La sapienza di Eibon – Termine: colui che non si piega a Giove

Termine: colui che non si piega a Giove

di Alessandro Manzato

 

Si racconta che quando il re Tarquinio il Superbo – al quale la tradizione riconosce, accanto alle molte nefandezze commesse, la costruzione di importanti opere edili, non ultima la Cloaca Massima, il grande sistema fognario della Roma antica – volle edificare il tempio a Giove Capitolino sul Campidoglio, si dovette prima trarre gli auspici per la sconsacrazione e l’abbattimento dei tempietti delle varie divinità che costellavano il colle. Tutti gli auspici furono favorevoli, ossia, secondo l’interpretazione romana, tutte le divinità si ritrassero per fare spazio al capo degli dei. Tutti tranne uno: il dio Termine, colui che presiede i confini[1]. Solo lui rifiutò di piegarsi al volere di Giove, pertanto fu profetizzato che i confini romani non sarebbero mai retrocessi[2].

A differenza di quanto il suo nome farebbe pensare, Termine non presiede tanto alla fine in senso temporale (con però un’importante eccezione), quanto piuttosto spaziale: egli è la divinità tutelare dei confini e dei limiti; suoi sono i cippi di confine e le pietre terminali. Se Giano è la divinità che presiede al passaggio da un luogo a un altro, Termine è colui che fissa i confini tra quei diversi luoghi. Ma il ruolo di Termine può essere interpretato oltre i suoi tradizioni attributi fisici. In quanto pone dei limiti, delimita dei confini, si può dire che Termine definisca la realtà. Ogni cosa infatti è quella determinata cosa e non un’altra perché ha dei confini che la separano da tutte le altre. Se questa delimitazione, che è anche una determinazione, non ci fosse, tutto sarebbe mischiato in un insieme vago e indefinito. Poiché delimita, Termine permette le esistenze individuali, determinate. L’esistenza di un confine, di una determinazione, è dunque premessa e fondamento per l’esistenza stessa: a tutto ciò presiede Termine.

Il suo culto non è originario di Roma, ma vi fu introdotto, insieme ad altre diverse divinità, dal re sabino Tito Tazio[3], co-regnante con Romolo dopo il ratto delle Sabine. Fu poi oggetto di legislazione da parte di Numa Pompilio, il secondo re di Roma e grande riorganizzatore dei riti religiosi, che ordinò ai romani di collocare delle pietre consacrate a Giove Termine per fissare i confini dei propri campi[4]. Fissava inoltre, per chi togliesse o spostasse questi cippi, la proclamazione a homo sacer: costui veniva proclamato “sacro”, ossia consacrato agli dei: sarebbero stati essi, non gli esseri umani, a decretarne il destino e il giudizio. Destino tutt’altro che invidiabile, poiché significava che le leggi umane non lo proteggevano più e che chiunque poteva ucciderlo impunemente: la sua morte sarebbe stata considerata frutto del giudizio divino. L’introduzione del culto di Termine e la collocazione dei cippi di confine nel periodo indicano inoltre il passaggio da una società basata sulla pastorizia, in cui i terreni dove far pascolare le pecore sono in comune e pertanto non richiedono la sistemazione di confini, a una agricola, in cui i campi sono rigorosamente delineati e separati[5]. Il non rispetto di questi confini è sancito come un autentico sacrilegio, un infrangere il patto tra uomini e dei, la pax deorum, incorrendo così nella pesante pena dell’homo sacer.

A Termine era inoltre dedicata un’importante festa, chiamata Terminalia, in cui venivano celebrati proprio i cippi di confine tra le varie proprietà e adornati con ghirlande di fiori, mentre la festa pubblica si svolgeva attorno alla pietra miliare del VI miglio sulla via Laurentina, che segnava l’estensione originale del territorio di Roma[6]. Originariamente non venivano sacrificati animali, bensì si offrivano al dio prodotti agricoli; Termine rifiutava i sacrifici cruenti. Successivamente tuttavia si diffuse anche il sacrificio di agnelli o cuccioli di maiali, il cui sangue bagnava i cippi. La festa si teneva il 23 febbraio: data importante in quanto precedeva la cerimonia del regifugium del 24 febbraio. In questo giorno veniva messa in atto la fuga rituale dal Comizio del rex sacrorum, il magistrato che, nel passaggio di Roma da monarchia a repubblica, aveva ereditato le funzioni sacerdotali dei re romani. Questo può far pensare che il regifugium fosse la ripetizione simbolica della scacciata dell’ultimo re di Roma – quello stesso Tarquinio il Superbo sotto il cui regno era stato edificato il tempio a Giova Capitolino – un’interpretazione proposta dallo stesso Ovidio[7]. È stata anche proposta una diversa interpretazione: prima della riforma giuliana del calendario l’anno a Roma era composto da dieci mesi e incominciava a marzo. Il 24 febbraio corrispondeva all’odierno 24 dicembre, in prossimità quindi del solstizio d’inverno: la fuga del rex sacrorum avrebbe quindi simboleggiato il “fuggire” del Sole nel giorno del solstizio, per poi ritornare con l’anno nuovo, quando le ore solari ricominciano ad aumentare. Come si collega tutto questo a Termine? Perché la festa in suo onore segnava dunque, nell’antico calendario romano, la fine – il termine appunto – dell’anno vecchio. Dio che fissa i confini dei campi e delle terre, Termine diventa qui colui che decreta la fine dell’anno, affinché un nuovo anno possa cominciare.

 

Per chiudere una piccola curiosità. Per quanto sia una divinità poco conosciuta Termine compare – ma questo termine è inesatto, in quanto egli è spesso nominato, ma mai mostrato – in un racconto della celebre serie a fumetti Sandman, scritta da Neil Gaiman. Il racconto è August e vede protagonista il primo imperatore di Roma, che per un giorno – un giorno di agosto, il mese che da lui prende il nome – si traveste da mendicante. Termine (e i confini a cui lui presiede) ha qui un ruolo fondamentale, tale da poterlo ritenere uno dei fili conduttori della breve storia. Neil Gaiman tuttavia opera un cambiamento non irrilevante trasformando “colui che non si piega a Giove”, in “colui di fronte a cui Giove si piega”, dando a Termine addirittura una predominanza sul capo degli dei. La figura del dio che Neil Gaiman riesce a tratteggiare è, pur nel suo non apparire mai, affascinante e maestosa assieme.

 

NOTE:

[1] TITO LIVIO, Storia di Roma dalla sua fondazione, I, 55.

[2] Tuttavia, sotto l’impero di Adriano, i Romani abbandonarono la Mesopotamia conquistata da Traiano; Agostino cita l’evento per dimostrare la falsità delle profezie pagane, AGOSTINO, De Civitate Dei, IV, 29.

[3] VARRONE, De lingua Latina, V, 74.

[4] DIONIGI DI ALICARNASSO, Antichità romane, I, 72. È da notare come, nella legge di Numa Pompilio, Termine sia un attributo di Giove e non una divinità autonoma. Anche in questo caso Agostino non manca di far notare questa e simili contraddizioni, AGOSTINO, De Civitate Dei, IV, 11.

[5] Culto di Termine, url: https://www.romanoimpero.com/2011/01/culto-di-termine.html

[6] OVIDIO, Fasti, 2, 682.

[7] OVIDIO, Fasti, 2, 685-852.

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