche; seguiva lo studio dell’abbigliamento e della fisionomia. Essi sono passaggi fondamentali per risparmiare tempo durante la fase della modellazione 3D.

 

NOTE:

[1] Classici di Jung: “archetipi” come modelli di temperamento che discendevano dall’antichità dell’uomo e che rappresentavano un’eredità comune all’intera specie umana. Questo termine è stato coniato da Carl Gustav Jung, psicologo e antropologo svizzero.

(Vogler, C. (2004). Il viaggio dell’eroe. Roma: Dino Audino)

[2] Animatic: sviluppo dello storyboard televisivo in un certo numero di sequenze che in sostanza animano delle illustrazioni. Viene impiegato dall’agenzia per dare al cliente un’idea sufficientemente precisa di quello che sarà il telecomunicato finale.

(Area glossario. (n.d.). http://www.qubestudios.it/glossario.php)

[3] Mind Map: forma di rappresentazione grafica del pensiero teorizzata dal cognitivista inglese Tony Buzan, a partire da alcune riflessioni sulle tecniche per prendere appunti. Il fine consiste nell’implementare la memoria visiva e quindi la memorizzazione di concetti e informazioni in sede di richiamo. (Wikipedia)

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