
Dungeons and Dragons: la rivoluzione che ha cambiato per sempre l’immaginario fantasy
di Salvatore Santangelo
Nel 1974 – 45 anni fa – nasceva Dungeons & Dragons: un fenomeno ludico-culturale destinato a segnare profondamente l’immaginario collettivo (in Italia sarebbe sbarcato nel 1985, nella famosa scatola rossa della Editrice Giochi; si trattava della terza edizione delle regole revisionate da Frank Mentzer).
D&D – giunto oggi alla quinta edizione (la più venduta di sempre) – viene alla luce come una produzione semi-amatoriale di tre manualetti scritti da due appassionati di wargame tridimensionali – Gary Gigax e Dave Arneson – ed è considerato il primo vero gioco di ruolo, nel quale i partecipanti interpretano un personaggio sotto la guida di un Master, interagendo in un’ambientazione fantasy.
Negli anni successivi il gioco di ruolo è esploso come fenomeno pop. Da allora il mondo del gaming è cresciuto a dismisura. Oggi, solo per quanto riguarda i giochi da tavolo, si tratta di un’industria mondiale da un miliardo di dollari annui.
Per D&D, Gygax e Arneson crearono un mondo fantastico, ispirato all’immaginario fantasy dell’epoca, plasmato dai racconti e dai romanzi di Robert Howard (i cicli di Conan e di Kull), di Jack Vance (le cui storie del ciclo della ”Terra morente” hanno avuto una grande influsso sul sistema della magia immaginato per il gioco), di Fritz Leiber (autore del ciclo di Fafhrd e Gray Mouser) e di tutto il mondo delle riviste pulp-fantasy.
Questo medioevo fantastico è popolato da creature mitiche e personaggi di ogni genere, incarnazioni ”virtuali” dei giocatori che costruiscono le proprie avventure interagendo fra loro: il tutto governato dagli oggetti-simbolo di D&D, i dadi poliedrici dispensatori di fortune e modificatori dei destini.
Come si legge nella presentazione del gioco: ”D&D è un fantastico, eccitante e immaginifico gioco di interpretazione di un ruolo. Ogni giocatore crea uno o più personaggi, che possono essere nani, elfi, halfling o combattenti, incantatori, pii chierici e astuti ladri. I personaggi si tufferanno poi in un’avventura in una serie di segrete, tunnel, caverne, condotta da un altro giocatore: l’arbitro, anche chiamato Dungeon Master. I dungeon sono pieni di mostri paurosi, tesori favolosi e terribili perigli. Se i giocatori giocano una partita dopo l’altra, i loro personaggi crescono in potere e abilità: gli incantatori imparano altre formule magiche, i ladri crescono in astuzia e abilità, combattenti, nani, elfi e halfling combattono con accuratezza sempre più letale e sono più difficili da uccidere. Presto gli avventurieri oseranno andare ogni partita sempre più in profondità nei dungeon, affrontando mostri sempre più terribili e, naturalmente, raccogliendo tesori più grandi e favolosi! Il gioco è limitato solo dall’inventiva e dall’immaginazione dei giocatori. All’interno dello stesso magico universo”.
Una descrizione che racchiude in sé tutte e quattro le dimensioni del gioco classificate da Roger Caillois; quattro categorie che corrispondono ognuna a un preciso bisogno psicologico: “Agon” (la competizione), “Alea” (il caso), “Mimicry” (il travestimento, la mimica, la finzione) e infine “Ilinx” (la vertigine e il terrore).
Il termine dungeon non ha una traduzione immediata in italiano: si avvicina alla parola medievale ”dongione”, che definisce una torre destinata a ospitare la residenza del signore feudale.
Nel gioco invece il dungeon è un gruppo di stanze e di corridoi in cui possono essere trovati mostri e tesori, ovvero una struttura di ambienti, ma anche di situazioni collegate insieme, con un ingresso e un punto di arrivo in cui organizzare l’esplorazione di un gruppo di avventurieri-incursori alla ricerca di nemici e ricchezze. Accanto al dungeon, Gygax e Arneson, scelsero – come simbolo del gioco – il mostro dei mostri, il Drago.
Questo tipo di cultura underground – interattiva, “personale” e mimetica – ispirata alla creazione di nuovi mondi, divenne il modo dominante nei campus americani (e di molti giovani europei) ma soprattutto dei primi creatori della tecnologia informatica. Sulle primitive ”reti” – insieme ai documenti e alle mailing list dedicate a ”Star Trek” (e più tardi anche a ”Guerre Stellari” – gli ”scambi” riguardanti D&D divennero esponenziali.
Il giornalista del Time Magazine, James Poniewozik si è spinto a paragonare la narratività non-lineare di ”Dungeons & Dragons” alla non-linearità stessa del web, come qualcosa che ne condivide lo spirito e l’approccio; Ethan Gilsdorf – sulle pagine del NYT – ha descritto i manuali di gioco come una nuova forma di letteratura, potenti strumenti per lo storytelling.
Un’ulteriore svolta avvenne – sempre in quel periodo che combacia con la fine degli anni Settanta e soprattutto gli Ottanta – con la nascita dei primi videogiochi commerciali che assunsero una caratterizzazione sempre più netta grazie all’esempio dei creatori di D&D: il loro set di regole e il loro universo fantastico plasmarono la base e lo standard sui quali costruire tutte le “varianti” che hanno riempito l’immaginario degli appassionati.
Un contributo fondamentale si deve anche alla maestria dei tanti illustratori che, con la loro arte, hanno dato concretezza ai sogni di Gygax e Arneson; in primis Larry Elmore (autore delle meravigliose copertine dell’edizione revisionata da Frank Mentzer e dell’ambientazione di ”Dragonlance” che hanno entusiasmato milioni di lettori) e poi Jeff Easley e Clyde Caldwell.
Nel frattempo il fantasy si è molto evoluto, scavalcando la matrice con cui l’abbiamo conosciuto. Pensiamo alla forza mainstream della saga di George R.R. Martin da cui è tratta la serie tv del ”Trono di Spade”, con il suo innovativo e visionario linguaggio. Questa immensa attenzione e il rinnovato entusiasmo per il fantastico passano anche attraverso il mondo dei giochi di ruolo. Oggi lo spirito di D&D è ovunque. E il grande successo di ”Stranger Things” è qui a testimoniarlo.
Per il game’s designer Jeremy Crawford il motivo sta proprio nella sua dimensione fantastica: ”D&D è ancora qui dopo più di 40anni proprio perché è, per definizione, fantasy; il fantasy va oltre il momento storico e tocca la leggenda, il mito. Mostri, Dei, castelli, ricerche, viaggi: il fantasy è un ritorno a casa, a una cultura che ci è familiare e che ci definisce più di ogni altra”. Ma in fondo che cosa è un gioco di ruolo? Come ha magistralmente spiegato Frank Mentzer: ”Un gioco di ruolo non è nient’altro che l’unico tipo di improvvisazione teatrale nel quale sono gli attori stessi a concorrere alla scrittura del copione”.
”I creatori del gioco di ruolo volevano che le persone condividessero esperienze, amando le storie che creano, senza che la piattaforma diventasse un ostacolo”, ha spiegato l’esperto statunitense Nathan Stewart. Infatti, nelle intenzioni iniziali, Gigax e Arneson non volevano creare un gioco nuovo, ma una serie di regole che espandesse la loro esperienza ludica in un’avventura senza fine, basata sul racconto (oggi diremmo sullo storytelling): ”Quei giocatori che hanno una fantasia sconfinata troveranno in queste regole la risposta alle loro preghiere”, spiegava il primo manuale di D&D. Uno spazio libero per l’immaginazione e un’opportunità per esplorare le nostre identità.
Ma qui entriamo in un’altra dimensione, quella degli archetipi. Johan Huizinga, autore del famoso saggio “Homo Ludens”, divide i giochi in due grandi famiglie: la lotta per qualcosa (la competizione) e la gara fra chi rappresenta meglio qualcosa (la rappresentazione appunto). Di sicuro – e questa storia lunga quarant’anni è qui per dimostrarlo ancora una volta – il gioco è un bisogno primario dell’uomo. “Si possono negare quasi tutte le astrazioni: la giustizia, la bellezza, la verità, la bontà, lo spirito. Si può negare la serietà” – scrive ancora Huizinga – “ma non si può negare il gioco”.
Per chi volesse approfondire: la grafic novel “The Rise of The Dungeon Master” (incentrata proprio sulla figura di Gary Gygax); sulla grafica dei manuali e delle avventure “Art & Arcana”; sugli albori di questa nuova industria culturale “Empire of Imagination” (di Michael Witwer) e “Of Dice and Men” (di David M. Ewalt).
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