
Per “I racconti di Satampra Zeiros” , torna a trovarci Simone Giusti che ci propone “Raines e la maledizione dei fuochi fatui”, racconto sword and sorcery di circa 25.000 battute spazi inclusi.
Buona lettura.
Autore
Simone Giusti, autore di numerosi racconti e romanzi di genere, laureato in archeologia all’Università degli Studi di Pisa, insegna storytelling e cinema. Vive a Calcinaia con la compagna Denise.
Ha pubblicato: Incubo (Robin Edizioni), Guerre Corporative (Il Foglio), Pisa connection (Marchetti Editore), Portland (Bookabook), la fiaba Il giardino di Boscofitto (Marchetti Editore) e il racconto lungo Ragnarok (Cento Autori).
Raines e la maledizione dei fuochi fatui
di Simone Giusti
«Fermo lì.»
Raines agguantò Grugno per la collottola e lo tirò dietro l’angolo. Con la coda dell’occhio aveva intravisto tre armigeri spada e corazza sbucare in fondo alla strada. Dietro di lui, Cuoio fece cenno con la mano che ce n’erano altri cinque che venivano dalla direzione opposta. Ovunque soldati. Quel budello di strade del porto di Nova Civitas ne era pieno.
Bombarda soffiò sulla serpentina della spingarda e fece un mezzo sorriso.
Raines scosse il capo.
«No. Manderai questi al creatore ma il porto ne è pieno. Alla nave!»
Angoli e pertugi e vicoli sotto i loggiati. Sopra le teste avevano spicchi di cielo che si tingeva di rosso. La sera incombeva.
Giunti in cima alle scale intravedevano il molo e sentivano l’odore del mare quando da una via più larga cinque picchieri si schierarono davanti a loro e tirarono giù le punte. Raines sguainò le pistole. Grugno l’archibugio. Cuoio le toledo. Bombarda spianò il cannone; i baffi biondi si agitavano al vento.
«Fossi in voi non lo farei!», parlò qualcuno sbucato dal vicolo dietro di loro. Era circondato come scudo da sette armigeri in armatura e cimiero nero. Altrettanti picchieri con vesti sgargianti spianarono le punte in formazione. Il tizio aveva borgognotta lucida e piuma vermiglia, naso aquilino e fare altezzoso. Con la punta del guanto indicò sopra le loro teste.
Una ventina d’archibugieri si sporgevano dai tetti delle case e li tenevano sotto tiro.
Raines capì e abbassò le pistole. Così fecero anche i suoi.
Il tipo col naso a punta stirò il collo.
«E così ho messo in scacco Raines, lo sparviero.»
Raines piantò le mani nel cinturone.
«E tu chi sei?»
«Pierre de Sacet. Vi do la caccia in nome di sua santità papa Clemente Settimo.»
«L’infame.»
Gli armigeri s’agitarono. De Sacet li tenne a bada.
«Guardatevi dalle vostre parole, Raines. Il Papa non ha specificato di catturarvi vivo.»
Raines digrignò i denti e stritolò il cuoio della cintura.
«Stammi a sentire, signor calzette attillate», ammiccò alle stravaganti calze rosse che il francese indossava sotto i cosciali lucidati a specchio. «Visto che ci tocca il supplizio, il luogo fatelo scegliere a me. Ah!»
E sguainò le pistole.
Uno strillo agghiacciò tutti gli uomini nel vicolo. Un’ombra nera s’insinuò tra le case e il terrore dilagò. Gli archibugieri spararono a casaccio e i picchieri ruppero le file.
«Tenete i ranghi. I ranghi!», urlava De Sacet, labbra tremanti e occhi sgranati. Nessuno lo ascoltava.
Raines fece spallucce ai suoi come a dire che lui non era stato e gli fece cenno di seguirlo.
«Con me!»
Sfondò un portone e attraversarono il fondaco d’un vinaiolo. Ruppero una finestrella e sciamarono esagitati lungo un vicolo in discesa. Alla vista di un assembramento di picchieri che riformava i ranghi alla bocca del molo, si gettarono dentro una taverna. Le assi marce del pavimento non ressero al peso e precipitarono in cantina.
«Che botta, capo.» Grugno si massaggiò il fondoschiena. Sgranò gli occhi e indicò nel buio. «Chi è quella là!»
Una donzelletta se ne stava appollaiata su un barile. Gonna larga e camicetta scollata sul seno. Grandi orecchini d’oro rilucevano tra i capelli neri. Sorrise sbarazzina.
«Sapevo che sareste arrivati qui, ma immaginavo che avreste usato le scale.» Balzò giù dal barile. «Forza. Andiamo.»
Raines la squadrò in cagnesco e si massaggiò la schiena.
«Chi sei?»
«Quella che vi salverà,» disse e s’infilò in un cunicolo che si perdeva nell’oscurità.
Le grida degli armigeri e i passi dei soldati che rimbombavano sul tavolato sopra di loro non gli dettero tempo per pensare. Si scossero la polvere e seguirono la straniera.
«Chi diamine sei?»
Raines agguantò la donzella per la camicetta. Erano sbucati tra le radici d’un ulivo aggrappato alle rocce. Ovunque campi dorati e più in là il sole si tuffava in mare. Nova Civitas brillava lontana.
«Beniamina… E voi non siete un galantuomo.»
Raines mollò la presa e lanciò un’occhiata a Grugno che chiudeva la fila. Il tracagnotto tese l’orecchio nel cunicolo e allargò un sorriso incrostato.
«Nessuno ci segue, capo.»
«Ti ringraziamo, Beniamina. A buon rendere.» Raines si toccò il cappello e guidò i suoi nel campo di grano verso la città.
«Quanto siete sciocco, Raines il mercenario», si prese gioco di lui. Piantò le mani sui fianchi e si mise in posa. «Non è di là che dovete andare.»
«Là c’è la mia nave.»
«La vostra nave è perduta… E così anche il vostro oro. Il Papa non ha badato a spese. Ha inviato qui tre bandiere di fanti e una di lance. Non credo che in quattro ce la possiate fare.»
Raines la scrutò arcigno. Quella ragazzina sapeva troppo dei fatti del Papa e soprattutto di loro. Tornò indietro sfrontato. Cuoio si appoggiò all’ulivo e Bombarda si sedette su un pietrone. Grugno si grattò sotto al morione.
«E tu come le sai tutte queste cose?», Raines le si avvicinò a muso duro.
Beniamina si allungò beffarda sulle punte.
«Dove vi porterò io ci sarà molto più oro di quel che avete perduto, capitano. Dovete solo fidarvi di me… e non perdere d’occhio il mio didietro.»
Gli schioccò un bacio sulle labbra e sculettò spensierata tra i campi di grano.
Raines scambiò un’occhiata coi suoi. Cuoio scrollò le spalle. Bombarda sospirò. Grugno si sturò un orecchio.
«Aaah! Ma guarda che ci doveva capitare», sbuffò e si misero in marcia dietro la ragazzina.
Passarono la notte nei boschi e rubarono i cavalli da una fattoria prima che facesse mattino. Galopparono come ossessi per sentieri poco battuti e si dissetarono a ruscelli e fontane. Beniamina sembrava conoscere in anticipo gli avvenimenti della giornata. Li faceva nascondere nella boscaglia prima che viandanti e drappelli a cavallo sbucassero dai sentieri. Le notti riposavano ospiti in fattorie arroccate tra le alture. Era lei che entrava per prima nelle case, loro seguivano un attimo dopo e trovavano contadini sorridenti e ospitali.
«Ci vorrebbe nella nostra compagnia, capo», commentò Grugno la terza sera. «La pagnotta e un letto morbido non sarebbero più un problema.»
Raines storse la bocca perché quella ragazzina aveva la spavalderia d’un condottiero e la sagacia d’una faina. Si era messo in testa l’idea che ci fosse lei dietro il gioco d’ombre e gli strilli che a Nova Civitas avevano scompigliato gli uomini del francese. Ma c’era qualcosa negli occhi di quella donzella che gli soffocava ogni pensiero e cacciava via il dubbio come un’ondata di vino. La mente gli rimaneva sazia e vuota. Per la prima volta in vita sua, si fidava.
Cinque giorni a tappe forzate tra alture, dirupi e vallate, sotto cascate e foreste piene di frescura e lungo pianure divorate dal sole. Finché alle luci dorate del tramonto non giunsero in vista d’un borgo arroccato su un’altura. Beniamina fermò il cavallo e indicò la fortezza che sovrastava il borgo un quarto di miglio più a monte.
«Rocca Albornoz. Siamo arrivati.»
Grugno si allungò sulle staffe.
«Narni! Quel borgo è Narni. Ci scommetterei le chiappe.»
«E non le perderesti», disse Cuoio a mezza bocca. Era la prima frase che gli usciva di bocca da una settimana.
Raines agguantò le redini della ragazzina.
«Che c’è lassù.»
«Un ultimo sforzo, e vedrete.»
Gli strappò le redini di mano e galoppò su per il sentiero.
Raines ingoiò amaro e le cavalcò dietro.
«Sono usciti da qui.»
L’esploratore indicò il buco tra le radici. S’asciugò il sudore sotto al cappellaccio e s’appoggiò all’ulivo. De Sacet lanciò un’occhiata a Nova Civitas lontana mezza lega e ai campi di grano bagnati dagli ultimi raggi di sole. Incrociò lo sguardo con tre armigeri scesi da cavallo e la dozzina di picchieri stanchi e accaldati. Si tolse la borgognotta e si mise a sedere. Il velluto fradicio lo opprimeva.
«Signore!», chiamò un altro esploratore che arrivava a passo sostenuto tra le spighe di grano. «Dei contadini li han visti. C’era una donna con loro. Andavano di là.»
De Sacet alzò gli occhi sul profilo lontano dei monti. Indossò la borgognotta e l’allacciò sotto al mento.
«Trovatemi le tracce e radunate gli uomini. In marcia tra mezz’ora.»
«Ha visto tempi migliori.»
Raines storse il naso di fronte allo squarcio nelle mura. L’interno della rocca dava l’idea di essere tutto una maceria.
«È opera dei lanzichenecchi. Voi ne dovreste sapere qualcosa», lo punzecchiò Beniamina.
«Non li guidavo io.» Raines incrociò le braccia. «Il mio oro?»
«Lo riceverete. A lavoro ultimato.»
«Non erano questi gli accordi.»
«Statemi a sentire. Qualcosa di maligno si aggira per Narni ogni notte da quando la rocca è stata saccheggiata…»
«Da un anno, capo», disse Grugno.
«Sì, più o meno. E i cittadini di Narni sono stanchi di vivere nel terrore.»
«Di che terrore parli.»
«Una creatura.»
Gli occhi neri della fanciulla rilucevano alla luna. Cuoio si fece il segno della croce. Bombarda sospirò. Raines scosse il capo.
«Non sono problemi miei.»
«Diecimila ducati è il compenso.»
«Chiamate una banda di cacciastreghe.»
«Li abbiamo chiamati. Nessuno è tornato.»
Raines si grattò il capo.
«Ventimila.»
«Siete una sanguisuga.»
«Trenta.»
«Va bene!»
«Voglio vedere il denaro e parlare con chi comanda in città.»
Gli occhi di Beniamina guizzarono scaltri.
«Chi comanda in città non sa niente di voi. Trentamila, e non saprete per chi lavorerete.»
Era la prima volta che gli veniva proposto un lavoro senza la firma di un uomo e senza vedere prima il denaro. Ma c’era qualcosa negli occhi di quella donzella che lo convinceva.
«E va bene, piccola. Ma tu vieni con noi.» La prese per il gomito. «Fai strada.»
Buio e fetore e macerie e miseria. Si aggirarono nella rocca circospetti alla luce pallida di finestre e feritoie. Grugno e Bombarda a perlustrare i ballatoi, Cuoio su e giù per i piani della torre maestra, Raines e la ragazza nelle cucine, nelle stanze della guarnigione e infine nel salone. Qualche topo, voli di pipistrello, ragni a correre sulle pareti. Nessuna traccia umana.
«Mi sa che la tua creatura se l’è squagliata.» Raines strozzò l’occhio alla ragazza. «Adesso chiama chi paga e vediamo l’oro.»
«È una fissa che avete!»
«Non è la sola», fece intendere scaltro.
La ragazza si lusingò.
«Vi potrei accontentare.» Slacciò piano la camicetta. Si fermò maliziosa. «Ma prima dovrete uccidere la creatura.»
Raines sbuffò.
«Hai visto coi tuoi occhi. Qui non c’è nessuno!»
Un ruggito sconquassò le viscere della rocca. Polvere cadde dalle travi, la vista si annebbiò. Qualcosa di orribile bagnava l’aria. Beniamina si aggrappò al braccio del capitano e inghiottì.
«Tranquilla, piccola. Ci sono io… Cuoio. Grugno. Bombarda!»
I tre arrivarono di corsa. Volti pallidi e armi in mano.
«Proveniva dal basso, capo», fece Grugno.
«Da sotto la torre maestra», precisò Cuoio.
Bombarda ravvivò la serpentina della spingarda.
Raines sfoderò le pistole.
«Andiamo.»
«Quattro uomini e una donna», disse l’esploratore. «La gente della fattoria ha detto che andavano di là.»
De Sacet allungò il naso verso i puntini luminosi accesi sull’altura.
«Sono diretti a Narni, signore.»
«Sempre che quei miseri contadini non stiano mentendo.»
«Li abbiamo appesi per i pollici. Credo che dicano il vero.»
«Lo spero per voi.»
De Sacet sollevò il guanto e dette ordine di proseguire.
La colonna di quaranta armigeri e duecento soldati si rimise in marcia come un lungo serpente che sferragliava.
Dalla polveriera sotto la torre avevano trovato una breccia nelle mura, di sicuro aperta a forza di piccone dai lanzi in cerca di rapina. Il cunicolo foderato di mattoni aveva lasciato il posto a pietre sbozzate coperte di salnitro e poi a uno più rozzo scavato nel terreno. L’aria era pesante e graffiava la gola. La cosa che più li preoccupava era l’altra puzza che si sentiva, come un sentore di maligno che incombeva.
Poi la lanterna rischiarò un buco da cui si accedeva a un vasto corridoio. Raines fece capolino e illuminò.
A destra la luce bagnava una scala tamponata da una frana. A sinistra si perdeva nell’oscurità.
«Che vedete, capo?»
«Una cosa che non mi piace.»
Raines caricò il cane della pistola ed entrò nel corridoio. Gli altri affacciarono i nasi.
Pilastri scavati nella roccia salivano storti a sorreggere una volta inclinata che dava il capogiro. Il pavimento sembrava curvare.
«Dà fastidio solo a me?»
«No, capo. Ho lo stomaco in gola.»
«Bene. La via è quella giusta», disse e prese giù per il corridoio; lanterna in alto e pistola in mano.
Gli altri seguirono guardinghi. Cuoio baciò il crocifisso che portava al collo e chiuse la fila.
«Abbiam passato al setaccio ogni casa, lupercale o chiesa di Narni ma non c’è traccia di loro. La gente giura sulla Madonna che non li ha visti passare.»
Pierre de Sacet lanciò un’occhiata all’altro esploratore che si asciugava la fronte madida sotto al cappello.
«E alla rocca?»
«Abbiam trovato due cavalli scossi che si aggiravano sul pianoro ma la rocca è deserta e in rovina… Però, signore…», azzardò circospetto.
«Parla!»
«Un fattore che ha la capanna vicino alla rocca ci ha detto che quello è un posto spettrale. Fuochi verdastri si levano nella notte. A volte ode sussurri e cantilene. A volte sente strillare. Ci ha consigliato di scendere al vecchio ponte romano. Lì è un buon luogo per far campo. Magari Raines e i suoi son scesi là.»
De Sacet storse la bocca e arricciò il naso.
«Magari.»
Strani pensieri e visioni d’orrori tormentarono Raines e compagni per tutto il cammino. Un’aria malsana li opprimeva. Arduo era cacciar via le funeste sensazioni. Un’angoscia prendeva lo stomaco e la fronte grondava.
Poi la luce della lanterna s’allargò in un salone. Alti pilastri salivano nell’oscurità. Un pavimento a enormi scacchi bianco e nero correva distorto e osceno come in una discesa sbilenca verso cui si aveva l’impressione di precipitare. Grugno si aggrappò al braccio del capitano. Raines lo fulminò con un’occhiata.
«Scusate, capo. È che pensavo di cadere.»
«Dov’è la ragazza?»
Raines la cercò invano alla sua destra dove gli aveva tenuto stretto il gomito per tutta la discesa. Illuminò attorno senza fortuna. Cuoio e Grugno e Bombarda fecero spallucce disorientati.
Una cancellata fracassò dietro di loro e in un boato li sigillò nella sala. Cuori in gola e occhi arrossati cercarono nel buio. Poi fuochi fatui guizzarono lungo bracieri appesi alle pareti e l’immenso salone si aprì verde e lugubre di fronte a loro.
A cento passi si sollevava un pulpito di marmo rosso venato e picche infisse nel pavimento tutt’attorno. Un ammasso di scheletri polverosi e rotti formavano un trono colossale. Corazze verdi incrostate e armi larghe d’un’epoca lontana erano sparse per la sala. E poi dozzine di corpi decomposti di lanzichenecchi e liquami in rigoli bagnavano il pavimento e miriadi di insetti bucavano le vesti stracciate.
Raines ingoiò amaro.
«Che abominio è mai questo.»
Una voce meschina riecheggiò lontana.
«Ciò che voi chiamate abominio, io lo chiamo: dimora.»
I quattro puntarono occhi e armi verso il pulpito da cui incombeva una figura scura circondata da un’aureola verdastra.
«Chi sei?», urlò il capitano.
«Ma che onore. Raines il capitano.»
Grugno stupì.
«Siete famoso, capo.»
«A quanto pare.»
«Non vi ricordate di me?»
«Ho l’abitudine di ricordarmi solo di chi mi paga bene… e delle belle donne.»
«E neanche tutte, capo.»
«Questo è vero.»
La figura contornata da luce verdastra si aggrappò alla balaustra.
«E se vi dicessi la data del 6 maggio 1527? Vi tornerebbe alla mente qualcosa?»
Raines si grattò sotto al cappello.
«Aaah. Son passati due anni! E come faccio a ricordarmi dov’ero.»
La figura s’infuriò.
«Era il giorno del sacco di Roma! Avete condotto i vostri mercenari e sconsacrato la basilica di San Pietro!»
Bombarda sbalordì.
«Hai fatto questo?»
«Sì», cincischiò Raines. «Ma eravamo noi i buoni.»
Bombarda mugugnò accigliato.
«Ehi!», li richiamò lo strano tipo dal pulpito. «Dovreste fare attenzione a me. Sono io che vi tengo in pugno… Ebbene vi darò un nuovo indizio. Io sono quel prete a cui avete sparato sul sagrato. Ricordate ora?»
Raines ci pensò su.
«Impossibile. Se vi ho sparato io, sareste morto ora.»
«E lo ero.»
La voce s’era fatta cavernosa. Una vibrazione belluina attraversò le viscere dei quattro e si portò via il fiato. Cuoio si fece il segno della croce e Raines inghiottì.
«Ho visto i demoni; e il volto dell’oscurità. Ho versato lacrime di sangue e urlato fino a lacerarmi la gola. Finché la luce non mi ha condotto al cospetto del Signore. E lui mi ha dato il potere… Il potere di tornare. Il potere di guidare quelli come me. Il potere di riportare la viiitaaa.» Allargò le braccia satanico. «Mi concesse questa dimora eretta su piani eterei, custode di segreti di età perdute… Chiedendomi solo una cosa in cambio. Solo una… Di uccidere voi.» L’indice che aveva sollevato al cielo lo indirizzò verso il capitano.
Un applauso solitario ruppe l’atmosfera di tensione. Raines si prendeva gioco di lui battendo le mani.
«Bravo. Adesso di’ alla vocina nella tua testa che c’è un ostacolo al tuo piano: io.» E sfoderò le pistole.
Lo strano tipo gettò la testa indietro e rise bestiale.
«Siete un animo debole, Raines. Oro e donne piegano il vostro intelletto.»
Accolse sul pulpito Beniamina. La spogliò e rivelò un corpo corrotto e infame.
A cento passi di distanza i quattro riuscivano a scorgere un raccapriccio di fibre muscolari e tendini e ossa tenuti insieme da fili di stagno e rame e grappe metalliche e meccanismi d’orologio che scattavano e pulegge e contrappesi.
«Lei è la mia più sublime creatura», si gongolò lo stregone. «Angeli simulatori dimorano in lei. Vi ha tenuto in potere fin dal primo incontro, capitano. E avrebbe potuto condurvi nell’abbraccio della carne se avesse voluto… Chissà quale sorpresa…» La carezzò su una spalla col dorso della mano.
Cuoio e Bombarda e Grugno guardarono straniti il capitano. Lui scrollò le spalle.
«Che c’è? Eravamo nel salone. Non c’era niente da fare…»
«È giunta la vostra ora, Raines!», tagliò lo stregone. «Adesso vedrete il sorriso del terrore.»
Spalancò le braccia e un brontolio basso e profondo vibrò l’intera sala. Un osso dietro l’altro, il trono si frantumò. Dall’ammasso caotico sbucarono un bacino e due femori e due braccia e un costato. E mani che raccoglievano teschi e li fissavano sulle colonne vertebrali e scheletri che si componevano a vicenda immondi e sgraziati. Impugnarono spade e scudi, lance e mazze, indossarono elmi e brandirono stendardi.
Raines e i suoi arretrarono contro la grata. Tentarono di smuoverla invano. Finché una risata gracchiante li agghiacciò e si voltarono di fronte all’armata. Centinaia di scheletri armi in pugno sorridevano meschini. Ecco cosa intendeva quel pazzo quando aveva parlato del sorriso del terrore.
«Addosso!», urlò stridulo lo scheletro con l’elmo cornuto e l’orda si scaraventò contro di loro.
«Qui si mette male.»
Raines e Grugno e Bombarda fecero fuoco ma le palle e la mitraglia si persero nell’orda che non arrestava. Sguainarono spade e martello e pugnali e si prepararono spalle al muro.
«È stato bello, ragazzi», fece Raines ai suoi.
Cuoio si fece il segno della croce. Grugno si aggiustò il morione.
Si lanciarono contro gli scheletri come ossessi. Salti e fendenti, affondi e grida, calci e martellate. Le armi degli scheletri erano vecchie e pesanti e le ossa deboli e polverose. Con gran sorpresa, Raines e compagni si trovarono a far man bassa di quell’armata. Li spezzavano come fuscelli, li sollevavano con una mano e come foglie secche li polverizzavano con un pugno.
«Tutto qui il tuo grande potere?» Raines agguantò l’ultimo scheletro e lo troncò in due sul ginocchio.
Grugno gli picchiettò sulla spalla e gli fece notare che erano finiti nel centro del salone e i corpi dei lanzi si animavano attorno a loro. Carni corrotte rinforzavano ossa giovani e dure. Mani forti impugnavano le picche e sorrisi sbilenchi li circondavano nella trappola di cuspidi avvelenate dagli umori.
«Mi sa che siamo in trappola, capo.»
«Bisogna far fuori quell’idiota o qui il gioco non ha fine. Pensateci voi ai lanzi. Bombarda! Aprimi una via.»
«Con piacere.»
Il pirata pigiò polvere e ferraglia e vetri nella spingarda, mise il ginocchio a terra e fece fuoco. La mitraglia spazzò via una decina di lanzi. I vicini li scorticò.
Raines si lanciò furioso nella breccia e sparò due colpi contro il pulpito. Schegge di marmo sfregiarono lo stregone che inveì.
Il crollo del trono di ossa aveva rivelato una scala che si attorcigliava nel marmo. Raines salì tre gradini per volta e spada in pugno balzò nella saletta delle colonne dietro al pulpito. Occhi frenetici cercarono lo stregone ma fu Beniamina a presentarsi davanti, maligna e felina.
«Resta con me, Raines. Possiamo continuare quel giochino…»
Offrì il seno e un’ondata di torpore travolse la mente del capitano. Davanti a lui ondeggiava l’immagine sinuosa di una fanciulla leggiadra e nuda che lo blandiva. Una voce soave nella testa gli diceva di gettare le armi e cedere all’amore.
Raines penzolò le braccia e fissò il vuoto mentre le mani dell’aguzzina gli sfilavano le pistole.
La fermò in tempo e se ne rimpossessò.
«Nessuno mi può toccare le mie bambine.»
Beniamina inghiottì.
«Pensavo che tu mi amassi.»
«Pensavi male.»
Schiacciò i grilletti e le piantò due palle in pancia. Sguainò la spada e la decapitò.
La testa rotolò tra i piedi dello stregone che tremava furibondo sulla soglia del pulpito.
«Non uscirai vivo da qui, Raines!»
«Nemmeno tu.»
Il capitano gli piombò addosso e lo infilzò. La lama entrò con troppa facilità nel ventre. Scostò la veste nera e si rese conto che quel corpo era un insignificante burattino. Il volto era posticcio e nella cartapesta delle guance luccicavano occhi di cera.
Raines fece un passo indietro schifato.
«Sei un pupazzo!»
Lo stregone si intristì.
«Il mio corpo era troppo corrotto perché io potessi essere di nuovo lui.»
Qualcosa sbucò dall’oscurità tra le colonne e aggredì Raines alle spalle. Colto di sorpresa, si ritrovò a lottare con un corpo macilento e ripugnante. Orbite vuote lo fissavano e una bocca fetida biascicava lamenti e maledizioni. Raines se le liberò scagliandolo contro il muro. Si pulì le mani sporche di carne marcia sui pantaloni e raccolse la spada.
Il pupazzo dello stregone si chinò su quel corpo putrido e lo abbracciò. Lo accarezzava e rassicurava con l’amore di un padre per il suo bambino.
Raines decapitò entrambi. Versò olio per lanterna sui corpi e con la scintilla dell’acciarino gli dette fuoco.
«Ignis omnia sanat.»
Raccolse la testa di Beniamina che ancora ghignava come un meccanismo incantato. S’affacciò al pulpito e la infisse in una picca. Non ghignò più.
Intanto i lanzi erano piombati per terra, pezzi di carne e ossa cospargevano l’intera sala. Grugno e Bombarda gridarono di giubilo per la vittoria e per il capitano.
«Ip ip, urrà!»
Cuoio sorrise e si fece il segno della croce.
Poi un vento gelido ondeggiò i fuochi fatui e un turbine mostruoso s’impadronì delle ossa e le risucchiò in aria. Nel gorgo verde una creatura prendeva vita. Braccia di molte braccia e testa di molte teste cercava il nemico e odorava la carne umana.
Raines raggelò.
«Presto! Quassù!»
Trovò un corridoio che dava accesso a una sala degli orrori con miriadi di corpi marci e ingranaggi e interiora e alambicchi e cera. Un pentolone ribolliva arti amputati; un olezzo putrido e acido nauseava. Raines strappò tendaggi e rovesciò tavoli in cerca di una via.
«Di qua, capo!», lo chiamò Grugno. Insieme a Bombarda avevano divelto una pala d’altare inchiodata storta nel muro che nascondeva un pertugio di rocce lisce e stallatiti inghiottito dal buio.
Cuoio entrò esagitato nel laboratorio.
«La bestia è impazzita. Abbatte i pilastri della sala. Presto crollerà!»
«Con me!», incitò Raines e seguito dai suoi si gettò nel pertugio.
Corsa frenetica e sbattere contro le pareti e ruzzoloni; i quattro gridavano inseguiti dalla polvere assassina e dal cunicolo che crollava. Finché in fondo scorsero la luce lunare tra radici pendule e senza pensarci due volte saltarono fuori. Volarono in un fiume e la corrente li trascinò via.
Annasparono e bevvero e tossirono e gridarono. Poi l’impeto delle acque placò e si aggrapparono alla sponda argillosa.
Cuoio fu il primo a tirarsi fuori. Baciò il crocifisso e ansimò.
Grugno e Bombarda si aiutarono a vicenda. Per ultimo si issò fuori il capitano. Strizzò l’acqua dal cappello e si lasciò sfuggire una risata.
«Anche stavolta, gliel’abbiam fatta vedere.»
Si scambiarono pacche e risero insieme.
«Poi mi direte: a chi…», Pierre de Sacet troncò le risate.
Sbucò dai cespugli e gli piantò la spada alla gola. Armigeri e fanti sbucarono dalle frasche e li inchiodarono sulla sponda. Erano finiti tra le rovine colossali di un ponte romano. I resti ancora in piedi scavalcavano la gola.
«Mi avete fatto sudare, capitano. Ma adesso mi seguirete a Roma. Allons-y!»
I soldati armarono gli archibugi e Raines sputò.
«Mai una volta che mi vada bene…»