
Il Re di Tebe, Ercole e suo figlio assistono ad una apocalittica visione che grazie alla sapienza dell’indovino Tiresia si rivela essere una grave minaccia per l’Ellade, forze terribili da un lontano occidente, al di là dei mari e dello stretto da dove nessuna nave ha fatto ritorno…
Il 1961 è stato l’anno d’oro per il cinema peplum perchè nel giro di pochi mesi uscirono ben 3 capolavori del genere, ognuno con la sua specifica declinazione all’Immaginario.
Questo Ercole alla Conquista di Atlantide diretto da Vittorio Cottafavi (diventato Hercules and the Captive Women per il mercato americano per un motivo a me sconosciuto) è il primo peplum degno di nota a sposare la fantascienza con quel gusto per un’avventura a tinte comiche che farà la fortuna di molte altre pellicole successive.

Il film si presenta sin da subito scoppiettante, con una rissa dove volano calci, pugni, piatti, brocche di vino, uomini, sedie, tavoli e qualsiasi altro elemento presente nella locanda. In questo uragano di botte, Ercole rimane seduto al tavolo a mangiare e bere come nulla fosse per poi chiudere la faccenda con una sola mano.
Così ci troviamo di fronte ad un Ercole (Reg Park), così calmo e sicuro di sè che per smuoverlo occorrono fatiche degne di lui e credetemi, ce ne saranno diverse. Che si tratti di trainare una nave in fuga fino in spiaggia, sconfiggere belve e mostri assetati di sangue, confrontarsi contro una razza di temibili guerrieri o distruggere un’intera città dalle fondamenta gli sceneggiatori Cottafavi, Tessari e Continenza si sono divertiti a creare una delle più ricche e indimenticabili avventure che il semi-dio greco abbia mai affrontato nel cinema italiano.

A supporto del nostro eroe troviamo il Re di Tebe, Androclo (Ettore Manni), che dopo aver saggiato il coraggio dei propri colleghi governanti (fra cui spiccano un giovanissimo Gian Maria Volontè ed Enrico Maria Salerno), si butta a capofitto in questa nuova avventura trascinandosi dietro il nostro muscoloso eroe. Peccato però che sia lui il primo a cadere nelle mani della terribile Regina Antinea di Atlantide (qui interpretata da Fay Spain, ma personaggio passato alla storia nel film del 1931 di Pabst), capace di lavaggi di cervelli, sciogliere i nemici in un acido “atomico”, sacrificare la propria figlia (la bellissima e giovanissima Laura Efrikian) ad un infausto destino ed infine capeggiare un’armata di puri guerrieri atlantidei ardenti di trasformare il mondo a propria immagine o bruciarlo nel tentativo.

Il film quindi non solo diverte e appaga gli occhi ma rivela la sua componente fantascientifica in chiave allegorica (questa purezza della razza atlantidea rispecchia quella voluta da Hitler, la pietra che dà “luce e tenebre, vita e morte, il sangue di Urano” è proprio l’Uranio alla base della bomba atomica), rispondendo anche all’annosa questione etica sollevata da Einstein (un’arma capace di distruggere la Terra richiede responsabilità e maturità, da adesso la razza umana entra nell’età adulta).
La fotografia di Carlo Carlini gioca molto bene con i colori fotonici abituali del genere e dell’epoca, sempre utili nelle scene fantastico-orrorifiche. Alternando campi lunghi, ottimi per le scene all’aperto dove il cielo, il mare e la terra sono gli indiscussi protagonisti, ai più comodi campi totali per gli ambienti chiusi, per poi destreggiarsi tra piani medi e primi piani nelle scene di lotta, di rivelazione o di dialogo, il lavoro di Carlini spicca per competenza e qualità.

Le scenografie di Franco Lolli contribuiscono parecchio alla riuscita della pellicola, regalandoci sia l’opulenza di Tebe e la rigidità talvolta labirintica e soverchiante di Atlantide, sia panorami mozzafiato in campo aperto e nel ventre più oscura della terra. Senza nulla togliere agli effetti speciali che ci regalano pure schegge di fantastico come la visione apocalittica con l’albero in fiamme, i nefandi effetti del sangue di Urano su un prigioniero e lo scontro ai limiti del reale contro Proteo circondato dai suoi trofei (bellissime donne fuse nella pietra dalle quali prosciuga la vita).
Questo Ercole alla Conquista di Atlantide è uno dei capisaldi del genere peplum, il primo film degno dall’inizio alla fine con protagonista il figlio di Zeus e tra gli esempi più coraggiosi del cinema italiano e mondiale di una volta, capace di mescolare generi e divertire con idee geniali e strampalate vincendo la pochezza dei mezzi e l’astio della critica specializzata.

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