
TRAMA
La stirpe di Herakles è un romanzo d’avventura fantastica, che riunisce in un unico corpo tanto le suggestioni degli antichi miti greci – in particolare le saghe omeriche – quanto gli scenari tipici dello Sword&Sorcery di stampo howardiano.
La vicenda si svolge immediatamente dopo la fine della guerra di Troia; i grandi guerrieri e gli eroi famosi che hanno combattuto sotto le mura di Ilio sono in gran parte caduti, e a pochi il Fato ha concesso il ritorno, mentre altri ancora vagano in terre sconosciute.
In Grecia, dove per dieci anni le rocche dorate dei signori Achei sono rimaste per lo più in mano a reggenti e governatori, sono in molti ad ambire ai troni vacanti. Ed è qui che comincia la storia di Arethes, principe della cittadella di Cencrea (centro minore della regione dell’Argolide) e custode del trono paterno.
Detronizzato da una congiura architettata da nobili invidiosi e bramosi di potere, Arethes cercherà con tutte le sue forze di riconquistare l’eredità che gli spetta e riscattare il suo nome, non sapendo che dietro la mera lotta per il trono di Cencrea si celano segreti che dormono da molti secoli: un metallo invincibile, di fronte a cui anche il lucido bronzo si spezza, e una dimenticata stirpe di titani, pronta a risorgere dalle tenebre per invadere l’Ellade… ostacoli su una via sanguinosa che Arethes dovrà percorrere fino alla fine, quando si troverà faccia a faccia con una verità che riguarda gli dèi stessi.
Lo scenario della stirpe di Herakles è quindi il frutto di una miscela tra il mondo miceneo raccontatoci da Omero (un’età ferrea e cupa, lontana dalla Grecia idealizzata e solare dei secoli successivi) ed elementi fantastici risalenti non solo alla religione greca tradizionale, ma ai culti misterici e ad allusioni a “segreti” di tipo lovercraftiano.
Su tutta la vicenda, dove non mancano combattimenti sanguinosi, vendette e un pathos di tipo tragico, aleggia volutamente un’atmosfera barbarica, volta a ricreare il clima primevo e arcaico dei poemi omerici, illuminato da improvvisi sprazzi di magia e soprannaturale.
L’AUTORE
Andrea Gualchierotti (Roma, 1978) vive e lavora in provincia di Roma.
Dopo la laurea in Sociologia, ha conseguito il master in Marketing management, specializzandosi poi nella gestione dei Sistemi di Qualità.
Ispirato dai numi tutelari del Fantastico d’oltreoceano come R.E.Howard, H.P.Lovecraft e C.A. Smith, ama miscelare nei suoi lavori il gusto per gli scenari esotici con il fascino dei misteri del mondo antico.
Per le Edizioni Il Ciliegio è autore, assieme a Lorenzo Camerini, dei due volumi della saga di Atlantide (Gli Eredi di Atlantide e Le guerre delle Piramidi), e ha pubblicato numerosi racconti a tema fantastico per vari editori, comparsi sulle antologie “Eroica”, “Impero” e “Folklore” (Watson Edizioni) e “Heroic Fantasy vol.1” e “Vlad” (Ailus); con Italian Sword&Sorcery Books ha già pubblicato il volume di racconti storico-fantastici Byzantium, il romanzo L’Era del Serpente, ed ha partecipato all’antologia-manifesto “Mediterranea”. Recensisce novità e classici della letteratura fantasy sul sito Hyperborea, di cui è vicedirettore.
Suoi racconti e articoli appaiono anche sulla rivista Dimensione Cosmica (Solfanelli) e redige contributi di storia delle religioni e antropologia per L’Intellettuale Dissidente. E’ ospite abituale di presentazioni, fiere e convegni, tra cui Più Libri Più Liberi e il recente Fantastico Mediterraneo, presso la Biblioteca della Camera dei Deputati.
Quando non scrive, si dedica alle sue passioni per la numismatica, i viaggi e al mai dimenticato amore per i romanzi d’avventura.
RECENSIONE
Mi sono ritrovato a leggere la Stirpe di Herakles senza pregiudizi e senza aver affrontato altre opere dell’autore. Gualchierotti, infatti, non è al suo primo rodeo, avendo già all’attivo diversi racconti e romanzi, alcuni da solista e altri con Lorenzo Camerini.
È stata una piacevole sorpresa.
L’ambientazione emerge dalla foschia del tempo e delle leggende, in quell’Ellade cantata da Omero, dove storia e mitologia si fondono con superstizione e magia, dove gli dèi esistono e interagiscono con i mortali, dove gli eroi muoiono a Troia e anche sulle sponde del Peloponneso, al ritorno della Grande Guerra che ha sconvolto diverse generazioni.
La storia narra del giovane principe Arethes, detronizzato, ferito e umiliato, che riesce però a fuggire per una debolezza dell’antagonista Archidiamo e dall’entrata in scena di Elteo, un Lidio veterano della guerra di Troia. Il preambolo è breve, dura giusto un paio di capitoli, e subito ci ritroviamo a seguire il desiderio di vendetta del principe. Fallito il primo tentativo di riconquista del trono di Cencrea, il nostro eroe si salva grazie all’intervento di un terzo personaggio, Zacros, un ladro di reliquie giunto a depredare le tombe degli antichi Eraclidi, individuate da Archidiamo e sulla cui scoperta si fondano invece le future azioni dell’antagonista.
La minaccia degli antichi spiriti celati nelle profondità e il ritorno dei Titani fa da scenario a un viaggio irto di pericoli che porterà Arethes e i suoi compagni sino all’oracolo di Delfi, dove la Pizia Tàlame le dirà che l’unico modo per riprendere il dominio delle sue terre sarà bere le acque dei morti, oltre le paludi nere e il tempio di Ade, vestibolo dell’Averno.
La narrazione scorre fluida, nonostante la prosa raffinata di Gualchierotti che sceglie periodi lunghi, a volte strutturati come se seguisse una metrica personale per raccontarci il suo poema. Uno stile ricercato ma efficace, che affascina e rende apprezzabile non solo la lettura degli eventi ma cerca di elevare la scrittura che, molto spesso, negli ultimi tempi sui giudizi letterari sembra attirare meno interesse quando invece ne è fondamento.
Gli episodi si susseguono senza sosta e il ritmo rimane piuttosto elevato, a volte però sincopato.
In un paio di passaggi, l’autore interrompe la narrazione con un cliffhanger e usa un’ellissi narrativa per portarci all’inizio di una nuova scena e raccontarci come è terminata la precedente.
Una scelta che interrompe l’azione e riduce un poco il coinvolgimento.
Soprattutto perché Gualchierotti alterna i punti di vista, non sempre tramite separazione dei capitoli, creando scorrevolezza a discapito dell’introspezione.
Arethes avrebbe meritato forse maggior sviluppo emotivo. La sua sete di vendetta è l’arco portante narrativo: un conflitto interiore che non emerge del tutto nel protagonista e rimane un po’ in ombra rispetto alle motivazioni che guidano le azioni dei comprimari Elteo e Zacros. Perde il confronto persino con gli antagonisti Archidiamo e Babylas.
Sullo sfondo c’è un’interessante analisi sulla tragedia della guerra e sugli effetti che la stessa procura non solo su chi l’ha combattuta: i reduci e le famiglie sono accomunate da un identico dolore.
Su tutto vince la suggestione di una epopea dimenticata e l’inserimento di una nuova ma antica minaccia, capace di superare persino gli orrori e le terribili ripercussioni della guerra che ha segnato tutta l’Ellade, sfregiando persino l’anima degli eroi tornati a casa.
Una lettura che merita, senza dubbio, con l’unico difetto di essere forse troppo breve.