
Il capitano Sinbad (Kerwin Mathews), approda con il suo equipaggio su un’isola misteriosa per rifocillarsi. Qui i marinai si scontrano con un gigantesco ciclope e traggono in salvo il mago Sokurah (Torin Thatcher), cacciato dal mostro perchè aveva sottratto una lampada magica, che nella fuga viene inghiottita dal mare. La nave così si dirige a Baghdad dove Sinbad e la bella amata Parisa (Kathryn Grant) stanno per sposarsi ma il mago è disposto a tutto pur di recuperare la lampada magica, anche al più bieco degli inganni…
L‘Ulisse di Camerini nel 1954 aveva conquistato il pubblico di mezzo mondo e sbancato i botteghini del globo intero. Gli americani non potevano rimanere a guardare, e avevano capito che la fantasia non era affatto una cosa per bambini o diseducativa bensì parte integrante del grande spettacolo, ben accetta dagli adulti se ha la capacità di stupire e meravigliare. Così si misero alla ricerca di un personaggio capace di tenere testa ad Odisseo, e per loro fortuna proprio a metà degli anni ’50 un giovane di nome Ray Harryhausen se ne andava in giro per Hollywood mostrando disegni dove terrificanti mostri gargantueschi si abbattevano su poveri uomini in scenari da sogno, e un solo uomo li vinceva: Sinbad! (il disegno col drago qua sotto è un palese omaggio di Sigfrido e il drago di Rackham)
Gli americani avevano già conosciuto il leggendario marinaio in diverse occasioni. La più lontana risale al 1919. Poi un breve corto animato ad opera di Ub Iwerks del 1935, uno dei “Nine Old Men” della Disney. La pellicola più celebre però è Sinbad il Marinaio del 1947 dove il grande Douglas Fairbanks Jr. è alla ricerca del tesoro perduto di Alessandro Magno e molto interessato ad una bella principessa, la meravigliosa Maureen O’Hara, già in sposa al suo nemico l’Emiro, Anthony Quinn. Insomma un film di pirati carino e nulla più che darà vita ad altre pellicole sul personaggio come Il Figlio di Sinbad del 1955, che segnalo solo per la bontà delle attrici, una più svestita dell’altra.
L’unica deviazione nel fantastico è Popeye the Sailor Meets Sinbad the Sailor del 1936 di Dave Fleischer, dove il terribile Bluto, qui Sinbad, mette a cuccia leoni, draghi e uccellacci a suon di sberle e sfida braccio di ferro per la nomea del più grande dei marinai.
La versione di Ray Harryhausen fu così solida e meravigliosa che divenne una pietra miliare del cinema, tanto da essere poi conservata nella prestigiosa Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, a fianco di opere immortali quali Casablanca, Quarto Potere, Sentieri Selvaggi ed Eva contro Eva solo per citare i primi della lista!
Sin dai titoli di testa, finemente disegnati e accompagnati dalle splendide musiche di Bernard Herrmann, si capisce che si sta guardando qualcosa di diverso dal solito: un’avventura dal sapore antico, intrisa di fantasia e passione dove la magia e la meraviglia regnano sovrane.

Il film vive di una grande messa in scena che si destreggia tra ampi spazi aperti dell’isola e della città di Baghdad, a spazi chiusi come quelli nella cabina del capitano, del palazzo regale o della caverna del perfido mago Sokurah dove le scenografie racchiudono l’essenza del fantastico mediterraneo con un paio di pietre, una manciata di sabbia, una parete di legno e antichi arabeschi di Spagna (Baghdad è stata ricreata a Madrid).
Il piatto forte della pellicola ovviamente sono gli effetti speciali di quel mago e idolo di una generazione, Ray Harryhausen, che proprio grazie a questo film, da lui co-prodotto, porterà l’animazione a passo uno ai massimi storici influenzando una pletora di cineasti quali James Cameron, Steven Spielberg, George Lucas, Tim Burton, Henry Selick, Sam Raimi, Peter Jackson, Guillermo del Toro e la Pixar.

Ecco come avveniva la magia: il pupazzo sta tra due vetri, sui quali viene proiettato lo spezzone interessato, sul primo vetro c’è lo sfondo sul quale si vuole far agire il nostro bel mostriciattolo mentre lo scenario più prossimo alla macchina da presa è completamente oscurato; sul secondo vetro al contrario si proietta lo scenario più vicino cancellando lo sfondo col mostro; sommando i 3 fotogrammi si ottiene la nostra terrificante creatura che sembra viva in quanto interagisce con i personaggi su schermo. Questo processo soprannominato Dynamation risultava gradevole per gli occhi degli spettatori e per le tasche dei produttori, che non dovevano più rifarsi a costosi modellini in scala, bensì utilizzavano la reale scenografia nel quale gli stessi attori erano immersi.
Il film abbonda di scene strepitose, tra le tante cito quella con lo scheletro, poi ripresa dallo stesso Harryhauen (e da altri registi come Sami Raimi ne L’Armata delle Tenebre), dove il nostro Enzo Musumeci Greco, schermidore romano pluripremiato e già in buoni rapporti col cinema, “vestiva” i panni del non-morto aiutando Kerwin Mathews a “danzare” uno dei duelli più celebri della storia del cinema.

La trama fa il suo dovere, ovvero legare fra loro le scene con gli effetti speciali di Harryhausen, con protagonisti stereotipati secondo i canoni occidentali (Sinbad in realtà è un mercante che finisce per naufragare in luoghi remoti e fantastici salvandosi sempre grazie al rotto della cuffia, gentilmente concessa dal potente Allah), ma sempre funzionali allo spettacolo ben orchestrato dal regista Nathan H. Juran (che aveva già firmato La Spada di Damasco nel 1953 e ci avrebbe regalato a fine carriera L’Ammazzagiganti).
Il titolo è ovviamente fuorviante in quanto questa pellicola è una liberissima lettera d’amore al personaggio e all’immaginario che lo circonda, e non un adattamento pedissequo al settimo viaggio in particolare (dove mancano del tutto stregoni, belle principesse da salvare, perfidi marinai, ciclopi, draghi o donne-serpente).
Il 7º viaggio di Sinbad è la risposta americana più convincente alla meraviglia e all’epica di Camerini e Douglas, un punto di non ritorno per il cinema fantastico a tutto tondo e una delle tappe fondamentali di questa rubrica!

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