Spada, Stregoneria e Musica – Goblin – Roller (1976)

Negli anni ’70 l’Italia era uno dei paesi cardine della scena del rock progressivo, seconda solo al Regno Unito per quantità e qualità.

Dopo aver parlato dei mitici The Trip QUI, oggi tocca ai Goblin, uno dei gruppi rock italiani più famosi e apprezzati di sempre, che ottennero la fama per il loro contributo sonoro ad uno dei gioielli del cinema italiano per mano di Dario Argento: Profondo Rosso uscito nel 1975.

Giusto un anno dopo, nel 1976, eccoli invadere i negozi del Belpaese e di tutto il mondo con Roller, disco originalissimo che ben rispecchia l’anima tenebrosa e oscura del gruppo (che servirà egregiamente nelle successive pellicole del già citato regista romano).

Si entra in punta di piedi con la prima traccia, che costruisce quell’atmosfera sognante e trascendentale che avrà modo di incupirsi e trasformarsi in un sogno sofferto e sempre più intriso di quel terrore atavico insopprimibile che ancora oggi ci guida ed è la musa dei Goblin.

Ciò non sarebbe stato possibile senza l’abilità e l’inventiva di Claudio Simonetti alle tastiere, spesso e volentieri sporcate di effetti e tonalità eteree e fantasiose, seguite con grande capacità dal basso di Fabio Pignatelli che ha anche l’arduo compito di tenere incollati la batteria precisa e d’atmosfera di Agostino Marangolo e la chitarra doppleganger di Massimo Morante.

Ultima nota: l’immagine del goblin che suona il violino deriva da un’illustrazione di Boilly Il Sogno di Tartini, dove il grande compositore italiano sogna la celebre Trillo del Diavolo, una delle sonate per violino più complicate e sfaccettate della storia. Ma è il modo in cui Giuseppe Tartini ebbe questa idea che rimane una delle leggende più interessanti della storia della musica:

«Una notte sognai che avevo fatto un patto e che il diavolo era al mio servizio. Tutto mi riusciva secondo i miei desideri e le mie volontà erano sempre esaudite dal mio nuovo domestico. Immaginai di dargli il mio violino per vedere se fosse arrivato a suonarmi qualche bella aria, ma quale fu il mio stupore quando ascoltai una sonata così singolare e bella, eseguita con tanta superiorità e intelligenza che non potevo concepire nulla che le stesse al paragone. Provai tanta sorpresa, rapimento e piacere, che mi si mozzò il respiro. Fui svegliato da questa violenta sensazione e presi all’istante il mio violino, nella speranza di ritrovare una parte della musica che avevo appena ascoltato, ma invano. Il brano che composi è, in verità il migliore che abbia mai scritto, ma è talmente al di sotto di quello che m’aveva così emozionato che avrei spaccato in due il mio violino e abbandonato per sempre la musica se mi fosse stato possibile privarmi delle gioie che mi procurava.»


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