Cronache nemediane – La Spada a Due Mani di Antonio Canale

Articolo di Gabriele Campagnano

Tratto da Zhistorica

 

Della Spada a Due Mani, e in particolare della zweihanderabbiamo parlato più di una volta. L’uso di quest’arma, prettamente rinascimentale, ha spaziato dal duello alla guerra navale; anche dopo essere sparita dai campi di battaglia, la zweihander ha mantenuto a lungo le sue prerogative di arma cerimoniale, con il caso più eclatante rappresentato dalle Spade Cerimoniali di Brunswick.

L’articolo che ospitiamo oggi è stato scritto dal Moreno dei Ricci, studioso e praticante della Sala d’Armi Guardia di Croce e di Gairethinx – Sala d’Arme degli Erranti

Fin oltre le soglie dell’età moderna, la spada a due mani ha conservato una significativa presenza in ambito bellico: il magnetismo esercitato da un guerriero armato di una grande arma, impugnata a due mani, è da sempre al centro dell’immaginario comune. Si hanno riscontri dell’utilizzo di simili armi sin dai tempi antichi; le testimonianze, a livello iconografico, procedono lungo tutto l’arco del medioevo e ci parlano di un’arma che non è altro che una spada ad una mano, un poco più lunga e con l’impugnatura abbastanza spaziosa da ospitare entrambe le mani, una stretta all’altra. Questa è all’origine la spada a due mani, una spada da cavaliere portata alla sella, che poteva essere utilizzata sia da cavallo sia a piedi. Di lunghezza maggiore alla comune spada manesca, era un’arma sviluppata per abbattere il nemico con violenti colpi di taglio, che dovevano infrangere scudi, sfondare elmi e cotte di maglia.

spada a due mani
In questa miniatura tedesca del 1334, ben tre cavalieri utilizzano la spada con entrambe le mani sull’impugnatura. Interessante anche il particolare del colpo che sfonda un elmo.

Dagli esemplari arcaici, risalenti al periodo antico, la spada a due mani si è sviluppata secondo forme sempre più sofisticate e performanti, fino ad arrivare alla sua massima espressione nel periodo rinascimentale, dovuto principalmente all’eccezionale sviluppo delle tecnologie metallurgiche e all’elevato livello tecnico raggiunto dai mastri spadai europei, in particolare quelli italiani.

Caratterizzandosi quest’arma sia per le dimensioni che per il peso, si è da sempre cercato di lavorare sull’ottimizzazione di queste sue qualità: nel cammino di perfezionamento tecnico il manico si allunga sempre di più, così da consentire una leva più efficace e un conseguente incremento dell’energia cinetica del colpo. Le innovazioni proseguono con l’introduzione degli elsetti, piccole sporgenze laterali sul forte della lama, molto utili per avanzare la presa dell’arma al di fuori dell’elsa; si sviluppano inoltre, sulla guardia, anelli e altri fornimenti a protezione delle mani. Nonostante l’introduzione di questi apparati difensivi e le dimensioni sempre più ragguardevoli raggiunte dalle spade a due mani agli inizi del ‘500, l’alto profilo tecnico della spaderia rinascimentale riuscirà a produrre esemplari leggeri e straordinariamente maneggevoli.

Tutti questi fattori rendono la spada a due mani del primo XVI° secolo un’arma tecnologicamente all’avanguardia e altamente performante: in virtù della sua lunghezza protegge efficacemente la parte alta e bassa del corpo, creando un triangolo offensivo-difensivo ottimale e consentendo di dominare lo spazio circostante con colpi rapidi e poderosi, in grado di tenere a buona distanza qualsiasi nemico.

Coloro che erano in grado di utilizzare questo genere di arma in maniera specialistica venivano pagati il doppio di qualsiasi altro soldato: questo in quanto l’arma richiedeva lo studio e l’applicazione di movimenti precisi, una grande padronanza del passeggio e nell’esecuzione di parate e colpi, con il coinvolgimento dell’intero corpo del guerriero.

L’utilizzo di quest’arma, proprio in virtù del suo livello di raffinatezza formale, è stato al centro dell’attenzione dei grandi maestri tardo medievali come Fiore dei Liberi, il più antico fra i trattatisti italiani, che coniuga nella sua opera del 1409 intitolata “Flos Duellatorum” la tradizione marziale germanica con quella italiana. Sarà poi Filippo Vadi a modernizzarne i suoi insegnamenti, nella sua opera del 1482 “De arte gladiatoria dimicandi“.

Nel rinascimento assistiamo al massimo sviluppo teorico-tecnico di quest’arma e degli insegnamenti che ne regolano il “gioco”, grazie ad alcuni Maestri come Pietro Monte con la sua opera del 1509 “Exercitiorumatque artis militaris Collectanea” e Achille Marozzo con “Opera Nova di Achille Marozzo Bolognese, Mastro Generale de Larte de Larmi”, del 1536. Grazie a quest’ultimo autore abbiamo l’unica testimonianza completa sull’utilizzo della spada a due mani rinascimentale in Italia, arricchita da quel che rimane degli insegnamenti contenuti nel manoscritti “345/346” conservati nella Biblioteca Classense di Ravenna.

Anche al di fuori dell’Italia lo studio di quest’arma ha rappresentato un fenomeno importante: parallelamente, nella tradizione germanica si è sviluppata una forte cultura della spada a due mani, a partire dal più antico dei Maestri tedeschi, Joachim Lichtenauer (opera del 1389 ca), sino ad arrivare a Joachim Meyer (opera del 1570). L’eredità che tutti questi grandi Maestri ci hanno lasciato sono dei sistemi di combattimento che consentono un utilizzo completo e molto diversificato di quest’arma, ma soprattutto sono testimonianze documentarie che ci permettono di ricostruire l’arte della spada a due mani a secoli di distanza, nonostante l’inevitabile interruzione della tradizione diretta.

I Maestri hanno trattato prevalentemente l’utilizzo della spada a due mani in ambito “duellistico”, anche se indubbie sono le possibilità di applicazione in campo bellico. Gli indizi sono molteplici: lo stesso M° Marozzo, nel suo trattato del 1536, dichiara che la sua arte è utile a “chiunque a singulare o plurale battaglia sia per entrare“, inoltre sembrerebbe che dalla sua Scuola siano usciti personaggi illustri in ambito militare, come il Capitano Caizo, famoso per essere stato “l’inventore” del colpo alla “Jarnac”. Marozzo stesso è stato allievo del Maestro Guido Antonio di Luca “dalla cui schola si può ben dire, che siano più guerrieri usciti, che dal Troiano cavallo“, famoso per essere stato mentore di condottieri valorosi del calibro del conte Guido Rangoni e Giovanni de Medici detto “delle Bande Nere“.

Di grande valore è l’opera lasciata dal M° Pietro Monte del 1509, che introduce la trattazione della spada a due mani tramite dei “giochi” utili per apprendere il maneggio dell’arma, anche in un contesto bellico. Due Maestri della penisola Iberica, M° Godinho nell’ opera “Arte de Esgrima” del 1599 e M° Figuaeredo nell’ opera “Memorial da prattica do montante” del 1651, hanno intere sezioni nei loro trattati che espongono l’utilizzo della spada a due mani nel contesto specifico di battaglie navali.

Ad una analisi superficiale, tale impiego bellico sembrerebbe in contrasto con le dimensioni di questo genere di arma, ma questi documenti attestano e offrono prova del grande vantaggio che si poteva avere utilizzandola nell’assalto o nella difesa di imbarcazioni. L’adozione di specifiche strategie di ingaggio nell’ambito dei conflitti navali non poteva essere certo un’esclusiva spagnola, anzi, come ben sappiamo, in Italia erano presenti le repubbliche marinare che da secoli fondavano la propria prosperità sul commercio marittimo e, naturalmente, sull’eccellenza delle loro flotte militari. Fra tutte Venezia spiccava per la sua politica espansionistica, sia in ambito commerciale che militare, assurgendo di fatto al rango di potenza europea.

Qui di seguito una carrellata di immagini tratte dagli antichi testi dei Maestri, mostra l’evoluzione della spada a due mani dal tardo medioevo all’epoca Barocca.

1. Miniature tedesche provenienza sconosciuta datazione 1400 2. VADI tavola con esposizione utilizzo spada 2 mani. 3. FIORE trattato Dossi/Pisani tavola con esposizione spada 2 mani. 4. MAROZZO tavola del Libro Terzo. 5. MAYER tavola sull’uso della spada a 2 mani. 6. AGRIPPA autoritratto con spada a 2 mani. 7. DI GRASSI tavola con esposizione punta ad una mano. 8. ALFIERI tavola con esposizione di una guardia con spadone

Come si può notare dalle tavole, l’evoluzione dell’arma è continua nelle varie epoche, quindi la definizione di “spada a due mani” risulta molto generica: serve principalmente per contestualizzarne e comprenderne l’utilizzo nei vari ambiti.

L’episodio che giustifica la mia introduzione e che offre il titolo all’articolo, si svolse nella Battaglia delle Curzolari, meglio conosciuta come Battaglia di Lepanto. Molti sono gli aneddoti e molte sono le storie (più o meno romanzate nei toni e nei contenuti) di questa grande impresa navale della cristianità, ma ve ne sono poche che riescono a penetrare in dettagli entusiasmanti ed evocativi come quella del nostro protagonista: il Provveditor veneziano Antonio Canale. All’interno della Bttaglia delle Curzolari, infatti, si ha testimonianza di una delle più grandi e valorose imprese individuali del passato, che rappresenta la preziosa miniatura di una più grande impresa collettiva.

Nell’aria satura di salsedine e dell’acre odore della polvere da sparo, un vascello Veneziano procede nella formazione; sul ponte è tutto un concitato vociare di marinai, sul quale si levano gli ordini degli ufficiali, simili a secchi e sporadici colpi d’archibugio. File di rematori percuotono la superficie dell’acqua con lunghi remi, al ritmo sempre più serrato dei tamburi; i soldati controllano che i cannoni e le munizioni siano pronti all’uso, alcuni si assicurano le cinghie delle armature, altri ancora soffiano nervosamente sulla miccia dei propri archibugi, schermandola dagli spruzzi di acqua salmastra.

 
battaglia di lepanto
La Battaglia di Lepanto

Con le prime cannonate la lingua turca si fa sempre più vicina: iniziano a sibilare le frecce e le raffiche di fucileria gettano una nebbia bianca sul ponte della nave; ovunque risuonano le terribili grida di battaglia e il cozzare delle armi e delle armature si propaga in un’eco infinito. Le navi sfilano l’una accanto all’altra, urtandosi tra di loro, mentre intere squadre di soldati si alternano all’arrembaggio del vascello nemico; gli ufficiali gridano i loro ordini cercando di sovrastare il fragore della battaglia mentre marinai e rematori cercano riparo come possono dall’inferno che li circonda.

Molti di loro sono incatenati al ponte sul quale si consuma la carneficina, prigionieri ai lavori forzati, e per loro non c’è alcuna via di scampo. Ad un tratto la nave veneziana punta verso una galea di fanale che si trova in difficoltà, assalita dai turchi che ne hanno preso il controllo.  Tutti i suoi occupanti sono caduti, con l’eccezione di alcuni marinai e rematori che sono riusciti a trovare scampo gettandosi in mare o arrendendosi.

Il Capitano della nave, un uomo non troppo giovane ma dalle membra ancora forti, indossa una veste corta, in stoffa a strati trapuntata, e un cappello della stessa foggia; ai piedi calza un paio di scarpe di corda e in mano stringe una spada a due mani alta fino alle spalle. Solleva la terribile arma e ordina ai suoi soldati di rimanere sulla nave, provvedendo a prestare soccorso alle altre imbarcazioni veneziane in difficoltà; gridati questi pochi ordini, si lancia senza paura sulla nave di fanale affollata di turchi! La leggera veste in stoffa, così come il copricapo, lasciano molta libertà ai movimenti e forniscono al tempo stesso un’ottima protezione dalle frecce turche; le scarpe di corda impediscono di scivolare sul ponte della nave, reso viscido dall’acqua salmastra che sciacqua sul ponte il sangue dei caduti.

Nel crepuscolo procurato dai fumi della battaglia, la spada a due mani del veneziano getta bagliori minacciosi. Solo con la sua lama, la sua fede e la sua arte, inizia a volteggiare lo spadone con gesti sapienti e precisi; passi e colpi seguono il ritmo regolare del suo respiro mentre i turchi vengono falciati come grano maturo: uno dopo l’altro cadono sotto la tempesta d’acciaio del capitano veneziano. Alcuni cercano disperatamente di battersi, ma i loro scudi di legno e pelle vengono squarciati e le loro spade fuggono dalle mani sotto quei colpi di violenza inaudita. Avanzando tra i corpi scempiati dei nemici, il veneziano arriva sino all’ultimo turco che, per disperazione, alla vista dei suoi compagni sterminati da quel diavolo cristiano, si getta in mare.

Dalla prua della nave il Capitano volge lo sguardo alle sue spalle e contempla la sua cruenta opera: un groviglio di corpi scomposti, impossibile distinguere i nemici caduti sotto la sua lama. I veneziani, che hanno assistito all’impresa dalle altre navi, urlano dalla gioia sotto il rosso vessillo Marciano. Gridano il nome a squarcia gola: “Antonio Canale!“, l’uomo che, da solo, con la sua spada a due mani, ha liberato una nave veneziana ormai perduta al nemico.

antonio canale
Antonio Canale disegnato da Marco Ferrari

La mia esposizione è sicuramente influenzata dal fascino che l’impresa del Capitano veneziano ha suscitato in me: se anche posso aver peccato nel colorare di dettagli l’impresa del Provveditore Veneziano, la trascrizione della cronaca tratta dall’opera di Pantero Pantera non è meno ricca di pathos.

L’ARMATA NAVALE  del Capitan Pantero Pantera  gentil’ huomo comasco e cavalliero del habito di Cristo

Divisa in doi libri.  Nei quali si ragiona del modo, che si ha a tenere per formare, ordinare, & conseruare un’armata maritima.  IN ROMA, appresso Egidio Spada M.DC.XIIII. LIBRO PRIMO, CAP.VIII, pagina 84

“..Potrà ancor giovar nelle occasioni haver delli spadoni da due mani, essendo arma, che, trovandosi, chi sappia bene adoperarla sopra i vascelli, potrà esser di molto giovamento nelle battaglie, per la strage, che può far degli inimici, come fece nella battaglia de i Curzolari il Provveditor Venetiano Antonio Canale, il qual, benché grave d’anni, calzatosi un paio di scarpe di corda, per potersi tener bene in piedi, e messosi indosso una giubba, ò vesticola corta, e tutta trapuntata di cotone con un cappello simile in testa per difendersi dalle frecce, montò animosamente su l’armata Turchesca, e saltando da una galea nell’altra con un spadone in mano, fece della persona sua meravigliose prove con notabil danno degli inimici, e ricuperò una galea di fanale, che era già nelle loro mani..”

(nat.cont.lib.22. – Antonio Canale fece cò un spadone gran danno à gl’inimici e ricuperò un già perduta galea di fanale)

armata navale
Il Frontespizio dell’opera citata nell’articolo

La testimonianza di Pantero Pantera è sicuramente molto preziosa: l’autore infatti, nel sostenere la tesi delle virtù belliche della spada a due mani come arma di bordo, cita l’aneddoto del Canale. Ribadisce più volte, all’interno del trattato, il “giovamento” nel munirsi di soldati abili nell’utilizzo di questo genere di arma e di non badare al costo elevato dei loro servigi. Per quanto un uomo possa essere stato addestrato all’utilizzo della spada a due mani in steccato o in una battaglia campale, tutto cambiava nell’ambiente angusto, mobile e pieno di ostacoli di una nave.
Per far comprendere quale potesse essere l’ingombro dell’arma in questione, nella fotografia che segue sono riunite diverse armi che si sarebbero potute trovare su una galea cristiana al tempo della battaglia di Lepanto.

Sono i già citati Maestri Iberici che ci danno indizi sull’ipotetico utilizzo delle spade a due mani in ambito marittimo. 

Sicuramente il Canale, per le sue origini e per la sua storia, non ha limitato l’utilizzo dell’arma alla sola maniera esposta dai maestri iberici, certamente su quel ponte ha mostrato molto di quello che insegnavano i maestri Italiani. Proprio a Venezia nel 1550 viene ristampata l’opera di M° Marozzo del 1536, questo dovuto al grande successo riscosso e alla crescente richiesta del trattato; Antonio Canale nasce nella capitale della Serenissima Repubblica nel 1521 e all’epoca della ristampa aveva 29 anni. Il padre Girolamo era un ufficiale della marina veneziana e veterano di molte spedizioni contro i pirati turchi sulle coste del mar Adriatico, Antonio ne segue le orme e in breve tempo acquisisce incarichi rilevanti e il ruolo di ufficiale. Partecipa a molte battaglie navali e si distingue sempre per il coraggio e acume tattico, in particolare durante azioni di soppressione della pirateria.

Verso gli anni ‘60 e ‘70 del ‘500, dopo essere diventato provveditore del Golfo, inizia ad assumere il comando di flotte composte da venti a quaranta imbarcazioni nelle guerre delle isole Tremiti. Nel 1571 viene incaricato come comandante di diverse azioni d’attacco nella guerra di Cipro, dove si distingue per i suoi successi. Subito dopo riceve l’ordine di recarsi a Messina per i preparativi della battaglia di Lepanto con la Lega Santa.

Muore nei suoi feudi di Corfù nel 1577, ricordato come ottimo stratega ed esempio per i soldati e gli ufficiali al servizio della Serenissima. Canale con le sue gesta entra nel Pantheon degli eroi di tutte le epoche e di tutte le culture. Sconterà l’oblio come molti altri guerrieri della storia dell’arte marziale occidentale, tra cui lo stesso M° Pietro Monte, eroe della battaglia di Agnadello, che ha scritto parole illuminanti proprio sull’utilizzo della spada a due mani.

Per concludere, la spada a due mani è stata protagonista in ambito militare per diversi secoli, tuttavia sul finire del rinascimento, l’arma regina dei campi di battaglia è vittima di un tramonto ineluttabile, che la relegherà al puro esercizio schermistico o ad ambiti di applicazione molto specifici.  Verso il volgere del XVII° secolo, si allunga ulteriormente e si appesantisce; in zona iberica prende il nome di “montante” e in area italiana viene nominato “spadone”, abdicando definitivamente alla sua originale vocazione bellica.

Nel trattato del Maestro padovano Francesco Alfieri, “L’arte di ben maneggiare la spada” del 1653, è esposto l’utilizzo della spada a due mani con finalità di addestramento fisico, applicato a casistiche precise: per le Guardie cittadine, per le scorte di notabili e per “tenere le piazze”.  Dall’epoca barocca in poi, l’astro della spada a due mani si eclisserà completamente, cedendo la gloria ad armi completamente diverse e di diverso utilizzo.

Moreno Dei Ricci — Centro Studi Gairethinx — MAM (Brescia)

Ringraziamenti:

Voglio ringraziare, per questo mio primo articolo, Roberto Gotti che ha speso risorse in tutti i sensi per creare il centro studi Gairethinx con MAM annesso (Museo delle Arti Marziali), dando la possibilità ad appassionati come me di ampliare le proprie conoscenze con lo studio diretto delle fonti e dei reperti. Ringrazio Marco Ferrari e Laura Boschetti per il controllo della bozza e ancora Marco per la realizzazione dell’illustrazione che ritrae un grandioso Antonio Canale.  Grazie a Ton Puey per la sua sempre grande disponibilità e gentilezza, fornendo assistenza e consulenza.

Dedico l’articolo a Michele Gotti: Che l’anima e la forza di questi grandi personaggi del passato ti aiutino guidandoti in una vita piena di soddisfazioni e all’insegna del coraggio e della rettitudine, mio piccolo Grande amico!   “Sine Metu“.

 

BIBLIOGRAFIA:
  • L’armata Navale di Pantero Pantera. M.DC.XIIII. conservato nel MAM
  • Achille Marozzo Opera nova Ediz. Del 1536 e del 1568. Conservati nel MAM
  • Achille Marozzo edizione del 1568 curata dallo stato maggiore dell’esercito Italiano con introduzione di Carla Soldini.
  • Opera del Maestro Monte del 1509, traduzione e interpretazione di R.Gotti
  • Armi bianche italiane. L. Boccia E. Coelho. Bramante editrice
  • Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 17, Treccani, 1974.

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