I racconti di Satrampa Zeiros – “Raines e le ombre sul papato” di Simone Giusti

Presentazione

Per “I racconti di Satampra Zeiros” , abbiamo nuovamente il piacere di ospitare Simone Giusti che ci propone un racconto di  fantasia eroica mediterranea avente come oggetto il Papato, di circa 31.000 battute spazi inclusi.

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Autore

Simone Giusti, autore di numerosi racconti e romanzi di genere, laureato in archeologia all’Università degli Studi di Pisa, insegna storytelling e cinema. Vive a Calcinaia con la compagna Denise.
Ha pubblicato: Incubo (Robin Edizioni), Guerre Corporative (Il Foglio), Pisa connection (Marchetti Editore), Portland (Bookabook), la fiaba Il giardino di Boscofitto (Marchetti Editore) e il racconto lungo Ragnarok (Cento Autori).


Raines e le ombre sul papato

di Simone Giusti

 

 

«Ehi, ehi, datevi una calmata. Che tanto l’esecuzione è dopo domani.»

Mani e piedi incatenati, i due aguzzini spingevano Raines lungo i cunicoli delle carceri vaticane.

«Dannati baciapile.»

Uno stuolo di guardie svizzere lo prese in custodia in cima a una fetida scala e dietro gli ordini secchi di un luogotenente lo condussero sotto volte affrescate e corridoi troppo lussuosi per un carcerato come lui, in odio a tutta la Santa Romana Chiesa.

Gli spalancarono davanti un portone e lo spinsero per cento passi lungo un salone dai finestroni colorati. Svoltarono in uno studio pieno di mappe alle pareti e gli chiusero la porta dietro. Al di là della scrivania sedeva un meticcio dal ghigno spigoloso e i lunghi capelli neri avvolto in una toga scura. Accanto al meticcio, il luogotenente papale Pierre de Sacet gli indicò arcigno la sedia.

«Sedete.»

«Sto bene così.»

«Insisto.»

Raines si gettò a sedere. Il meticcio prese una carta e inforcò gli occhiali.

«Rainero detto il falco. Doppiosoldo imperiale. Capitano…».

«Chi sei.»

De Sacet sbatté il pugno sul tavolo.

«Siete qui per rispondere. Non per domandare.»

Il meticcio calmò il francese con un gesto della mano. Tolse gli occhiali e intrecciò le dita.

«Sono Milad Gaid. Segretario speciale di sua Santità.»

«Che vuoi.»

«Il vostro aiuto.»

«Prega Dio.»

Gaid sorrise e gli offrì una pergamena col sigillo pontificio.

«Questo è il perdono ufficiale siglato da sua santità Clemente Settimo. Per voi e per i vostri uomini.»

Raines dette un’occhiata e gettò la pergamena sulla scrivania.

«Perdono di che.»

«Avete saccheggiato Roma.»

«Con altri ventimila.»

«Ma voi siete qui. E tra due giorni verrete segato a metà.»

Raines sbuffò.

«Voglio la mia nave.»

«L’avrete.»

«E il mio oro.»

«Accordato.»

Raines mugugnò e lanciò un’occhiata al francese impassibile e impettito. Poi tornò a fissare Gaid.

«In cambio di che.»

«La cosa che sapete fare meglio.» Gaid si rilassò sullo scranno. «Rubare.»

 

«Tre giorni fa un convoglio pontificio è stato assalito a largo di Cagliari da una flottiglia pirata», spiegò De Sacet. Lui e Raines camminavano appaiati nelle armerie vaticane. Tagli di luce penetravano dalle finestre a bocca di lupo. Un manipolo di guardie svizzere li seguiva alabarda in mano.

«La nave ammiraglia trasportava la pierre philosophale

«Che ci fa il Papa con un ritrovato dell’alchimia.»

«Non sono affari vostri, Raines. Per di qua».

Nella sala d’armi quattro valletti porsero a Rains brigantina, spada, daga e quattro pistole.

«Un marinaio è sfuggito alla cattura. Ha riferito che il pirata pagano era alto e magro come un chiodo, brutto come il demonio, e con un sorriso che metteva paura. Aydin, lo chiamavano i suoi. È conosciuto come il Cacciadiavoli.»

Raines si calcò il cappello in testa.

«So chi è.»

Presero rapidi per uno scalone verso le scuderie.

«Ha sei galee, otto fuste e tre brigantini», continuò De Sacet. «È diretto verso sud.»

«Un po’ vago.»

«Vi dovrà bastare.»

«I miei uomini?»

«Solo il pirata verrà con voi. Gli altri resteranno come ostaggio. Avete venti giorni per riportare la pietra filosofale, dopodiché Grugno e Cuoio verranno giustiziati.»

«Senza un equipaggio non andrò da nessuna parte.»

«Abbiamo pensato anche a questo.»

Raines mugugnò. Uno scudiero gli porse le redini d’un corsiero roano e lui saltò in sella. De Sacet agguantò le redini d’un destriero bianco e saltò su. Raines si accigliò.

«Che fai?»

«Verrò con voi.»

«Ci mancava anche questa. Ah!»

 

Gaid osservò i due cavalieri che galopparono via sull’acciottolato finché sparirono tra i vicoli di Borgo. Si ritrasse dalla finestra e sospirò. Tornò rapido nel suo studio dove trovò un novizio tonsurato e curvo nel saio che l’attendeva seduto su una panca.

«Signor Gaid…», esclamò il novizio alzandosi in piedi.

«Com’è la situazione.»

Il novizio si strinse nelle spalle.

«Respira.»

Gaid si gettò sullo scranno e si mordicchiò le unghie divorato dai pensieri.

«Fate chiamare Amret», ordinò guardando altrove.

Il novizio drizzò il collo.

«Ma Signore! Abbiamo tutti gli uomini di fede che pregano da giorni…»

«E cos’abbiamo ottenuto!» Gaid lo squadrò furioso. «Eseguite i miei ordini. Senza opporvi! Non c’è cosa che detesti di più. Ma è l’unica carta che possiamo giocare… Fate chiamare il rabbino.»

 

Le onde spumeggiavano sulla prua. Il vento di babordo schizzava salmastro sulle labbra del capitano. Raines allungò il collo per scrutare la ciurma raccogliticcia e cenciosa sul ponte della sua nave. Dieci avanzi di galera dai ghigni minacciosi arrotolavano gomene e tendevano cime.

«Che ne dici?», domandò a Bombarda ritto al timone. Le braghe a strisce bianche e blu sferzavano al vento.

«Dico che sanno il fatto loro.»

«No, intendevo di lui», ammiccò a De Sacet abbracciato al parapetto che rigettava la colazione ai pesci.

Un sorriso storto comparve sotto i baffi del pirata.

«Dico che non tornerà a casa.»

«Lo dico anch’io… Prua a nord, Bombarda. Facciamo rotta per l’Argentario.»

«Ma il Cacciadiavoli è andato a sud!», Bombarda lo guardò torvo.

«Sì. Ma a nord vive chi ci aiuterà a trovarlo.»

 

Il sole si bagnava rosso nel mare quando Raines additò la caletta dove approdare. L’Argentario era una montagna verde e misteriosa che sbucava dal mare. La ciurma eseguì le manovre rapida e silenziosa, e Bombarda gongolò.

«I miei ragazzi. Mi piacciono già.»

Poco dopo la prua s’incagliò nella sabbia e le vele vennero giù. Raines balzò sulla spiaggia.

«Dove andate?», domandò De Sacet abbracciato all’albero di trinchetto e pallido come uno straccio.

«Te l’ho detto, francese. All’alba sarò di ritorno.»

S’infilò nel bosco e sparì nel buio.

«Mon Dieu

 

La boscaglia era fitta e il sentiero scosceso. Era passato un anno o poco più da quando Raines aveva lasciato quel posto e non era convinto di ricordarsi la strada. Poi intravide la tenda bruna che si agitava sul terrazzo di roccia a tuffo sul mare. Un tenue bagliore ambrato filtrava tra le pieghe.

Salì l’ultima rampa e la spalancò.

«Raines bel vagabondo», esordì la donna che dava l’idea d’aspettarlo. I capelli erano una cascata bruna.

«Zara la strega.»

«Sempre cortese.»

«Sempre bellissima.» Chiuse la tenda dietro di sé.

Zara lo squadrò con occhi smeraldini. Si sistemò sulla roccia su cui era seduta e giocò con la gonna fatta di stracci. I piedi nudi facevano presa sulle pietre della caverna arredata come una casa. Gioielli e ori sferragliavano ai polsi e al collo. Le fiaccole le disegnavano ombre sul volto. Nell’aria c’era profumo di radici bollite.

«Non mi dai neanche un bacio, bel capitano?»

«No.»

Zara si incupì. Saltò giù dalla roccia e trottò sull’amaca. Si stese e si spinse col piede contro la parete per dondolare. I campanellini alla caviglia tintinnavano.

Raines schioccò le labbra.

«Prendi la tua roba, Zara. Mi servi.»

La donna si spazientì. Balzò giù dall’amaca e gli andò in faccia. Si sollevò sulle punte per parlargli dritto negli occhi.

«Avevi tutto, Raines. Avevi me.»

«Non torniamoci su.»

«Andando in giro per il mondo non troverai mai te stesso.»

«Eppure sono qui.»

«Sei uno stupido, Raines.»

«Lo so. Tu sei pronta?»

Zara serrò le labbra. Gli occhi brillavano ambrati.

«Ti devo la vita, Raines.»

«E allora andiamo.»

 

«Signor Gaid!»

Il novizio spalancò la porta dello studio. Gaid sollevò il capo dalle carte. La lampada a olio proiettava lunghe ombre sulle pareti.

«Che succede?»

«Sua Santità… Presto, correte.»

Urla squarciavano la notte mentre il novizio e Gaid camminavano svelti per i corridoi bui del vaticano confidando sul lume.

«Si è ribellato a un salasso. Ha la forza di mille uomini.»

«Spostatevi», Gaid tolse di mezzo due guardie svizzere ed entrò nella stanza da letto papale seguito dal novizio. Raggelò.

Dieci servi erano aggrappati alle braccia e alle gambe del Pontefice che si dimenava nel letto come un ossesso. Livido in volto, gli occhi bianchi sgranati, blaterava meschino in una lingua oscena. Ombre gelide si arrampicavano sulle pareti e stringevano i fuochi nel camino riducendoli a pallidi virgulti incapaci di emettere calore. La lampada che Gaid aveva in mano si estinse.

«Oh Santo Cielo», esclamò il novizio.

Gaid gliela rifilò.

«È finito l’olio.»

Si passò una mano sulla fronte sudata. Poi zittì i frati che pregavano sommessi nell’angolo e chiamò a sé il cerusico mentre nel letto continuava la lotta contro le forze che agitavano il Papa.

«Quanto gli rimane?»

Il cerusico scosse il capo. Il volto era una maschera di sangue. Il bisturi tremava in mano.

Il novizio tirò la vestaglia di Gaid.

«Signore. Credo che solo le preghiere del pagano che mi avete ordinato di chiamare tengano il regno degli inferi lontano da sua Santità.» Ammiccò all’ometto curvo con un kippah in testa da cui ciondolavano lunghe trecce nere.

Gaid distolse lo sguardo schifato. Il rabbino Amret intonava canti blasfemi in dialetti sconosciuti. Il novizio incalzò.

«Dice che solo un miracolo dell’Altissimo potrà respingere i demoni che si cibano dell’anima del Pontefice… Abbiamo bisogno della pietra filosofale.»

Gaid sbuffò.

«Siamo nelle mani di un rifiuto dell’umanità.»

 

«Raines!»

Il capitano si rigirò nell’amaca e scoreggiò. Il raggio di sole che entrava dalla finestrella di poppa lo infastidiva.

«Che c’è.»

Bombarda si grattò il mento e barcollò sulla gamba archibugio.

«La donna dice che le onde han parlato e il mare le ha detto dov’è.»

«Era ora.»

Poco dopo Rainse si presentò sul ponte, sbadigli e sguardo assonnato. Si stupì nel vedere Zara abbracciata a quel damerino d’un francese. Ondeggiavano seguendo le onde, occhi chiusi e respiri leggeri.

«Attento a te, francese. Poi si farà pagare.» E si lavò il viso in un secchio.

«Raines, sei uno stupido», brontolò lei.

De Sacet si fece indietro, imbarazzato.

«Mi stava insegnando il contatto con noi stessi. Non avevo mai sentito il mio cuore battere, la mia mente pensare…»

«La tua mente che pensa? Non ci scommetterei.»

Zara piantò i pugni nei fianchi.

«Piantala! Sotto quella corazza da soldato, Pierre ha un animo dolce, non come il tuo.»

«Per fortuna… Allora? Bombarda dice che sai dov’è. Son tre giorni che navighiamo a vuoto.»

«Djerba.»

«Ne sei sicura?»

Zara si strinse nelle spalle.

«Il mare mi ha detto così.»

«Mh. Bombarda. Rotta per Djerba. Ci metteremo sì e no altri due o tre giorni, se il vento persiste così.»

«Djerba è una roccaforte pirata», si incupì De Sacet.

Raines si tirò in piedi stufo.

«E allora?»

«Là ci sono tutte le flotte dei più pericolosi pirati pagani. Da Barbarossa a Braccio d’argento.»

Raines biascicò schifato un pezzo di biscotto preso dal barile.

«Ehi, Bombarda, ma che diavolo è?»

«È quello rancido. Quello buono è nell’altro barile.»

Raines sputò.

«Dannazione!»

De Sacet si rifece sotto, preoccupato.

«Ci saranno mille e forse più navi attraccate a quell’immensa isola fortezza. E chissà quanti pirati. Come potremo noi…»

«Lo hai detto tu stesso. Ci son così tanti pirati che non faranno caso a una nave in più.»

 

Djerba apparve all’orizzonte sul calare del terzo giorno di navigazione. Erano già sette da quando erano partiti e il tempo iniziava a scarseggiare.

Bassa, sabbiosa e bianca. Il mare cristallino di un azzurro che stordiva. Costeggiarono spiagge maestose e palmeti finché giunsero in vista dell’immenso porto giallo e sconfinato. Ai moli di legno erano ancorati miriadi di legni. Galee e fuste pirata, caracche sottratte ai cristiani e brigantini. Gli alberi maestri erano una foresta che dava il capogiro.

«Bombarda. Tu resterai sulla nave. Ho bisogno di uno fidato a bordo. Tieni sott’occhio l’equipaggio… e il francese», ordinò Raines in poppa e infilò le pistole nella cintura.

«Jamais!», incalzò De Sacet furioso. «Verrò avec toi

«Non se ne parla. Si vede lontano una lega che sei un baciapile.»

Raines lo scanso con una spallata diretto verso prua ma De Sacet sguainò la spada e gliela puntò alla schiena.

«Non ve lo permetterò!»

Raines lo guardò di sbieco.

«Ehi, rimetti dentro il giocattolo e finirà che ti ci taglierai.»

I marinai avevano fatto un cerchio minaccioso attorno al francese che inghiottì.

«Io sono un ufficiale di Santa Romana…»

«Pierre», intervenne Zara. «No.»

Lo aiutò a rinfoderare la spada. Lo fissò negli occhi e scosse il capo. De Sacet sbuffò inviperito e puntò il dito guantato contro il capitano.

«Badate a voi, Raines!»

«Sì, lo faccio sempre.»

Rainse strinse una bandana scura in testa a Zara e si calcò il cappello in testa. Si scambiarono uno sguardo d’intesa.

«Esporre una donna a questi pericoli. Inaudito!», gonfiò De Sacet.

«Ah. Perché tu non hai mai visto le donne uscocche», disse fiero Bombarda. «Grandi piratesse, loro.» E gli rifilò una pacca sulla schiena.

«Mon Dieu

Raines e Zara intanto erano spariti nella folla indaffarata che accalcava i moli.

 

Piazze e scale e finestre a non finire. Vicoli e viuzze tra muri color terra tutti uguali. Tra fontane e locande e piazzette storte e palme nane sciamavano tipacci scalzi con braghe gonfie e colorate, e petti nudi e turbanti e scimitarre nelle fasce piene di gemme e monete. Le barbette ispide e nere, gli occhi fondi e scaltri, la pelle rugosa macchiata dal sole. Quella era Djerba, roccaforte pirata.

«Lo farai soffrire», fece Raines.

«Chi? Pierre?», cascò dalle nuvole Zara.

«Già.»

«Chi t’ha detto che lo sto usando per far ingelosire te?»

«Tu.»

Zara rimase di sasso. Lo inseguì e lo agguantò per il bavero.

«Stammi a sentire, tu, dannato mercenario…»

«Ssst.» L’afferrò per le spalle e la baciò.

«Ma che diamine!», lo spinse via. «Sei sempre il solito mascalzone.»

«E a te questo fa impazzire.»

La spinse dentro una porta e sparirono nel buio d’un sottoscala.

 

«Bordel de merde

De Sacet scalciò stizzito e riprese a passeggiare nervoso su e giù per il ponte. La notte aveva portato con sé quiete e frescura. I moli erano deserti ma il francese non si placava. Si sistemò l’enorme turbante che Bombarda gli aveva fatto indossare e si maledisse di nuovo per aver permesso a quell’insulso mercenario di scendere a terra con quella gentil fanciulla. Da sola!

All’ennesimo dietrofront si trovò davanti Bombarda che lo sovrastava. Il pirata gli indicò di fare silenzio.

«C’è un brutto odore nell’aria.»

De Sacet sniffò narici al vento.

«Oui. Lo sento anch’io.»

«È un odore che sa di magia.»

 

Raines camminava svelto davanti a Zara che si risistemava la gonna spazientita.

«Raines. Il tuo comportamento. Io…»

Raines si fermò nel centro d’una piazzetta. Una fontana zampillava e le stelle brillavano in cielo.

«Sei sicura che sia la direzione giusta? C’è qualcosa di strano nell’aria.»

«Lo senti anche tu?», stupì Zara.

«C’è puzza metallica. Come di temporale. Ma il cielo è sereno.»

«I venti mi han parlato di quella torre», Zara indicò un torrione dai grandi finestroni accesi di torce che svettava sopra le case. «Ciò che cerchiamo è là.»

«Stammi vicina.»

Zara annuì e si strinse a lui.

 

Il pendolino di cristallo vorticava in senso orario. Tra fumi viola si sollevarono gli occhi fieri dello stregone dal grande turbante nero. Annuì.

«Evet. Sì.»

Dall’angolo buio della stanza sbucò una testa negra. Si allargò un sorriso spietato e brillarono occhi feroci.

 

«Quand’ho firmato come mercenario sapevo che avrei rischiato la vita. Ma non così.»

Raines sbirciò il selciato molto più in basso. Attese che il soldato di ronda con lancia e scudo svoltasse l’angolo, poi fece forza con le mani e si issò nella finestra a metà torrione. Offrì la mano a Zara dietro di lui e la tirò su.

«Questa torre è una fortezza», riprese fiato lei.

«Ma alla fine siamo entrati. E nessuno sa di noi.»

Una punta nel fianco gli tolse il sorriso. Una dozzina di soldati entrarono nella sala con lanterne e archibugi. Avevano corazze scintillanti ed elmi puntuti.

«Be’, qualcuno sì», mugugnò accigliato.

Un applauso ironico anticipò l’ingresso di un tizio alto e magro come un chiodo e nero come la pece. Una testa calva e appuntita spuntava da una veste smeraldina che scintillava. Indossava stivali con la punta arricciata e una grande scimitarra ingioiellata pendeva da un drappo scarlatto in vita.

«Entrata plateale», commentò Raines. «Sembro io.»

Zara gli dette di gomito spazientita.

L’uomo si avvicinò e squadrò entrambi con aria ambiziosa.

«Se Maometto non va alla montagna, sarà la montagna a venire da me. Finora non sapevo cosa significasse. Adesso sì.»

«Ecco un altro megalomane.»

«Raines. Piantala!», lo riprese Zara.

«Raines il doppiosoldo», disse l’uomo.

«Sono famoso.»

«Me lo ha detto il büyücü, lo stregone.»

«E a me invece chi sei non l’ha detto nessuno.»

«Aydin Rais.»

«Il Cacciadiavoli.»

«È uno dei molti nomignoli.»

«E neanche uno è buono.»

«Non è te che cerco», tagliò Aydin e rivolse l’attenzione a Zara. «Cercavo lei. E tu me l’hai portata.»

«Giù le mani», intervenne Raines e si ritrovò le braccia dietro la schiena e due lame alla gola.

Aydin accarezzò il volto della donna che tirò indietro il collo spaventata. Si voltò verso lo stregone dal grande turbante nero in cerca di un responso. Il pendolino vorticava furioso tra le mani affilate e lo stregone annuì compiaciuto.

Aydin lasciò in pace Zara e si rivolse di nuovo al mercenario.

«Non è un caso che tu fossi con lei. Ho deciso: mi servite entrambi.»

«Perché sennò andrai dalla mammina a lamentarti che i cattivoni non ti vogliono aiutare?», blaterò Raines.

«Perché sennò la vostra nave affonderà. Col vostro equipaggio sopra. E sarà l’ultimo dei vostri pensieri.»

Raines inghiottì.

 

«Tu sei l’unica che ci può riuscire», disse Aydin. Stringeva il parapetto della terrazza più alta della torre. Il suo volto spigoloso era accarezzato dal vento di mare e i suoi occhi arcigni fissavano il palazzo del bey al di là dei giardini di fontane e palmeti.

Raines infilò la pistola carica nella cintura e s’appoggiò di spalle al parapetto. Scambiò un’occhiata con Zara a cui due eunuchi finivano di stringere i lacci di una corazza araba con un grosso disco sul petto. Aydin le rivolse l’attenzione.

«Così ha detto il jinn che abbiamo interpellato.»

Le strinse una mano tra le sue e Raines storse il naso.

«Ti abbiamo cercata per tutto il grande mare», continuò. «Assalimmo il convoglio papale guidati dalla saggezza del sarkaç, il pendolo. Rimasi deluso dal non trovarti a bordo. Ma è grazie a quella conquista se tu adesso sei qui. Strane sono le vie di Allah che tutto conosce.»

«Sì, bravo. Allah ti vuole bene e bla bla bla», Raines tirò via Zara dalle grinfie di Aydin e incrociò le braccia sul petto. «Adesso dicci cosa vuoi.»

«Quella è la residenza del bey», disse e indicò il palazzo in stile arabo con immense arcate in lapislazzuli e marmi striati. «La sala centrale custodisce un immane tesoro. Chi controlla l’oro controlla Djerba e i suoi pirati. Chi controlla i pirati è secondo solo al Solimano».

«Fatelo fuori.»

«Lo abbiamo fatto. E tutte le sue guardie. Ecco là cosa ne resta», indicò una foresta di pali al lato dei giardini da cui pendevano i macabri resti di decine di soldati.

Zara strinse il braccio di Raines. Lui s’accigliò.

«E allora? Cos’è che ti trattiene?»

Aydin sospirò.

«Anni fa, quando il bey era un semplice capitano d’una fusta corsara, razziò una nave cipriota di mercanti orientali. Trovò qualcosa a bordo che gli conferì un grande potere. Quel qualcosa adesso vive nel palazzo e difende il tesoro.»

«E per vincere quel qualcosa serviamo noi.»

«Lei… E tu.»

«Appunto. Noi… E va bene, pirata dalla strana casacca, noi ripuliamo quel posto, ma tu in cambio ci dai la pietra filosofale. E la libertà.»

Aydin scoppiò in una grassa risata. I suoi occhi erano strani.

«E sia.»

Osservò Raines e Zara sparire giù per le scale e rivolse lo sguardo allo stregone. Questi annuì e allargò le mani da cui scaturì un’aura viola.

 

De Sacet si svegliò di soprassalto. Stupì nel ritrovarsi seduto sul ponte con le mani legate dietro la schiena e le braccia intorno all’albero maestro.

«Mon Dieu

I marinai erano legati come salami e una mezza dozzina di soldati turchi con scudi e corazze scintillanti presidiavano il ponte.

Aveva la bocca secca e la mente confusa. Ricordava di una nebbia verdastra che si era riversata nella nave e aveva offuscato i pensieri come un veleno. Poi si accorse di strani bagliori violacei al di là della città e trasalì.

«Zara… Bombarda!», dette di gomito al pirata legato accanto a lui. «Guarda. Sta accadendo qualcosa laggiù.»

«Sta accadendo qualcosa anche qui», ghignò Bombarda e tirò fuori le mani da cui pendeva la corda spezzata.

 

«Quel pirata non me la racconta giusta. E poi non credo che terrà fede ai patti», mugugnò Raines mentre camminava spavaldo lungo i giardini.

«Io penso di sì», fece Zara accanto a lui. «Ho sentito un atavico principio d’onore in lui.»

«Io no.»

«Perché tu non ce l’hai.»

«Sarà.»

Sguainò le pistole e s’infilò sotto l’enorme arcata.

 

I primi due turchi Bombarda li aggredì alle spalle e gli sbatté la testa insieme. Il terzo lo sollevò di peso, lo usò come scudo contro l’affondo del quarto e glielo scaraventò addosso piombandoli entrambi in mare. Schivò la lancia del quinto e lo stese con uno schiaffo che spezzò la mascella. Il sesto se la dette a gambe levate.

«Dobbiamo inseguirlo!» sbraitò De Sacet mentre Bombarda lo liberava.

«Sta’ qua», lo agguantò per una spalla e lo rimise a sedere. «È bene che fugga. Così li avvertirà tutti, e quei pagani si cagheranno sotto all’idea che stiamo arrivando noi.»

 

Pavimenti di mosaico e colonne d’alabastro e soffitti di smalto colorato. Piscine e zampilli e cuscini e alcove dietro gelosie di cedro intarsiato. Raggi di luna filtravano dai lucernai e silenzio abissale.

«Sento follia e lussuria», sussurrò Zara stretta al braccio del capitano.

«Preferisco la seconda.»

Si fermarono sulla soglia dell’ennesima stanza di fronte a uno spettacolo disumano. La catasta di cadaveri sfiorava il soffitto. Si decomponevano in liquami senza odore.

«Mh. Chiunque abiti qui è ordinato.»

Qualcosa scalpicciò nella stanza accanto. Raines caricò i cani delle pistole.

«Stammi dietro.»

Appiattito contro il muro e col respiro corto in gola, Raines sbirciò oltre la porta e rabbrividì. Un enorme scimmione bitorzoluto ciondolava attorno a un cumulo di ori e gioielli che risplendeva in una stanza dagli immensi colonnati. Aveva spalle larghe come un bue e braccia che sfioravano il pavimento. Si voltò di colpo mostrando denti ricurvi e occhi bruni che s’accesero come tizzoni.

«Mi sa che l’abbiamo fatto arrabbiare.» Prese la mira e gli sparò due palle nel manto di pelo.

Il mostro gorgogliò qualcosa che somigliava a una macabra risata, poi si scagliò contro il mercenario e lo investì come un carro sparandolo contro il muro.

Raines si ritrovò per terra con la schiena a pezzi e il fiato in gola.

«Qualcosa mi dice che non funziona», sputò mentre Zara arretrava terrorizzata e il mostro rivolgeva a lei l’attenzione. Bava scendeva e un fiato pestifero insozzava l’aria.

Raines sguainò la spada e si scagliò contro di lui. Due e tre affondi nella schiena e nel fianco non sortirono alcun effetto, ma furono sufficienti per distrarlo, così agguantò Zara per il braccio e corsero via.

Quello non era un palazzo ma un labirinto senza uscita. Sale si susseguivano tutte uguali e corridoi storti e piscine i cui zampilli piovevano sul soffitto a formare pozze che sfidavano le leggi razionali.

«Siamo in un incubo», ghignò il mercenario schiena contro il muro per riprendere fiato. Zara era una maschera di terrore.

Sentivano ansimi lontani e grugniti e scalpicciare. Raines ringhiò.

«Ci sta braccando. Siamo le sue prede.»

«Aspetta», lo fermò lei. «Sento la sua aura. Ha rabbia. Tanta rabbia… Si sente solo.»

«Tra poco lo sarai anche tu se non ci muoviamo da qui.»

«Aspetta, Raines! Non possiamo sconfiggerlo se usiamo l’arma sbagliata.»

«Che vuoi dire?»

L’ombra della bestia si allungò sul pavimento e i due fuggirono a perdifiato tra altre stanze infinite e uguali finché sbucarono di nuovo nella sala dei tesori. Zara strinse la mano del mercenario e indicò la sommità del cumulo di gemme e monete su cui risplendeva una strana ampolla cristallina di luce rosata.

«Io so cos’è…»

Un ruggito le troncò la frase e le sconquassò gli intestini. Raines fronteggiò il mostro ed estrasse anche la daga.

«Adesso mi sono stancato.»

L’assalì all’arma bianca e veloce sulle gambe colpì di taglio e stoccata, di destro e di ritorno, finché non fu troppo stanco per continuare e il mostro lo afferrò alla gola. Strinse gli artigli e lo sollevò come un tonno all’arpione.

Raines scalciò e sputò e strangolato si dimenò come un ossesso finché Zara non comparve tra lui e quella bestia e con fare pacato affondò la mano nel petto peloso.

«Io ti comprendo.»

Il mostro la fissò furioso. Raines scalciò invano mentre si sentiva i polmoni scoppiare.

«Anche noi abbiamo paura. Come te», continuò Zara sotto le fauci del mostro. «Non ti vogliamo far male.»

«È un mostro! Scappa!», ringhiò Raines con l’ultimo fiato.

Zara affondò entrambe le mani nel pelo all’altezza del cuore.

«Sento il tuo dolore.»

Il mostro mollò la presa e Raines piombò sul pavimento. Ci mise qualche attimo per riprendere a respirare. Subito agguantò la spada.

«No!», lo fermò Zara. Poi abbracciò il mostro come una bambina che spariva in una colossale foresta di pelo.

Accadde qualcosa nella testa della bestia, perché emise strani versi simili a singhiozzi e gli occhi rossi si spensero e qualcosa gocciolò come lacrime di mercurio.

Raines cadde stupito natiche a terra e senza fiato guardò Zara che prendeva per mano il mostro e camminavano insieme verso la montagna di tesori. Lui indicò l’ampolla che risplendeva rosata sulla sommità. Scuoteva il capo e mugugnava qualcosa che Zara dava l’idea di comprendere bene. Si voltò verso il mercenario e gli sorrise serena.

«Quello è l’occhio di Ganesh», disse indicando l’ampolla. «In quel gioiello un Antico vincolò l’anima di questa creatura obbligandola sul nostro piano terreno. Lui non vi si può avvicinare e finché rimarrà intatto sarà costretto in questo palazzo come in una prigione. Per questo lo difendeva. Non voleva che qualcuno lo rubasse. La sua anima è là… Distruggilo, Raines. Facciamolo tornare a casa.»

Raines rinfoderò la spada e passò alla larga da quei due. Si arrampicò sulla cascata d’ori e gemme e strinse tra le mani quell’ampolla. Si perse nei suoi colori. Era di una bellezza che disarmava.

«Distruggilo. Ora!»

Raines annuì e la infranse sul pavimento. Tra le mille schegge qualcosa di colorato soffiò in alto e si vaporizzò nell’aria. Quando Raines tornò a guardare Zara, il mostro non c’era più e la donna piangeva bagnando il sorriso.

«Cercava comprensione. Ecco la sua furia.»

«Questa mi mancava.»

La strinse tra le braccia e sospirò.

Un attimo dopo passi titubanti di soldati giunsero nel salone. I primi dettero il via libera e l’intera banda di Aydin si riversò scalmanata sugli ori. Un’orda sconsiderata gioiva e muggiva come diavoli bambini.

Raines guardò Zara negli occhi.

«Come sapevi tutte quelle cose?»

«Le sapevo e basta. Se ascoltassimo, tutti potremmo sentire.»

«Grandioso», esclamò Aydin raggiante. Strinse la spalla di Raines. «Tu sei libero. Va’… Tu no», disse rivolto a Zara.

«Non erano questi gli accordi!», tuonò il mercenario e mise mano alla spada mentre una dozzina di soldati li circondava.

«Gli accordi sono cambiati.»

Uno sparo interruppe i festeggiamenti.

«Giù le spade, pagani. Il capitano e la ragazza vengono con noi», disse Bombarda ginocchio a terra con la spingarda puntata sui soldati. De Sacet accanto a lui ricaricava l’archibugio e i marinai spade in pugno erano pronti all’assalto dietro di loro.

Raines tirò a sé Zara e uscì dal cerchio di soldati.

«Adesso dicci dov’è la pietra, Cacciadiavoli. E se mi gira bene, ci sta che arriverai a domani.»

Aydin esplose in una risata. Agguantò un soldato per la collottola e lo spinse verso di loro.

«Seguitelo. Vi porterà lui dalla vostra pietra.» E rise di nuovo con uno sdegno disumano.

Raines biascicò.

«Mi sa che era più umano quel mostro dell’intera umanità.»

 

Ciò che trovarono in una cella nei sotterranei della torre lasciò Raines senza fiato. Si aspettava una gemma, un diamante o un semplice sasso. Trovò un uomo.

Era magro e coperto di una cenere bianca che risplendeva alla luna. Se ne stava seduto con le gambe incrociate, un cesto di capelli scarruffati e una barba sozza lunga alle cosce.

«Che significa», Raines lanciò un’occhiata minacciosa al soldato turco che mostrò i palmi delle mani e si fece indietro.

Zara gli strinse la mano.

«È lui.»

Raines storse il naso e fece un passo nella cella.

«Chi sei?»

«Io sono ciò che vedi. Io sono la scissione e la ricomposizione e la comunione. Io sono l’esperienza che Tutto fa attraverso di me.»

«Ma che diavolo… Che sei, un santone?»

«Raines!», lo riprese Zara. «Viene dal Kashmir. Non chiedermi come lo so. Lo so.»

«Il Kashmir? Dove diamine è il Kashmir?!» Si rivolse di nuovo allo strano uomo. «Ehi, la pietra che cerchiamo è l’elisir della lunga vita. Dà l’immortalità.»

«L’immortalità è presente in ogni uomo.»

«No, no, no. Non ci siamo capiti. La pietra filosofale può tramutare il piombo in oro.»

«Ogni uomo genera la propria realtà. Che può essere piombo od oro.»

«Questo prende per i fondelli», ringhiò ed estrasse la pistola.

«Raines, no!», Zara gli si aggrappò al braccio. «Vive da sempre. È lui!»

«Ma piantala!»

Se ne liberò e puntò il dito in faccia allo strano uomo.

«Stammi a sentire, vecchio pazzo senza mutante. I miei amici moriranno se non tornerò a Roma con una pietra. E io ne ho le tasche piene di gente che s’atteggia a divinità e poi non è nessuno.»

«Sei libero di fare di me ciò che vuoi. Ammiro il me stesso che è in te.»

«Ma vaff…! Se non riporto la pietra a Roma, io…»

«L’uomo che si crede Tutto e che cerca rimedio nelle cose vane e terrene avrà ciò che cerca poiché io sono in lui e lui è in me.»

«Che vuoi dire?»

De Sacet gli strinse una spalla.

«Che il nostro compito è terminato.»

Raines scambiò un’occhiata con Zara che annuiva e con Bombarda che si lisciva i baffi pensoso. Tornò a guardare quell’uomo i cui occhi piccoli e neri erano pozzi in cui sembrava di galleggiare nel tepore della pace.

«E va bene…», fece un passo indietro e si scrollò di dosso una strana sensazione. Le labbra erano una salina. «Bombarda! Raduna l’equipaggio. Rotta per Roma. Andiamo a liberare Grugno e Cuoio.»

 

  • § §

 

Le campane suonavano a festa mentre Gaid camminava svelto sotto i loggiati. La veste nera sventolava e il sole splendeva.

Entrò d’impeto nelle stanze pontificie e si stupì.

Le finestre spalancate lasciavano entrare prodigiosi raggi di sole e il Papa nel letto si ingozzava strappando morsi da carni arrosto e suggendo avido da ciotole che i servi colmano di continuo. Uno stuolo di valletti sorreggeva brocche di vino e vassoi carichi di portate.

Gaid si fece il segno della croce.

«Ah, ecco nostro caro Milad», salutò il Papa. «Come vedete, non abbiamo più bisogno di alcunché.»

Gaid cercò conferma negli sguardi altrettanto sbigottiti dei cerusici.

«Se cercare quel pagano… come si chiama… Amrat, Amret… il rabbino», fece il Papa, «l’abbiamo fatto rispedire nel ghetto. Non era posto per lui stare accanto a Nostra Santità… Ah, e in quanto a quel bandito…»

«Raines», suggerì il novizio che era sbucato alle spalle di Gaid.

«Sì, lui. Quando tornerà, se tornerà, fatelo squartare.»

«Ma, vostra Santità», sbalordì Gaid. «Abbiamo siglato un accordo. I suoi compagni sono ancora nelle prigioni.»

«Ah, bene! Che lieta notizia. Iniziate con loro. Fateli squartare al più presto. I nostri occhi gradiranno un po’ di spettacolini.»

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