L’Olanda oltre ad averci regalato i fratelli Van Halen, che trasferitisi nella California degli anni ’60 avrebbero poi rivoluzionato il mondo dell’Hard Rock americano, ci hanno donato uno dei gruppi prog-rock più vivaci degli anni ’70: i Focus.
Il loro pezzo da battaglia, Hocus Pocus, è una delle perle nascoste del multiforme reame della musica post-Woodstock europea che ben simboleggia la fantasia nordica nella composizione e soprattutto l’efficacia nell’esecuzione.
Oltre agli organi e un flauto speziato la voce di Thijs van Leer mima dapprima quella di un mago intento a recitare una strana litania, poi quella di uno gnomo o una delle tante creature fatate del piccolo popolo.
Ma è la chitarra di Jan Akkerman a trascinarci in un’orgia di magie e incantesimi capaci di smuovere l’equilibrio della natura, seguito dalla sua ombra, il bassista Cyril Havermans, e coadiuvato da quel terremoto di Pierre van der Linden alla batteria.
Hocus Pocus, pur assurgendo con abracadabra alla formula magica per eccellenza, ha un’origine oscura. Alcuni pensano che sia una distorsione della liturgia latina hoc est corpus (che si riferisce alla Transustanziazione). Ma io preferisco la seconda interpretazione: fa riferimento ad Ochus Bochus, un mago del folclore nordico, o ancora alla locuzione gallese hovea pwca, uno dei tanti “goblin’s trick” (trucco fraudolento).
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