Grimdark World – La Geosofia del trono di spade

LA GEOSOFIA DEL TRONO DI SPADE

di Salvatore Santangelo

 

George Martin ha voluto svelare come è nata l’idea della sua travolgente saga: “La prima scena, l’incipit, quella in cui vengono trovati i cuccioli di meta-lupo, mi è balenata da non so dove. Ero al lavoro su un altro romanzo, e improvvisamente ho visualizzato questa scena. Non apparteneva alla storia che stavo scrivendo, ma mi è balzata in mente così vivida che mi sono dovuto sedere per scriverla di getto, e quando ho finito ero già al secondo capitolo in cui Ned fa ritorno dopo aver catturato e decapitato il ‘Corvo nero’ disertore”. Da queste immagini è scaturito un intero universo fatto di creature fantastiche, di meta-lupi appunto e soprattutto di individui che vivono e lottano per impossessarsi del Trono di Spade, forgiato con tutte le lame che sono state spezzate e fuse per conquistarlo. Un trono scomodo, che può persino ferire chi lo occupa incautamente. Martin ha poi aggiunto che un’altra molla è stata anche il senso di frustrazione provato ogni volta che si trovava a passare di fronte alla villa che il nonno aveva perduto al tempo della Grande Depressione. Una casa e uno status da riconquistare; qualcosa di simile al sentimento che anima Viserys e Daenerys Targaryen desiderosi di riprendersi il Trono di Spade usurpato dai Baratheon. Nel tempo, la storia si è sviluppata, evolvendo in un’acuta metafora dai meccanismi complessi e mutevoli. La grande attenzione che questa Saga (ormai diventata a tutti gli effetti un prodotto trans-mediale) sta raccogliendo, ha ormai travalicato gli stretti confini di “genere” mandando forti segnali culturali e politici: ne hanno parlato “The American Prospect”, “Foreign Policy” e persino “Foreign Affairs” che all’argomento ha dedicato ben due saggi (“Game of Thrones as Theory” di Charlie Carpenter e “Game of Thrones as History” di Kelly DeVries).


All’esplorazione delle motivazioni profonde che spingono i protagonisti all’azione è rivolto anche un volume dall’ambizioso titolo “La filosofia del Trono di spade – etica, politica, metafisica”, curato da Henry Jacoby (Ponte delle Grazie editore). Il primo dato su cui si sofferma il curatore è proprio la complessità dei personaggi che non sarebbero incastonati nel tradizionale schema del bene contro il male, ma presentano molteplici, problematiche sfumature che li avvicinerebbero alla nostra quotidianità.

Sul tema si è anche esercitata la classe dirigente di Podemos nel volume collettivo “Vincere o morire. Lezioni politiche nel Trono di Spade” (Nutrimenti). L’obiettivo – come ha affermato Juan Carlos Monedero (uno dei fondatori del Movimento, uscito successivamente dalla formazione “morada” dopo uno scontro interno con Iñigo Errejón) – sarebbe quello di: “Recuperare i racconti per tornare a parlare di chi comanda e di chi obbedisce”; quindi l’intento è quello di utilizzare una fiction che descrive, senza edulcorazioni, un mondo hobbesiano nel quale imperversano violenza, forza bruta, guerra e per definire la centralità del “politico” come condizione in grado di plasmare e soprattutto trasformare gli scenari. Una riflessione sull’ineluttabilità del conflitto come cambio di paradigma e contro l’immobilismo, la democrazia liberale, il neoliberismo.
Iñigo Errejón che ha di recente conteso la leadership del movimento a Iglesias, in questo senso è molto chiaro: “Il Trono di Spade rivela un’impronta politica, non tanto perché mostra la nuda verità che si nasconde dietro ogni ‘Sistema’ strutturato, ovvero la sua propensione alla conservazione del potere e alla guerra, quanto perché illustra come la lotta per istituire un nuovo ordine precede e determina la possibilità e i confini del conflitto”.


La questione centrale che viene affrontata è di strettissima attualità e rimanda al tema del potere e della rappresentanza politica: chi deve governare “I Sette Regni”? Martin ci ammonisce che tutti dobbiamo essere vigili, combattere e tenere la testa alta (finché è ancora saldamente ancorata al nostro collo, vista la pericolosità mortale di questo “gioco”).
Quindi, saremmo di fronte a una serie che contiene profondi riferimenti geopolitici e geosofici (nel senso del termine coniato a Berkley nel 1947, da John K. Wright, con cui egli intendeva l’esplorazione delle immagini che le persone hanno degli ambiti geografici, cioè “dei mondi che si trovano nella mente degli uomini”).
Esiste una chiara definizione spaziale: Nord e Sud – Est e Ovest. Potremmo persino arrivare a definire la grande Barriera (il Limes) come uno dei protagonisti stessi della narrazione, con un’interessante concatenazione di cause ed effetti che sembra sfuggita alla maggior parte degli osservatori, per lo più concentrati sul linguaggio esteriore.
Nel Continente occidentale (Westeros), una parte della popolazione (i Bruti) è tenuta fuori dal consesso dei popoli civili proprio dalla Grande Barriera protetta dalla Confraternità dei ‘Corvi Neri’ (a loro volta nobili decaduti, reietti e fuoricasta); ma in realtà la Barriera serve a proteggere “I Sette Regni” da un pericolo ancora più temibile: un’armata di non morti in grado di crescere a dismisura assorbendo tutte le creature che sconfigge.
Se i bruti, nella loro alterità (anarchici, violenti e con costumi aberranti – alcuni praticano l’incesto e il cannibalismo) appartengono comunque all’umanità (per quanto primitiva), gli Estranei sono  totalmente “alieni”.
Nella VI stagione abbiamo scoperto che questi ultimi, a loro volta, sarebbero stati involontariamente creati dai Primi uomini (custodi dell’ordine naturale?) per difendersi dall’aggressione e dalle devastazioni delle genti civilizzate.
Siamo forse di fronte a una reazione scomposta generata dai frutti avvelenati della Globalizzazione, “un ritorno di fiamma”?
La dinamica descritta da Martin è interessante: la civiltà devasta l’ordina naturale che – a sua volta – si ribella; la civiltà successivamente innalza muri per difendersi da ciò che è “fuori”; l’umanità esclusa preme alla frontiera per sfuggire all’orrore di guerre, distruzione e cambiamenti climatici (“L’inverno sta arrivando”).


Sulla Barriera – dopo una epica battaglia difensiva contro questa immane migrazione di popoli – si svolge un serrato dibattito politico: i bruti sono pur sempre esseri umani, per evitare che – raggiunti dall’esercito degli Estranei diventino essi stessi morti viventi – non sarebbe il caso di farli passare e integrare (evitandone la radicalizzazione)?
Al centro di questo dibattito c’è John Snow (il bastardo?) comandante dei ‘Corvi’ che – forse condizionato dal suo amore per la bruta Igrit – sarebbe per aprire i cancelli. All’inizio, le forze reazionarie, xenofobe (sovraniste?) sembrano prendere il sopravvento e Snow cade sotto i pugnali di un gruppo di congiurati ostili alla sua proposta ma, riportato in vita dal Dio della Luce, il Comandante dei Corvi da corso al suo progetto, politico aprendo i cancelli e stabilento nuove regole di convivenza con i Bruti.
Martin in un solo personaggio evoca Giulio Cesare e una sorta di Messia di matrice cristiana che muore e risorge.
Nella VII stagione, tutti i pezzi sembrano posizionati sulla scacchiera in vista dello scontro finale. La regina Daenerys con i suoi Draghi (le sue armi di distruzione di massa) è sbarcata sul Continente occidentale dopo aver sconvolto Esteros con una serie di guerre con cui ha profondamente
mutato l’ordine precedente incentrato sulla schiavitù (un tentativo più o meno riuscito di esportare la “democrazia”?) e sbarca con un confuso progetto politico (di stampo trotskista?) enunciato nella stagione precedente: “Lannister, Targaryen, Baratheon, Stark, Tyrell, sono come
raggi di una ruota.

Prima uno poi un altro e un altro ancora. La ruota continua a girare  schiacciando chi è sul terreno. Io spezzerò la ruota”.

Ma cosa riempirà il vuoto generato dalla fine della Storia come brutale conflitto tra élite di paretiana memoria? Cosa seguirà alla distruzione di quest’Anello del potere?

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