I racconti di Satrampa Zeiros – “Immortale” di Corrado Lo Verde

Per “I racconti di Satampra Zeiros” , abbiamo il piacere di ospitare Corrado Lo Verde che ci propone “Immortale”, racconto di sword and sorcery di circa 18.000 battute.


SINOSSI

 Dopo decenni di prigionia, Bran lo stregone riottenne la libertà.


AUTORE

Corrado Lo Verde è nato a Palermo il 15 luglio del 1978. Fin da ragazzino è sempre stato un grande appassionato di libri e fumetti. Il genere fantasy è fra i suoi generi preferiti in assoluto. Adora in particolare  J.R.R. Tolkien, R.E. Howard, ma soprattutto Tanith Lee.


IMMORTALE 

di Corrado Lo Verde

 

Libero finalmente!

Il tempo chiuso nel buio e nel silenzio di questa cella era stato interminabile.

All’inizio non capii molto… sentii mani che mi afferravano, un bagliore insopportabile che mi faceva bruciare gli occhi. Dolore, un immenso dolore in ogni parte del corpo. Sentii rumori indistinti, forse voci.

Era tutto così irreale, così confuso….

Avrei urlato, se solo avessi potuto, ma non potevo la mia bocca era stata sigillata per sempre pensavo.

Il viaggio è soltanto un ricordo sbiadito. Mi prendevano, mi alzavano, mi rimettevano a terra come un sacco.

Mi temevano, era ovvio. Lo capivo dalle poche frasi che riuscivo a carpire. Non mi nutrivano, non avrebbero potuto, ma nonostante ciò ero vivo.

Pensavano fossi una specie di demone e l’idea di dovermi anche solo toccare non gli piaceva molto.

Poveri idioti superstiziosi….

Il mio viaggio giunse a destinazione  finalmente, lo capii dal fatto che mi ritrovai in una stanza con muri di pietra, con un’unica porta di legno e ferro. Da una cella ad un’altra, quasi comico….

Ero posato su un giaciglio di paglia, la puzza di muffa e piscio sarebbe stata nauseante, se ormai non ci fossi più che abituato. Se non altro, i miei occhi avevano ripreso piano piano  a vedere.

La luce troppo forte mi dava ancora fastidio. Ma la debole luce di quel luogo era perfetta per abituarmi. In più, stavo guarendo, sentivo meno dolori in tutto il corpo e potevo accennare dei minimi movimenti, ma ero ancora troppo debole.

Il giorno successivo, entrarono in quattro. Tre indossavano un’uniforme grigia ed erano armati di spade, chiaramente dei soldati, il quarto invece era diverso. Era decisamente più anziano degli altri e portava una lunga barba scura. Era vestito con abiti più vistosi ed eleganti e portava con sé una borsa di attrezzi, forse era un guaritore o un torturatore, non avrei saputo dire.

Il vecchio si avvicinò a me, non nascondendo un’aria disgustata. Fece dei segnali agli altri, che di forza mi sollevarono, facendomi stare in ginocchio di fronte a quello che era evidentemente il capo.

Il vecchio non disse nulla, prese un pugnale dalla sua cintura, me lo poggiò sulla faccia, e incise….

Fece male, molto male…. sentii il sangue colare sul mi collo e sul petto, ma non ero in grado di sottrarmi a quella situazione, ma finalmente dopo tempo, avevo di nuovo una bocca.

Il vecchio, dopo il taglio, guardò dentro e per un attimo, inorridì. Sembrava un tipo piuttosto navigato, ma quella visione lasciò sgomento pure lui. Si riprese, e iniziò a cercare qualcosa nella borsa. Prese una pinza di metallo e me la infilò in bocca.

Sentii nuovo dolore e persi nuovo sangue, sapevo cosa stava facendo, e cosa avrebbe trovato….

Un chiodo, un appuntito chiodo conficcato nella lingua. Da fuori non si notava, ma vederlo da dentro la mia bocca, sigillata per di più, doveva averlo impressionato.

Mi fece spogliare e mi visitò. Furono diversi i punti del mio corpo che attrassero la sua attenzione. Tutti frutto di una tortura lunga, lenta, metodica e soprattutto spietata.

Altri chiodi, uncini e vari pezzi di metallo e legno furono trovati sotto la mia pelle. Ricordo con orrore ognuno di loro….

Se ne andarono alla fine e per altri giorni rimasi da solo nella penombra… immobile.

Le mie ferite guarivano in fretta, molto più velocemente del normale. Il palato e la lingua si stavano ricostruendo e piano piano potei tornare ad usarli….

Il vecchio tornò, accompagnato da altre tre guardie, ed esattamente come la prima volta, mi fece sollevare per controllarmi. Sembrava molto sorpreso nel osservare tutte le mie cicatrici e la mia sorprendente guarigione.

Ero stremato ormai, non riuscivo più a tollerare tutto questo:

<<Fameh… cibuoo….>>

Li vidi saltare in aria, completamente scioccati. Mollarono la presa e mi accasciai per terra. Anche il vecchio era indietreggiato inorridito. Mi fossi trasformato in demone, non avrei potuto suscitare più terrore di così. Ma ero troppo stanco per compiacermene:

<<Fame….>> ripetei. Quanto tempo non proferivo una sola parola…..

Il vecchio si ricompose ed uscì accompagnato dalle sue spaventatissime guardie.

Poco dopo, un altro soldato entrò nella cella con qualcosa che odorava di cibo.

Poggiò qualcosa per terra e richiuse subito.

Mi trascinai verso quegli oggetti, con una fame che non avrei mai immaginato di possedere e quando li raggiunsi, li divorai. Il pane era rancido e il latte nella ciotola ormai inacidito, ma in quel momento, dopo tutti quegli anni di digiuno, mi sembrarono il pasto più buono del mondo…..

Il cielo era scuro, vagavo in mezzo ad un deserto di rocce e terra, nessuna forma di vita, nessun suono. Un vagare solitario e silenzioso. Proseguivo, nudo e sporco. Trascinavo i miei passi, vagavo senza sapere dove stavo andando.

La gola era arsa e pregavo di morire.

Giunsi in una piana, la terra scura sembrava estendersi all’infinito. Lì in mezzo, vidi un pozzo. Il manufatto stonava così tanto in mezzo a tutta quella desolazione. Non mi posi troppe domande in quel frangente se c’era un pozzo, forse c’era dell’acqua. Accelerai il passo e in breve giunsi a destinazione.

Guardai in fondo, ma non fu acqua quella che vidi, ma un occhio. Un enorme occhio giallo simile a quello di un gatto.

Mi svegliai!

Da tanto tempo non sognavo… ma quello era davvero un sogno?! Era troppo vivido, e quell’occhio troppo familiare.

 Esistono esseri antichi e potentissimi, posti in una dimensione superiore a questa. Talmente potenti da poter modificare la realtà semplicemente ordinandoglielo nel loro linguaggio. Alcuni li chiamano demoni, altri ancora dei.

Noi maghi preferiamo evitare simili appellativi ignoranti, limitandoci a cercare di capirne l’essenza.

La loro lingua era misteriosa, ma ogni tanto qualche parola giunse alle orecchie umane e scoprimmo che pronunciandole, anche noi riuscivamo ad alterare la realtà, proprio come loro.

Nacquero così i primi incantesimi, nacque così la magia.

Forse uno degli antichi cercava di dirmi qualcosa?! Ero troppo confuso e troppo debole.

Il tizio barbuto tornò da me sei giorni dopo, questa volta accompagnato da cinque guardie. Particolare che mi diede un sottile piacere, lo ammetto!

Questa volta mi ero nutrito e riuscii a mettermi in ginocchio con le mie sole forze “incoraggiato” dalle spade dei soldati, potevo muovermi finalmente, anche se ero ancora molto intorpidito. La barba era tornata ad allungare ed ero riuscito anche ad orinare e defecare.

Il vecchio mi guardò fisso, diffidente:

<<Come ti chiami prigioniero?>>

<<Bran!>>

<<Mi chiamo Bran… Signore!>> disse con un tono di stizza.

<<Mi chiamo Bran, Signore.>> risposi.

Il suo tono sembrò rasserenarsi….

<<Come mai ti trovavi rinchiuso in quel modo?>>

<<Sono stato rinchiuso dal padrone della roccaforte… Signore. Mi ha catturato e torturato per… non saprei dire per quanto… In che anno siamo Signore?>>

<<Le domande qui le faccio io verme, ma sappi che siamo nel 1164 secondo il tempo atlantideo.>>

147 anni, tanto era passato in prigionia. Lunghi e interminabili anni di sofferenza. Il sangue mi ribolliva nelle vene. Ero furioso, se pensavo a cosa avevo passato. Alle innumerevoli sofferenze e alle umiliazioni. Il mio corpo era indistruttibile ormai, ma la mia mente… ricordava tutto, ogni cosa….

La mia espressione doveva essere improvvisamente cambiata, perché mi guardavano tutti con aria dubbiosa.

<<Chi ti ha imprigionato?>>

<<Turlogh… Signore, il proprietario della roccaforte, mio fratello….>>

L’espressione del vecchio passò dal perplesso allo sgomento.

<<Turlogh lo stregone…tu sei il fratello di Turlogh?! Mi prendi forse in giro?! Se ti va di scherzare, sappi che ti farò passare la voglia lurido sorcio deforme.>>

Che idiota! Nessuno poteva vivere così a lungo, capisco perché non mi credevano.

Mi fecero altre domande alle quali non risposi, furono insistenti e minacciosi. Mi picchiarono, ma ero troppo abituato al dolore per temerli.

Il corteo uscì dalla mia cella, non mi attendevano bei giorni nel mio prossimo futuro, dovevo provvedere.

Le giornate erano lunghe ed interminabili, così rimuginavo sul passato. Eventi vecchi di decenni, ma per me ancora così recenti.

Turlogh, mio fratello, era un invidioso. Ero migliore di lui in tutto. Nostro padre ci istruì entrambi alle arti magiche, ma io ero più talentuoso, più appassionato e più concentrato. E lui lo sapeva.

Non basta saper pronunciare certi incantesimi nella lingua antica per usare la magia, bisogna che chi li pronuncia abbia una propria energia interna, che non tutti possediamo. Noi la chiamiamo “Animus”.

L’incantesimo prende sostanza sfruttando quell’energia. Un incantesimo troppo potente può prosciugare un mago, uccidendolo. Questo è il limite umano di un mago.

Io non accettai mai questo limite e decisi di porvi rimedio. Sognavo l’immortalità. Un mago immortale, poteva attingere ad un animus praticamente infinito. Sarei stato più di un mago, sarei stato un Dio.

E ci riuscii, evocai un demone e feci un patto. Così ottenni ciò che desideravo. Usai la formula dell’incantesimo su di me e divenni immortale.

Turlogh però non apprezzò la cosa. Era un mediocre, ma era abile con i veleni. Il vigliacco mi avvelenò il cibo e grazie a quello stratagemma riuscì ad imprigionarmi. Ricordo ancora tutto!

Dovevo uscire, o sarei finito nei guai. Certo, non temevo la morte, non più ormai. Temevo però un’altra eterna prigionia. Volevo la libertà, mi spettava di diritto.

Avrei potuto rendermi intangibile e attraversare le pareti, ma non avendo idea di dove mi trovassi, poteva essere pericoloso.

Restare per sempre imprigionato dentro una spessa parete di roccia, poteva non essere piacevole.

Decisi di optare per una soluzione più semplice. Usai un incantesimo per acquisire una forza sovra umana. Non avevo intenzione di usare la forza bruta su nessuno, ma ero ancora troppo debole per muovermi agilmente con le mie sole forze.

Mi avvicinai alla porta e con uno strattone ruppi la serratura. Avevo fatto molto rumore, ma uscii lo stesso. Una guardia, sicuramente attratta dal frastuono, mi venne incontrò intimandomi di fermarmi.

Recitai un altro incantesimo e le sue armi si polverizzarono all’istante.

Si paralizzò dallo stupore… il tempo necessario per un altro incantesimo e congelarlo.

Feci sciogliere il corpo, ma lasciai integra l’uniforme. Indossai gli abiti del morto, mi venivano molto larghi, ero dimagrito parecchio, ma utilizzando un altro incantesimo, assunsi l’aspetto del ragazzo. Ora potevo prendere le scale ed uscire da lì.

Mi ci volle un po’, non conoscevo il luogo e mi persi diverse volte. Alla fine però riuscii ad uscire.

L’aria fresca della sera, quanto tempo non la sentivo. Respirai a pieni polmoni, come non facevo da un eternità. Le stelle erano meravigliose e per un attimo mi sentii felice.

Purtroppo non avevo tempo per contemplare le stelle, dovevo allontanarmi il prima possibile. Iniziai a camminare, ero lento e se non fosse stato per l’incantesimo, avrei potuto uscire dalla prigione solo strisciando. Mi nascosi in un vicolo buio e maleodorante. Lì raccolsi un sasso. Quanto tempo mi ci era voluto per imparare quell’incantesimo, lo ricordo ancora adesso. Ma alla fine, dopo che lo ebbi recitato, il sasso era divenuto una pepita d’oro.

Entrai in una locanda, mangiai e affittai una stanza per la notte. Avevo cambiato di nuovo aspetto in pubblico, ma ora, da solo nella mia stanza; potevo tornare normale.

C’era uno specchio appeso alla parete, mi osservai. Ero orribile, capii perché mi guardavano con sdegno. Ero raggrinzito e magro, pelle e ossa, pieno di cicatrici. Il viso era totalmente deturpato. Sembravo una mummia fatta a pezzi. Quel bastardo aveva sfruttato la mia capacità di rigenerarmi e si era divertito a ferirmi e farmi guarire in modi bizzarri. Aveva reso il mio viso una mostruosità ributtante.

Quel maledetto… piansi lo ammetto. Quel fottuto bastardo di Turlogh… peccato non potermi vendicare.

Erano passati diversi mesi, mi ero rimesso in forze ed avevo iniziato ad indossare una maschera non tolleravo la vista del mio viso.

Con la mia magia divenni presto famoso, ero conosciuto come il “mago senza volto”. Ero diventato ricco, molte persone importanti venivano a richiedere i miei servigi: politici, nobili e anche criminali. Mi temevano e nessuno osava fare domande sulla mia identità. Qualcuno forse sospettava chi fossi, ma la cosa non mi preoccupava.

Ero inquieto però, sognavo spesso occhi gialli nella notte e pozzi oscuri e di recente, la roccaforte dove ero prigioniero. Spesso mi svegliavo di soprassalto zuppo di sudore, ormai cercavo di dormire il meno possibile.

Mi documentai sulla fine della mia famiglia. Mio padre era morto circa 5 anni dopo il mio incarceramento. Turlogh ebbe una discreta fortuna, finché un giorno di lui non si seppe più nulla. Feci fare diverse ricerche, ma senza risultato; era come sparito nel nulla.

Mi  feci coraggio, sarei andato alla roccaforte. Forse qualcosa o qualcuno mi voleva lì. Il rudere sorgeva nel territorio di Curunir, regno in guerra con Mythrandir, per una persona normale sarebbe stato impossibile arrivarci, ma non per me.

Mi tramutai in aquila e volai verso la mia ex prigione….

La struttura era in rovina, gli anni erano stati inclementi con lei. Quanti ricordi affiorarono di quel posto.  Alcuni belli, altri meno, altri ancora orribili.

Ero teso, mi sentivo quasi in trappola. Mi ritenni sciocco. <<Sono il più potente mago del mondo, cosa posso mai temere?!>>

Entrai! Il buio era pesto, ma creai una piccola sfera di luce per illuminarmi. Le pareti erano scrostate e piene di muffa. La puzza di escrementi di animale era pungente, ma c’era qualcos’altro. Una strana  energia proveniva da lì. Era qualcosa di impalpabile, ma presente.

Sempre più incuriosito, mi addentrai nella mia antica dimora.

Topi e scarafaggi scappavano al mio arrivo, evidentemente disturbati dalla mia presenza. Era casa loro ormai, ed io ero l’intruso.

Giunsi nei sotterranei, li ricordo bene, era in una delle stanze qui sotto che ero imprigionato. Visitai anche la mia cella. La puzza di lerciume e sangue non se n’era ancora andata del tutto, o forse era una mia impressione.

La strana energia che percepivo era più forte qui, mi stavo avvicinando alla fonte.

 C’era rimasto solo un ultimo luogo da visitare, lo chiamavamo il “Santuario”. Era la sala dove venivamo addestrati all’uso della magia. Quella sala era dotata di una particolare difesa magica in grado di resistere alla maggior parte degli incantesimi. Era per me un luogo pieno di ricordi e nostalgia.

Giunto davanti la porta del Santuario, notai che era chiusa a chiave. Lì l’energia era molto più intensa. Qualunque cosa fosse la fonte, era chiusa lì dentro. Che fare?

Era saggio aprirla? Temevo che per essere chiusa dentro, dovesse essere pericolosa. Ma alla fine prevalse la curiosità. Non avevo la chiave, ma per la mia magia, questo non era un problema.

Entrai e la vidi subito, vidi quella cosa….

Era un essere orribile, nero come la notte. Il corpo sembrava un incrocio fra una lumaca gigante e orso. Al posto delle zampe però, aveva dei tentacoli. Era coperta di tentacoli. Enormi viscidi e neri. L’essere trascinava il suo immondo corpo lasciando sul pavimento un viscidume verdastro. Sembrava compiere uno sforzo ad ogni passo.

L’essere si girò verso di me. La testa era una sfera appena accennata da cui emergeva un enorme occhio giallo, simile a quello dei miei sogni. Subito sotto, una deforme fenditura simile ad una bocca umana. Il mostro iniziò a piangere con un verso disumano, schifose lacrime giallastre, e parlò:

<<Frahethullooo… uccihimi… thi pregooho….>>

Non potevo crederci, Turlogh… ancora vivo e trasformato.

Ricordo bene, durante una delle sue torture, gli rivelai l’incantesimo per l’immortalità e gli spiegai la clausola per farlo funzionare. Fu da allora che non lo rividi più. Fu da allora che passai infiniti anni in solitudine e buio. Il resto posso solo immaginarlo:

L’incantesimo esigeva l’animus di un consanguineo. Io usai quello di mio padre che dopo pochi anni infatti morì. Per ottenerlo bisognava stringere tra le mani un campione di tessuto del sacrificato. Capelli, pelle, unghie, andava bene qualunque cosa.

Lui deve aver fatto la stessa cosa, ma con me. Ma io, essendo immortale, non ero adatto. Mai cercare di imbrogliare  quando si esegue un incantesimo. Ma per Turlogh imbrogliare era come respirare.

<<No fratello, ora finalmente posso vendicarmi… e lo farò lasciandoti vivere!>> sorrisi mentre lo dicevo.

Il mostro si infuriò attaccandomi con i suoi tentacoli, ma bastarono un paio di incantesimi di fiamma per farlo indietreggiare. Era patetico da umano e così era da immortale.

Pianse di nuovo, ma stavolta gli spasmi erano più forti un vero urlo di disperazione, mi fece pena per un momento e alla fine vomitò.

Il getto fu troppo forte ed improvviso e mi sommerse completamente. Non feci in tempo a reagire. Che essere orribile. L’avrei torturato a lungo per questo. La sostanza era vischiosa ed appiccicosa. Si stava solidificando e velocemente. Spezzandomi il respiro!

<<Inshiemeeeh….>>

Il viscidume mi riempiva la bocca paralizzandomela. No, noooo… ero perduto! Non riuscivo a parlare e a pronunciare incantesimi. Ero sempre più rigido. Mi dimenavo disperato, ma era inutile. I movimenti erano sempre più difficili.

No, non di nuovo. Prigioniero nello stesso luogo… per un’altra eternità. E con lui, mio fratello, la mia maledizione.

<<Inshieeemee… per sehemphhreehee….>>

Forse non tutto era perduto. In un impeto di rabbia, magari il mostro mi avrebbe colpito, frantumando la sostanza che mi ricopriva e liberandomi.

Ma non lo fece, si avvicinò a me e mi abbracciò delicatamente. Non voleva distruggermi quel lurido mostro ebete, voleva compagnia. Sorrideva contento, aveva sempre cercato di raggiungermi per tutta la vita, senza mai riuscirci. Ora aveva raggiunto il suo scopo.

 Il destino è ironico a volte, due fratelli che si odiavano, uniti per sempre in un eterno abbraccio. <<Oh dei, oh demoni chiedo pietà per avervi insultato, per avervi voluto raggiungere, ma questo no. Vi prego, per favore… questo no….>>

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